Quando, nel febbraio 2009, decise di affidare al suo vicepresidente l’ingrato compito di supervisionare il programma di incentivi da 787 miliardi di dollari varato per portare gli Stati Uniti fuori dalla profonda recessione in cui la crisi finanziaria li aveva piombati, Barack Obama giustificò la scelta dicendo che “nessuno si mette contro Joe”.
Il giorno dopo, nella Sala Roosevelt della Casa Bianca, Biden esponeva così alla stampa il suo punto di vista sulla missione di cui era stato investito: “Dobbiamo essere in grado di rispondere a questa crisi economica. E per farlo dobbiamo portare avanti un piano senza precedenti. È un progetto monumentale, ma credo che sia fattibile”.
Quasi 12 anni dopo quell’evento Biden si trova di fronte a un’impresa simile, ma con più potere e maggiori responsabilità. Se martedì avrà la meglio su Donald Trump nella corsa alla Casa Bianca, il settantasettenne ex senatore del Delaware dovrà trovare il modo di innescare la ripresa dell’economia statunitense dopo lo shock pandemico e quattro anni di amministrazione repubblicana.
Gli ultimi sondaggi danno a Biden un vantaggio di 8,5 punti percentuali nella media nazionale e (secondo la rilevazione effettuata dal Financial Times) un vantaggio più contenuto ma comunque significativo negli Stati chiave. Anche se Trump ha tuttora il potenziale di ribaltare il risultato come nel 2016, il successo di Biden nei sondaggi fa sì che si discuta molto del suo programma economico, e delle possibilità che superi lo scoglio del Congresso.
Molti democratici oggi auspicano la risposta economica alla crisi pandemica produca un miglioramento generalizzato dei livelli di occupazione e dei salari, a ritmi più rapidi di quelli registrati dopo la crisi finanziaria del 2008, che fu seguita da una stagione di ripresa lenta, anche se constante. I democratici vorrebbero anche investire in programmi di sostegno alle minoranze e alle fasce di popolazione a basso reddito, in sviluppo green e in formazione.
La piattaforma di Biden non a caso si chiama “Build Back Better”, slogan che riassume perfettamente la sua visione di “ristrutturare” l’economia americana, aumentando le tasse per i ricchi e investendo miliardi di dollari in servizi pubblici, dalle infrastrutture all’energia pulita, dall’istruzione alla sanità.
Negli ultimi anni anche il punto di vista del mainstream economico si è spostato verso questi obiettivi. Sia la Federal Reserve che il FMI hanno sostenuto la prospettiva di ulteriori investimenti negli Stati Uniti per affrontare le ricadute economiche della pandemia, anche se ciò significa creare più debito pubblico.
Gli stessi istituti hanno anche sostenuto la necessità di ridurre il reddito e le disuguaglianze razziali, oltre che di affrontare il cambiamento climatico in quanto rischio economico. Inoltre, è probabile che la Banca centrale americana manterrà una politica monetaria particolarmente flessibile all’inizio del primo mandato di Biden, creando perciò condizioni favorevoli per gli investimenti pubblici e per fare deficit.
Tuttavia, realizzare una svolta economica così radicale per gli Stati Uniti non sarà semplice per Biden. A Washington i repubblicani probabilmente giocheranno la carta del rigore fiscale (su cui, sostengono i critici, hanno soprasseduto durante la presidenza Trump) per mettere i bastoni tra le ruote al programma democratico.
“Il programma economico di Biden è davvero il più ambizioso degli ultimi 10 anni”, sostiene Austan Goolsbee, economista dell’Università di Chicago ed ex responsabile del team di consulenti economici di Obama.
Goolsbee avverte anche, però, che “l’esperienza del 2010-11 deve servire da monito contro facili entusiasmi: penso che in caso di vittoria democratica sia quasi inevitabile che i repubblicani comincino da subito a dire tutto quello che hanno criticato negli ultimi quattro anni, sostenendo l’austerità e la riduzione del debito pubblico con l’obiettivo di impedire che il nuovo presidente democratico esaudisca il mandato popolare”.
Contemporaneamente, il margine di manovra di Biden e la sua capacità di compromesso potrebbe venire minata dall’obbligo di rispondere alle richieste incalzanti che verranno dall’ala sinistra del suo stesso partito, che chiederà di mantenere il massimo delle promesse ambiziose fatte durante la campagna elettorale.
“La situazione in cui ci troviamo ora è troppo grave per essere risolta con il gradualismo. Sarebbe un male per gli americani e anche una pessima scelta politica”, sostiene Steph Sterling, vicepresidente del think tank progressista Roosevelt Institute. Del resto, continua, “abbiamo visto il gradualismo all’opera nel 2009 e non è andata bene”.
