“C’è un mostro nella mia cucina”: il cartone in difesa delle foreste
“C’è un mostro nella mia cucina” è il titolo del corto d’animazione per l’Italia doppiato dall’attore Giobbe Covatta: al centro del video la storia dell’incontro tra un bambino e un giaguaro “sfrattato” dalla sua casa, le foreste del Sudamerica, distrutte per produrre sempre più carne e soia destinata a diventare mangime per animali. Il nuovo corto, realizzato dall’agenzia Mother e prodotto dallo studio Cartoon Saloon, che ha ottenuto quattro volte la nomination per l’Oscar, è una sorta di sequel di quello diffuso due anni fa, nella versione italiana con la voce della cantante Noemi, in cui un piccolo orango entrava nella cameretta di una bambina, saltellando da una parte all’altra e portando scompiglio. Anche in quel caso l’animale raccontava il dramma della sua casa distrutta dai produttori di olio di palma. Il cartoon in pochi minuti ci fa riflettere sugli impatti dell’agricoltura industriale e dell’eccessiva produzione di carne sugli ecosistemi e sulla biodiversità, ma anche su quanto ci riguardi da vicino quel che accade nelle in foreste lontane come quelle sudamericane.
I rapporti
Come evitare future (e sicure) pandemie
Le future pandemie emergeranno più spesso, si diffonderanno più rapidamente, arrecheranno più danni all’economia mondiale e uccideranno più persone rispetto al Covid-19, a meno che non vi sia un cambiamento trasformativo nell’approccio globale alla gestione delle malattie infettive: lo sostiene un nuovo importante rapporto sulla biodiversità e pandemie redatto da 22 esperti leader di tutto il mondo e richiesto dall’Intergovermental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (Ipbes), centro di ricerca intergovernativo indipendente su biodiversità ed ecosistemi. Gli esperti concordano sul fatto che sfuggire all’era delle pandemie è possibile, ma che serve un cambiamento nell’approccio dalla reazione alla prevenzione. Covid-19 è almeno la sesta pandemia sanitaria globale dalla Grande pandemia influenzale del 1918, e sebbene abbia le sue origini in microbi trasportati dagli animali, come tutte le pandemie, la sua comparsa è stata interamente guidata dalle attività umane. Si stima che nei mammiferi e negli uccelli esistano altri 1,7 milioni di virus attualmente “non scoperti”, di cui fino a 850.000 potrebbero avere la capacità di infettare le persone. Le stesse attività umane che guidano il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità guidano dunque anche il rischio di pandemia attraverso i loro impatti sul nostro ambiente. Il rischio di pandemia può essere notevolmente ridotto riducendo le attività umane che guidano la perdita di biodiversità, da una maggiore conservazione delle aree protette e attraverso misure che riducono lo sfruttamento insostenibile delle regioni ad alta biodiversità. Ciò ridurrà il contatto tra fauna selvatica, bestiame e uomo e aiuterà a prevenire la diffusione di nuove malattie. Nel rapporto si legge anche che fare affidamento sulle risposte alle malattie dopo la loro comparsa, come misure di salute pubblica e soluzioni tecnologiche, in particolare la rapida progettazione e distribuzione di nuovi vaccini e terapie, è un “percorso lento e incerto”, sottolineando sia la diffusa sofferenza umana e le decine di miliardi di dollari di danni economici annuali all’economia globale derivanti dalla reazione alle pandemie. Gli esperti stimano che il costo di ridurre i rischi per evitare che le pandemie siano 100 volte inferiori al costo di risposta a tali pandemie, “fornendo forti incentivi economici per il cambiamento trasformativo”. Il rapporto offre anche una serie di opzioni politiche che aiuterebbero a ridurre e affrontare il rischio di pandemia.
