Ci vuole arte a sbagliare una campagna pubblicitaria nazionale nel 2020. Eppure c’è chi ci riesce. È il caso di Poltronesofà, l’azienda di divani che, partita da Forlì oltre 20 anni fa, è riuscita a entrare nelle case degli italiani (e non solo) grazie a prezzi competitivi e marketing martellante. Nel tempo, i pubblicitari hanno cercato di costruire con i potenziali clienti un rapporto basato sulla “fiducia” nei volti di chi quei divani li progetta e li fabbrica. Sull’onda di molte altre campagne, dai tortellini ai biscotti, ci hanno mostrato architetti e operai, persone come noi, artigiani felici di lavorare per il relax degli altri. Solo che adesso l’“autentica qualità” è incappata in una macchia di sessismo difficile da sfoderare e infilare in lavatrice. “L’arte del sedere” hanno chiamato la nuova campagna, e già il doppio senso fa venire voglia di scegliere la concorrenza. Oltre il nome, il resto è molto peggio.
“Si sa, a noi italiani, e in particolare dalle nostre parti, piace studiare l’arte del sedere in tutte le sue forme”, recita la voce maschile che abbiamo imparato a conoscere. Le scene sono da profondo sud degli anni Cinquanta (ma forse neanche). Uomini allupati seduti ai tavolini di un bar che si abbassano gli occhiali da sole per ammirare le natiche delle passanti. A onor del vero, forse per il timore di incappare in ciò in cui poi sono comunque incappati, si vede anche il volto di una donna che sembra compiere lo stesso gesto. E dire che manco si vede il sedere di Jude Law nudo sotto la doccia come nel Papa di Sorrentino. Quegli uomini, ovviamente, sono gli stessi che – con il grembiule d’ordinanza – progettano women free la collezione “Certe fortune”.
Alle proteste di molte spettatrici, l’azienda nei giorni scorsi ha risposto sui social che farà presente il disagio ai “colleghi dell’ufficio comunicazione”: “Ci scusiamo per aver urtato la tua sensibilità”, quasi come si urta per sbaglio qualcuno sull’autobus.
Ora, cari amici di Poltronesofà, se dovessimo credere alle vostre affermazioni, non dovremmo più frequentare le “vostre parti” (geografiche, non intime) per paura di essere sottoposte a una scansione visiva cui risponderemmo con sonori ceffoni. Ma siamo certe che i romagnoli siano molto meglio di come li descrivete. Quello che possiamo dirvi, invece, è che la nostra “fortuna” – chiamatela “culo”, se vi piace di più – è aver scelto un divano Ikea. E, pensate, senza neanche aver avuto bisogno di un uomo per montarlo.