Restare a galla in Senato
Se Biden dovesse entrare alla Casa Bianca, la sua azione economica sarà fortemente influenzata da una serie di fattori ancora indefinibili. Uno di questi è se quel 20 gennaio in cui tradizionalmente si inaugura ogni nuovo mandato presidenziale la pandemia di coronavirus sarà ancora una minaccia per l’America e per la sua economia. Occorre a questo proposito ricordare che, nonostante i dati descrivano una forte risalita del Prodotto interno lordo degli Stati Uniti nel terzo trimestre, a settembre la cifra degli occupati negli Stati Uniti era ancora inferiore di 10,7 milioni rispetto ai livelli pre-pandemici (di febbraio).
Un secondo fattore è dato dalla possibilità che Trump riesca a strappare un accordo con il Congresso per il suo piano di 2 trilioni di dollari di incentivi prima del cambio di amministrazione. Questo agirebbe da freno sull’urgenza di un’azione economica da parte della presidenza Biden.
Ma il dato più critico per i democratici è senza dubbio il controllo del Senato. Riguadagnare la maggioranza in questo ramo del parlamento renderebbe infatti molto più agevole per Biden portare avanti il suo programma.
“Il vero obiettivo per i democratici è ottenere la maggioranza al Senato insieme alla presidenza. È l’unico modo per far sì che il programma di Biden si traduca in leggi e per evitare alla sua presidenza di andare avanti a forza ordini esecutivi per quattro anni”, spiega al Financial Times Scott Mulhauser, ex funzionario del Congresso ed ex inviato a Pechino, che oggi lavora per la società di consulenza a Washington Bully Pulpit Interactive.
La sua lunga storia politica (prima senatore per decenni, poi vicepresidente per 8 anni) potrebbe dare a Biden più chance degli ultimi presidenti per realizzare il suo programma economici. Inoltre, Biden ha dalla sua di essere stato il principale negoziatore dell’amministrazione Obama con i repubblicani al Congresso, guadagnandosi la reputazione di essere persona pragmatica.
Ancora, con la pandemia è cresciuta la base di consenso per l’interventismo statale in economia sostenuto dai democratici, e anche questo potrebbe facilitare le cose per Biden.
Secondo un sondaggio nazionale condotto dal New York Times e dall’istituto Siena, oltre due terzi degli americani condividono il piano di sostegno da 2 trilioni di dollari proposto da Trump, ma anche l’idea di spendere altrettanto in investimenti per energia verde. Mentre l’opinione pubblica è più o meno spaccata a metà sull’aumento delle imposte per le imprese. Un altro sondaggio, di USA Today e Ipsos ha rilevato una larga maggioranza di favorevoli al piano di raddoppio del salario minimo federale, da 7,25 a 15 dollari l’ora (altro punto centrale della piattaforma economica di Biden).
Come ha detto Mary Kay Henry, presidente della Service Employees International Union “una misura che sembrava fuori dal mainstream (quella dell’innalzamento del salario minimo, ndt) è entrata al primo punto del programma politico, e avrà un impatto trasformativo sulla vita delle persone”. Biden, aggiunge, “sa come unire la gente. Penso che il suo sarà una combinazione del New Deal, Piano Marshall e della legge sui diritti civili degli anni ’60 in un’unica amministrazione”.
Le aspettative sono grandi, insomma, ma molti tra i democratici e gli economisti di sinistra ricordano anche la ferita ancora non sanata della grande speranza di cambiamento infranta dieci anni fa con Obama. Il pacchetto di aiuti gestito da Biden durante la presidenza Obama inizialmente sembrava efficace, ma a posteriori è stato ritenuto troppo moderato, e Obama non è mai riuscito a ottenere finanziamenti ulteriori.
L’agenda legislativa obamiana è stata dominata dal nodo della riforma sanitaria e dagli sforzi per ridurre le emissioni di carbonio, e i democratici hanno perso la maggioranza al Congresso. Dal punto di vista economico, l’intera presidenza Obama è stata tormentata dalla stagnazione del reddito medio delle famiglie.
“Non abbiamo fatto abbastanza”, ammette Wendy Edelberg. Oggi l’economista a capo del Progetto Hamilton, un think tank di politica economica di Washington dopo essere stata direttore esecutivo della Commissione d’inchiesta sulla crisi finanziaria. “Siamo passati troppo velocemente all’austerità. Per tanti settori economici ciò ha rappresentato una vera zavorra”.
Oggi, sostiene sempre Edelberg “sarebbe estremamente frustrante passare alle politiche di austerità prima ancora che l’economia si sia ripresa. Io personalmente sarò in prima linea a gridare più forte che posso per evitare che accada”.
L’istinto della classe operaia
Il programma di Biden prevede che i sostegni a breve termine, come l’indennità per i disoccupati, vengano finanziati facendo debito, mentre l’aumento di spesa a lungo termine sarà almeno in parte compensato con l’aumento dal 21 al 28 per cento della tassazione sulle imprese e con l’aumento della imposte sui redditi dei più ricchi.