Fonte: Intergovermental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services
Italia, peggiorano abusivismo edilizio e sovraffollamento abitativo
Peggiora in Italia la situazione delle città e per invertire questa tendenza sono necessari interventi di riqualificazione energetica dell’edilizia, mobilità sostenibile, lotta alla povertà con interventi mirati nelle periferie, digitalizzazione e contrasto all’inquinamento e al consumo di suolo. Sono queste, in sintesi, alcune delle priorità proposte dall’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) e illustrate nel Rapporto 2020 “L’Italia e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile”, analisi sull’andamento dell’Italia e dell’Europa verso i 17 Obiettivi dell’Agenda 2030 (Sustainable Development Goals, Sdgs nell’acronimo inglese) dell’Agenda 2030 dell’Onu, realizzata con il contributo di 600 esperti delle organizzazioni aderenti. L’indicatore composito elaborato dall’ASviS sul periodo 2010-2019 per misurare l’andamento del Paese verso l’Obiettivo 11 mostra un tendenziale miglioramento dell’inquinamento da PM10 fino al 2018, anno in cui per la prima volta l’Italia rispetta il target europeo di numero di giorni in cui si registra un superamento dei limiti di PM10 (31,4 giorni rispetto a un obiettivo di 35). D’altra parte, nell’arco di tempo considerato l’offerta del trasporto pubblico è diminuita dell’8,7%. Nel 2019 la flessione dell’indice composito è spiegata dall’aumento dell’abusivismo edilizio (+5,5% dal 2010 al 2019), dal sovraffollamento delle abitazioni (+18,6%) e dall’aumento dell’utilizzo dei mezzi privati per recarsi sul posto di lavoro. Nel 2020, come conseguenza della riduzione degli spostamenti dovuta alla pandemia, è aumentata considerevolmente la qualità dell’arianelle città, ma l’emergenza sanitaria ha diminuito l’utilizzo dei mezzi pubblici. Questi due fenomeni contrastanti rendono difficile valutare quale sarà la direzione dell’indicatore relativo a questo Obiettivo nel 2020, che perciò è indicata nel grafico come Non Valutabile (NV).
L’intervista
Greta Thunberg a National Geographic: “Il covid mostra che possiamo trattare le crisi climatiche come tali”
Greta Thunberg ha rilasciato una lunga intervista alla rivista National Geographic inglese, dove ha parlato del rapporto tra crisi sanitaria e crisi climatica. “Il covid mostra che possiamo trattare una crisi come una crisi. E questo cambierà il modo in cui percepiamo le crisi e la risposta alle crisi. E dimostra davvero che la crisi climatica non è stata mai trattata come una crisi, ma solo come una questione pubblica importante, come un argomento politico. Cosa che non è, perché è una crisi esistenziale. Dunque il covid ha mostrato ciò che sapevo e cioè che una volta che trattiamo la crisi climatica come una crisi, possiamo cambiare le cose e possiamo ottenere le cose”. E poi ha aggiunto: “Oggi viviamo in una società post-verità e non ci importa di aver perso l’empatia. Abbiamo smesso di prenderci cura l’uno dell’altro e abbiamo smesso di pensare a lungo termine”. Infine, sulle persone che non sembrano mostrare interesse verso il cambiamento climatico ha aggiunto: “La crisi climatica non è mai stata trattata come una crisi, quindi come possiamo aspettarci che le persone se ne preoccupino? Dato che non siamo a conoscenza nemmeno dei fatti di base, come possiamo aspettarci che le persone desiderino l’azione per il clima? Dobbiamo capire che non stiamo combattendo due battaglie separate, ma la stessa battaglia. Una lotta per la giustizia”.
Geoingegneria
Perché l’idea di modificare la temperatura del pianeta con la geoingneria si fa sempre più strada
L’idea di modificare l’atmosfera terrestre per raffreddare il pianeta, una volta considerata troppo rischiosa per essere presa seriamente in considerazione, sta attirando nuovi soldi e attenzione. Man mano che gli effetti del cambiamento climatico diventano più devastanti, importanti istituti di ricerca e agenzie governative stanno concentrando nuovi soldi e attenzione su un’idea una volta liquidata come fantascienza: raffreddare artificialmente il pianeta, nella speranza di dare all’umanità più tempo per ridurre le emissioni di gas serra. Quella strategia, chiamata intervento sul clima solare o geoingegneria solare, implica che si rifletta di più energia del sole nello spazio, riducendo bruscamente le temperature globali in un modo che imita gli effetti delle nuvole di cenere vomitate dalle eruzioni vulcaniche. L’idea è stata derisa come una soluzione pericolosa e illusoria, anche perché incoraggerebbe le persone a continuare a bruciare combustibili fossili esponendo il pianeta a effetti collaterali inaspettati e potenzialmente minacciosi. Ma mentre il riscaldamento globale continua, producendo uragani più distruttivi, incendi, inondazioni e altri disastri, alcuni ricercatori ed esperti di politiche affermano che le preoccupazioni sulla geoingegneria dovrebbero essere controbilanciate dall’imperativo di comprenderla meglio e cominciare a pensarla come possibile soluzione.
