Chi ha inventato il motto “tu ci chiudi, tu ci paghi”, usato nelle manifestazioni della scorsa settimana a Napoli e a Roma, forse non era un fine economista, ma ha riassunto in sei parole il senso di una profonda rivendicazione. La stessa di cui da anni è promotore Philippe van Parijs, filosofo, economista e giurista belga, 67 anni, tra i principali sostenitori e ideologi del reddito di base universale e incondizionato per tutti (ha pubblicato “Il reddito di base” con Yannick Vanderborght, Il Mulino). Se lo Stato non è solo un apparato coercitivo e regolatore, allora ha una responsabilità verso i cittadini: in una situazione grave come una pandemia, diventa necessario un reddito di quarantena. Ma se accettiamo il reddito universale “emergenziale”, perché non sdoganarlo tout court? D’altronde, sono un’emergenza pure la povertà e le difficoltà economiche in cui versa – anche in tempi ordinari – una larga fetta della popolazione.
In Italia ci sono state proteste e manifestazioni per ottenere un “reddito di quarantena”, dopo la riduzione forzata degli orari di apertura di molte attività economiche per fronteggiare l’emergenza sanitaria. Questa pandemia può essere l’opportunità per sperimentare un reddito universale di base?
In Italia, come altrove, questo “reddito universale d’emergenza” dovrebbe essere finanziato dallo Stato con una spesa in deficit. Va bene per un breve periodo, ma non per sempre. Tuttavia, questa crisi sta diffondendo la consapevolezza che le nostre società e le nostre economie sarebbero state meglio equipaggiate di fronte a questa situazione e a ogni altro problema improvviso che sarebbe potuto nascere se avessero avuto in funzione un reddito universale di base. Un reddito che fornisse a tutti una sicurezza economica di base finanziata in modo sostenibile senza condizionalità di reddito oppure vincoli.
Perché il reddito universale dovrebbe essere migliore di altre soluzioni, compreso un piano di lavoro garantito come quello che ora si vuole sperimentare in alcuni Paesi come l’Austria?
Come misura di emergenza, un reddito universale è ovviamente migliore di un piano di lavoro garantito, che sarebbe semplicemente impossibile da implementare su vasta scala. Se un piano di lavoro garantito ha l’obiettivo di fornire una sicurezza economica di base a tutti, si scontrerebbe rapidamente con un dilemma: o fornire lavori senza senso e senza utilità a molte persone o affrontare enormi costi di formazione, supervisione, equipaggiamento e burocrazia. Infatti, non c’è nessun miracolo che possa garantire la presenza di lavori utili nei luoghi e per le qualifiche per cui sono necessari al fine di fornire sicurezza economica.
Quali sono i pro e i contro del reddito di cittadinanza italiano?
Il grande pro è che contribuisce molto alla riduzione della povertà, compresa quella infantile. Perciò, è sicuramente un progresso rispetto a quello che esisteva prima. Ma ci sono due grandi problemi. Primo, è difficile implementare le sue condizionalità in un modo che non sia molto arbitrario o anche molto costoso. Secondo, crea, sicuramente in alcune aree del Paese, una significativa “trappola di povertà”. Cioè rischia di uccidere ogni attività remunerata (e legale) che non paga in modo sicuro più del livello del reddito di cittadinanza, come lavori part-time o lavoro autonomo precario.
Il reddito universale è sufficiente o abbiamo bisogno di un vero welfare universale?
Un reddito di base incondizionato può fornire solo un modesto livello minimo universale di welfare. A esso devono essere aggiunti in primis sussidi di assistenza sociale supplementari e means-tested (ossia condizionati, ndr) diretti alle persone con bisogni speciali: ad esempio i disabili o chi vive da solo in città. Inoltre, bisognerebbe certamente introdurre coperture assicurative legate ai guadagni, come sussidi di disoccupazione temporanei e pensioni di vecchiaia adeguati. Inutile dire che, in aggiunta a queste indennità in denaro, i nostri sistemi di welfare devono includere anche educazione gratuita e universale e la protezione sanitaria per tutti.
Come interagisce il reddito universale con l’incentivo a lavorare?
In confronto alle misure di assistenza sociale means-tested, come il reddito di cittadinanza, il reddito universale migliora gli incentivi per le persone con minore possibilità di guadagno. Infatti, a differenza del reddito di cittadinanza, un reddito universale può essere combinato interamente con un reddito da lavoro. Inoltre, dà al potenziale lavoratore la possibilità di distinguere fra le attività poco pagate: da una parte i lavori più schifosi e soggetti allo sfruttamento, dall’altra quelli che vale la pena accettare per la formazione che danno, i contatti che offrono o per il puro piacere di fare qualcosa di utile con le persone con cui uno ama lavorare.