Molti economisti ritengono che, a conti fatti, questo piano riuscirà a stimolare l’economia statunitense. Tra gli studi più recenti ricordiamo quello di Oxford Economics, che prevede che nel 2021, nel caso in cui Biden e i democratici riuscissero a prendere il controllo della Casa Bianca e del Congresso, il PIL crescerebbe del 4 per cento, mentre la crescita sarebbe del 3,9 per cento se si mantenesse lo status quo. Ma le prospettive di un aumento delle tasse ha fatto levare molte critiche da parte dei circoli conservatori.
“Tutto quello che Biden sta facendo è disincentivare il lavoro, gli investimenti e la produttività”, ha dichiarato per esempio Casey Mulligan, economista dell’Università di Chicago ed ex membro del pool di consulenti economici di Trump.
I repubblicani hanno già iniziato a rispolverare i vecchi cimeli di famiglia. Dopo aver sostenuto con entusiasmo i tagli alle tasse di Trump nel 2017 e le prime misure di sgravio per il coronavirus, molti ora si oppongono ora a ulteriori investimenti pubblici. C’è da ritenere che la loro posizione non farà che radicalizzarsi in caso di elezione di un presidente democratico. Il senatore repubblicano del Texas Ted Cruz ha dichiarato al sito di informazione Axios di essere “molto preoccupato per lo stato del debito”.
Chi ha lavorato a stretto contatto con Biden durante l’amministrazione Obama dice che è improbabile che il candidato democratico cercherà di placare queste preoccupazioni varando dopo il suo insediamento. All’epoca della crisi finanziaria del 2008, l’amministrazione Obama subì forti pressioni non solo da parte dei repubblicani, ma anche da Wall Street per varare un piano di riduzione a medio termine del debito. La misura ha spaccato il partito democratico, e l’allora vicepresidente di Obama non ne è mai stato un grande estimatore.
“Obama aveva creato un comitato addetto al rientro del deficit, e Biden non ne faceva parte. Oggi non credo che la questione della riduzione del debito sia economicamente rilevante”, sostiene Jason Furman, consulente economico di Obama durante tutta la presidenza, attualmente al Peterson Institute for International Economics, spiegando che “i tassi di interesse di oggi sono molto più bassi rispetto al 2009”.
Biden non era molto addentro alla politica economica obamiana, essendo le sue competenze più spostate sulla politica estera e la giustizia, ma chi ha lavorato durante l’ultima presidenza democratica ricorda che il vicepresidente tendeva a schierarsi a sinistra su questi temi, come per il salvataggio dell’industria automobilistica o la regolamentazione del settore finanziario.
“La sua visione del mondo consisteva nell’ascoltare i lavoratori e la gente comune, senza curarsi troppo delle esigenze espresse dalle istituzioni finanziarie e delle grandi aziende”, racconta ancora Goolsbee.
“Dobbiamo farlo meglio”
Sotto alcuni aspetti, per Biden salvare l’economia potrebbe essere più facile oggi di quanto non fosse dieci anni fa, soprattutto perché le banche stanno meglio e il tasso di disoccupazione è in calo, mentre non era così all’inizio del 2009.
Ma, come ricorda Edelberg, i problemi economici prodotti e accelerati dalla pandemia potrebbero aggravarsi: chiusura delle imprese, disoccupazione permanente e assenza di servizi per l’infanzia e scuole in presenza, con i figli totalmente a carico dei genitori.
Nel frattempo, la crisi ha spinto un numero sempre più cospicuo di aziende ad accelerare i piani di automazione, oltre a favorire la concentrazione del mercato. Entrambi questi fenomeni potrebbero richiedere interventi regolativi da parte della politica. “Il mercato del lavoro in cui la gente tornerà avrà un aspetto molto diverso rispetto a prima della pandemia”, sostiene Edelberg.
Chi ha già lavorato per Biden ritiene che il candidato democratico sia adatto alla sfida che ha di fronte, ma dovrà scegliere la squadra giusta. “Avrà bisogno di mettersi intorno intorno persone veramente capaci di gestire i problemi. E anche di lasciare che alla fine sia il presidente a decidere”, valuta un ex funzionario dell’amministrazione Obama.
Secondo Ed DeSeve, nel 2009 consulente di Obama, Biden ha saputo tenersi alla larga dalle frodi e dagli sprechi che spesso caratterizzano le attività di distribuzione di fondi. “Non posso dire che ogni conversazione con lui sia stata rose e fiori. Diceva sempre ‘Dio benedica l’America, dobbiamo farlo meglio'”.
Già in quell’occasione Biden aveva dato il segnale di voler usare il pacchetto di salvataggio varato dall’amministrazione Obama come uno strumento per realizzare obiettivi economici di ampio respiro. In fondo, è stato un assaggio del programma che avrebbe sviluppato 11 anni dopo.
“Il suo obiettivo principale era provocare una trasformazione”, commenta Furman. “Si chiedeva continuamente come fare per creare parametri più intelligenti, come abbassare i costi dell’energia solare oppure ottenere infrastrutture migliori nel giro di cinque anni. Cercava sempre di spingere l’asticella del cambiamento un po’ più su”.
Traduzione di Riccardo Antoniucci