Le denunce
“Terra mia” il disegno di legge contro i reati ambientali ancora non è stato approvato
Il disegno di legge del cosiddetto decreto “Terra Mia”, definisce nuove disposizioni penali in tema di autorizzazione integrata, abbandono rifiuti, discariche non autorizzate, combustione illecita di rifiuti, traffico illecito di rifiuti, inquinamento ambientale, disastro ambientale. Tra le novità è previsto il “Daspo” ambientale, ovvero si prevede la possibilità, intervenendo anche sul Codice antimafia, di allontanare dei luoghi in cui sono stati commessi illeciti contro l’ambiente dei soggetti responsabili ritenuti pericolosi. Inoltre si inaspriscono i provvedimenti contro le discariche abusive, responsabilizzando maggiormente i terzi ovvero i proprietari dei fondi sui quali vengono realizzate; per questi sarà ora più complesso rientrare in possesso delle aree sequestrate o confiscate. Cresce infine l’elenco dei reati “presupposto” di responsabilità amministrativa degli enti; vi sono inclusi, tra gli altri: ipotesi di incendio boschivo, morte o lesioni per inquinamento ambientale, impedimento di controllo, omessa bonifica e attività organizzate per traffico illecito di rifiuti. Il disegno di legge tuttavia è fermo al consiglio dei ministri per opposizione di una parte del governo e il ministro Costa spera sia presto ricalendarizzato.
General Motor e Ford conoscevano i cambiamenti climatici già 50 anni anni fa
Gli scienziati di due delle più grandi case automobilistiche americane sapevano già negli anni ’60 che le emissioni delle auto erano causa il cambiamento climatico. Le scoperte di General Motors e Ford Motor Co hanno preceduto decenni di pressioni politiche da parte dei due giganti automobilistici che hanno minato i tentativi globali di ridurre le emissioni, bloccando gli sforzi degli Stati Uniti per rendere i veicoli più puliti. I ricercatori di entrambe le case automobilistiche hanno trovato prove evidenti negli anni ’60 e ’70 che l’attività umana stava riscaldando la Terra. Ma nei decenni successivi, entrambi i produttori non sono riusciti ad agire sulla base della consapevolezza che i loro prodotti stavano riscaldando il pianeta. Invece di spostare i loro modelli di business dai combustibili fossili, le società hanno investito molto in camion e Suv ad alto consumo di benzina. Allo stesso tempo, le due case automobilistiche hanno donato privatamente centinaia di migliaia di dollari a gruppi che mettono in dubbio il consenso scientifico sul riscaldamento globale.
Caccia, il Wwf denuncia: milioni di uccelli morti per avvelenamento da piombo
L’inquinamento da piombo legato all’attività della caccia è un problema serio e poco conosciuto, un avvelenamento silenzioso che minaccia gravemente la biodiversità e la nostra salute. Ogni anno le munizioni disperdono nell’ambiente miliardi di pallini di piombo che causano la morte indiretta di milioni di uccelli in tutto il mondo, inquinando gli ecosistemi e minacciando la salute umana. Il Wwf lancia l’allarme nel suo report “Cartucce avvelenate” nel quale si ribadisce come il piombo sia un metallo altamente tossico, tanto da essere stato bandito da tutti i prodotti di consumo come benzina, vernici, tubature. Eppure ancora oggi tra le 1.400 e le 7.800 tonnellate di piombo vengono rilasciate ogni anno solo nelle zone umide d’Europa. In Europa è stato calcolato anche il danno economico provocato da questa forma di inquinamento dell’ambiente naturale: 105 milioni di euro l’anno per la mortalità indiretta provocata dalla caccia sulla fauna europea. Bastano infatti 2-3 pallini ingeriti per uccidere un uccello di media taglia. Il piombo causa anche intossicazioni di tipo cronico, con pericolose disfunzioni del sistema immunitario e riproduttivo.
Gestione circolare dei rifiuti a Roma? È ancora un’utopia
Nel corso dell’evento “Economia circolare a Roma: linee guida per un piano industriale”, organizzato dal movimento Legge rifiuti zero per l’economia circolare, insieme al comitato “DeLiberiamo” Roma. Lo scorso 26 ottobre aziende, associazioni e amministratori locali hanno sostenuto la necessità di un piano industriale rifiuti autosufficiente, sostenibile e decentrato. “La giunta Raggi ha approvato in questi anni solo due impianti per il compostaggio che sono scollegati dal ciclo dei rifiuti. Non è pensabile che una città di 3 milioni di abitanti possa essere gestita da un Dipartimento che ha poche persone per la progettazione. Roma è composta da 15 municipi che sono 15 città di medie e grande dimensioni, diverse ciascuna dall’altra e nessuna di queste ha potere sulla gestione dei rifiuti, attività che riguarda la quotidianità di tutti i cittadini. Il paventato ritorno dei cassonetti in strada è una sconfitta. Ci sono municipi che ancora stanno allo zero per cento di porta a porta, mentre l’80% dei rifiuti indifferenziati viene esportato”, ha detto Massimo Piras, coordinatore del movimento Legge Rifiuti zero. Molto però si può fare subito, partendo dalla ricomposizione della frattura ormai manifesta tra cittadini e Ama, riducendo i rifiuti prodotti, incentivando il compostaggio domestico.
