Venerdì pomeriggio. Il governatore della Campania Vincenzo De Luca si presenta con la lastra di un polmone malato a favore di telecamera e affonda: “Bisogna chiudere tutto, la Campania lo farà a brevissimo”. Passano pochi minuti e su Facebook spunta un evento pubblico. La locandina è emblematica: il faccione del governatore è circondato dalle fiamme e da una scritta a caratteri cubitali “Insorgiamo”. È il segnale. L’evento è organizzato da “Gli Insorgenti” un gruppo organizzato su Facebook nato il 17 ottobre dall’idea di Gigi Lista e Ylenia Petrillo. Ai campani questi due nomi dicono molto: sono i gestori di un sito molto seguito (Ischia Press) che vuole fare “pressione al pensiero unico e contro il monopolio dell’informazione di massa” e che grazie a contenuti negazionisti (“A Pescara c’è stato un morto annegato in mare, dichiarato poi morto di Covid”), neo-borbonici e da ultras del San Paolo è riuscita a raggiungere ben 73mila follower.
Sicché in pochi minuti parte la chiamata “alla rivoluzione” alle 22.30 dalla piazzetta Orientale in centro storico a Napoli contro le misure “dispotiche” di De Luca: la voce del flash mob si sparge in tutti i quartieri, dal Pallonetto alla Pignasecca, terra dove il confine tra tifoseria ultras e affiliazione camorristica è labile. E quindi in piazza ci vanno pochi ristoratori e la protesta diventa guerrilla urbana. A mezzanotte e 58, Lista – organizzatore della prima protesta – fa una diretta per condannare la violenza ma per dire che “la colpa di quello che accade è di Vincenzo De Luca”. Venti minuti dopo sul gruppo “Gli Insorgenti” viene pubblicata una foto della abitazione di De Luca a Salerno con due pattuglie della polizia a presidiare la zona. I commenti sotto sono tutti dello stesso tenore: “Se scende in strada si becca il linciaggio” scrive Javier. “Bisogna abbattere il criminale” risponde Andrea oppure c’è chi invoca la protesta in tutta Italia così “andiamo a prendere nelle piazze tutti i traditori dello Stato”.
Spulciando tra i commenti, in molti chiedono di spostarsi su altri canali non intercettabili, come Telegram, app di messaggistica istantanea dove tutto scompare dopo 24 ore. Come a Firenze dove la manifestazione prevista per venerdì in Piazza della Repubblica è stata organizzata su whatsapp senza autorizzazione: sul canale di messaggistica gira un volantino (“Fate girare Firenze”) in cui si specifica che “il tempo delle richieste è finito”.
Tra whatsapp e telegram, ci si organizza per gli striscioni mischiati a intemerate complottiste. E così la Digos sta individuare gli organizzatori: il timore è quello di infiltrazioni ultras e del gruppo sovranista “Movimento Popolare di Liberazione”. Frange di neofascismo via social ci sono anche a Torino e Trieste: sotto la mole i due ispiratori sono stati il dj Hermes Gori, condannato nel 2018 a tre anni e dieci mesi per traffico di droga, che ha postato su Facebook l’invito a manifestare in piazza Castello “contro la dittatura” e il militante di FdI di Settimo Torinese Marco Liccione. A Trieste 150 manifestanti hanno assaltato la prefettura dove poco prima stava manifestando il gruppo di estrema destra “Son Giusto” contro “i porti aperti e i bar chiusi”. Ieri è arrivata la conferma anche dal Comitato per l’Ordine e la Sicurezza del Viminale: dietro le proteste non c’è stata una regìa unica, ma gli scontri sono riconducibili ad antagonisti di destra e sinistra, ultras e criminalità.