Patata, passera, topa, bernarda, piccione, micia, mussa, farfalla, pescia, brogna, piricoccu, cicciabaffa. Potremmo continuare, ci fermiamo per amore della brevitas.
In Italia esistono oltre cinquanta modi regionali per definire la “vagina”. L’importante è non chiamarla col suo nome. Figuriamoci rappresentarla con le sue vere sembianze.
Pudore, ritegno? No, solo tabù e stereotipi. Il corpo femminile nel 2020 dà ancora scandalo, perché noi donne per prime siamo state educate a coprirlo e a parlarne quasi non ci appartenesse.
Non è un caso, infatti, che il divertente spot degli assorbenti Nuvenia “Viva la vulva” sia criticato soprattutto dal genere femminile. Eppure parla di noi.
Ne vediamo venti secondi, in realtà la pubblicità intera dura due minuti e cinquanta. Molte donne, tutte diverse tra loro, e alcuni oggetti a rappresentare, appunto, la vulva: conchiglie, origami, marionette, portafogli, frutti, ricami. E un assorbente macchiato di rosso. Tutti questi oggetti si aprono e si chiudono. Musica, ironia e un messaggio finale: non esiste la vulva perfetta, perché non esiste la perfezione. “Non assomiglia a niente”, “non esiste giusto o sbagliato lì sotto”, “sei nata così, amati per come sei”, commentano alcune donne alla fine.
Panico in Rete!
Schifo, sdegno, choc, mancanza di pudore, gratuità, ineleganza, volgarità, inadeguatezza, vomito, disgusto, disprezzo, porcata, repulsione, indecenza. E anche qui potremmo continuare. Basta rimandare alla pagina Youtube dello spot per leggere i commenti sconcertati – lo ripetiamo – soprattutto del pubblico femminile.
La vagina è una parte anatomica che si può desiderare, su cui si può ironizzare, che si può definire anche nel modo più spregiativo e volgare possibile oppure indicare con delicatezza alle bambine, ma che no, non si può vedere neanche quando è sotto mentite spoglie.
Nel 1974 la – fino ad allora – lacaniana Luce Irigaray dà alle stampe la sua tesi di dottorato, Speculum, de l’autre femme (un testo divenuto fondamentale poi per il movimento femminista), che già nel titolo ricorda lo strumento ginecologico utilizzato per guardare all’interno della vagina. Sono passati quasi cinquant’anni, eppure ancora oggi molte donne non riescono a guardarsela neanche da fuori.