Slow Food: nuova Politica agricola comune è una sconfitta per la biodiversità
Una sconfitta per la biodiversità, il clima e gli agricoltori virtuosi quella decretata venerdì 23 ottobre dal voto del Parlamento europeo che in seduta plenaria ha confermato la demolizione della proposta di riforma della Politica Agricola Comune (Pac) della Commissione europea. Secondo Slow Food, il voto finale sulla riforma della Pac conferma gli emendamenti, approvati con l’accordo tra S&D, PPE e Renew, che hanno cancellato ogni relazione coerente tra politica agricola europea e il Green Deal, mettendo una pietra tombale sull’avvio di una vera transizione ecologica delle filiere agricole e zootecniche in Europa. La Commissione di Ursula Gertrud Von der Leyen si trova ora in una situazione difficile perché un terzo del bilancio dell’Unione 2021-2027 rischia di essere sprecato a causa di una politica agricola insostenibile, totalmente in contrasto con il Green Deal e che conferma vecchie logiche, privilegi e interessi delle grandi corporazioni agricole. Per evitare il fallimento delle sue due Strategie “Farm to Fork” e “Biodiversità 2030” dovrà intraprendere un’azione forte e decisa nell’ambito del negoziato del “Trilogo”, ponendo sul tavolo la totale incompatibilità di questa Pac con gli impegni assunti per l’ambiente, il clima e la biodiversità.
Gli studi
Le nostre auto inquinanti finiscono in Africa. E contribuiscono al cambiamento climatico
La maggior parte delle vetture che quotidianamente arrivano in Africa provengono da Europa, Giappone e Stati Uniti. Non più libere di circolare in queste zone, per l’introduzione di leggi più rigide sulle emissioni, tornano a circolare nei Paesi meno ricchi. Solo tra il 2015 e il 2018 sono stati 14 i milioni di vecchie automobili tornate su strada in Africa. Vendute a basso prezzo da Europa, Stati Uniti e Giappone a concessionari locali, per evitare l’onere della rottamazione, spariscono dai luoghi d’origine per ricomparire sulle sempre più trafficate strade africane. Di tutte queste vetture, più dell’80% non rientra più nei limiti minimi imposti dai Paesi d’origine per ridurre le emissioni. E così, anziché essere rottamate e dismesse, tornano a inquinare in altri luoghi del mondo. Solo il Nigeria, ad esempio, più di un quarto delle automobili importate e in circolazione ha più di 20 anni. A confermare questi dati è l’Un Environment Programme (Unep), il programma ambientale delle Nazioni Unite. Dal report emerge come il mercato delle auto usate stia approfittando di quelle nazioni dove le normative ambientali sono più lasche, per generare un commercio pericoloso per la salute umana e la sostenibilità ambientale.
Nel 2019 cinquanta banche hanno finanziato la perdita di biodiversità
Nel 2019 oltre 2.600 miliardi di dollari sono stati investiti dalle banche per finanziare le attività di imprese che con le loro attività hanno contribuito in modo determinante ad accelerare la perdita di biodiversità nel pianeta. A denunciarlo è il rapporto Bankrolling extinction redatto dal collettivo Portfolio Earth, secondo cui a erogare ad aprire le linee di credito più cospicue a sostegno di società che operano in svariati settori – dall’alimentare alla silvicoltura, dal minerario alle combustibili fossili fino ai trasporti e al turismo – sono stati, di fatto, i 50 più importanti istituti di credito internazionali: Bank of America, Citigroup, Jp Morgan Chase, Mizuho Financial, Wells Fargo, Bnp Paribas, Mitsubishi UFJ Financial, Hsbc, Smbc Group e Barclays. In questa lista nera compaiono anche due banche italiane: Intesa Sanpaolo, con finanziamenti pari a 14.446 milioni di dollari, e Unicredit con 41.776 milioni di dollari. Per questo motivo il collettivo Portfolio Earth chiede ai governi da un lato di prendere delle decisioni forti nei confronti di quelle banche che finanziano queste attività, dall’altro di mettere i singoli cittadini nelle condizioni di sapere come viene realmente investito il denaro che depositano in banca. Il primo passo da compiere dovrà essere necessariamente quello di interrompere i finanziamenti allo sfruttamento di combustibili fossili, alla deforestazione, allo sfruttamento della pesca intensiva.