Il dossier - Bye Bye diritto alla salute

L’influenza? Ti vaccini solo se hai i soldi

Di Natascia Ronchetti e Andrea Sparaciari
5 Novembre 2020

“Mio fratello, 60 anni con patologia seria pregressa, bypass coronarico triplice per infarti pregressi e disoccupato, non ha la possibilità di ricevere la vaccinazione con il Sistema sanitario nazionale. Stessa cosa per mia madre, 94enne. La cosa che trovo strana è che in diverse strutture di Milano, pagando 60 euro, lo si può fare subito”, a scrivere al Fatto è il professor Maurizio Nava, noto chirurgo. E la sua lettera racconta come in Lombardia “il vaccino non c’è per il SSN, ma a pagamento in compenso lo si trova”. E così il malato cronico, oncologico o immunodepresso per dire, che non trova il vaccino dal suo medico di base, esce dallo studio del medico medesimo, fa due passi, entra nel Museo della Scienza e della Tecnica di Milano, e il vaccino lo fa. Per la modica cifra di 60 euro. Tanto chiede il gruppo privato Multimedica per un tetravalente. Cinque euro di più del Gruppo San Donato, mentre Auxologico e Humanitas si “accontentano” di 50 euro. Ma c’è anche chi varca il confine e compra la sua dose in Svizzera: una pratica, quella del turismo sanitario nella Confederazione, che sta rifiorendo. Ma, se prima era appannaggio dei “ricchi” che andavano a farsi operare a Chiasso, ora in Svizzera ci va chi può (anche perché lì il vaccino costa anche meno: 53 euro).

È la fotografia di un escamotage che fa fronte a una situazione oggettiva: in Lombardia il vaccino è un miraggio, con buona pace del diritto alla salute. Che non ci sia possibilità di vaccinarsi lo dice chiaro anche il pop-up che appare se un cittadino “non a rischio” prova a prenotarsi dal sito dell’Ats: “I vaccini sono destinati alle categorie a rischio. Per conoscere il calendario vaccinale riservato alle altre categorie o ai pazienti sani visiti il sito www.wikivaccini.regione.lombardia.it”. Tu clicchi, ma la pagina non ti permette di prenotare nulla. E anche le categorie a rischio devono “pazientare”: per i fortunati che riescono a prendere la linea con il numero verde, appuntamento dal 21 novembre in poi. Bastano due conti per comprendere l’insufficienza delle scorte: per il Dg Welfare, Marco Trivelli, la Lombardia ha a disposizione 2,8 milioni di dosi. Ma a quelle vanno sottrarre le 500mila acquistate a ottobre scorso, e cancellate perché non in regola con le autorizzazioni Aifa. Quindi il numero reale di vaccini disponibili è 2,3 milioni. Tuttavia solo gli over 60 qui sono 2.933.000 e i bambini 0-6 anni sono 578.000: totale 3.511.000. A questi vanno poi sommati: cronici, donne incinte, personale sanitario e forze dell’ordine. Tutte categorie che avrebbero diritto al vaccino gratuito.

Che il Pirellone sia in affanno lo dimostra anche l’ultima gara dell’Agenzia degli acquisti: una procedura d’urgenza aperta il 28/10 e chiusa il giorno dopo, con base d’asta da 1.950.000 euro. Alla gara si è presentato un solo concorrente, lo Studio Dr. Mak &Dr. D’Amico Srl, che ha piazzato 120mila dosi di Influvac Tetra a 17,85 euro l’una, più 30 mila dosi di FluQuadri a 18,90 euro. Totale 2.709.000, cioè 759.000 euro in più della base d’asta. “Il sovrapprezzo pagato all’unico fornitore che ha trovato è la dimostrazione che Regione è allo sbando. Che è disposta a pagare qualunque prezzo pur di raccogliere dosi”, dice la consigliera Pd, Carmela Rozza. “Basta pensare che a febbraio fu annullata la prima gara perché ritenne il prezzo di 5,4 euro a vaccino troppo alto. Oggi è costretta a comprarli anche a 29 euro”.

È alle Regioni che spettano le competenze per la determinazione dei fabbisogni dei vaccini influenzali e l’approvvigionamento attraverso gare pubbliche. Non tutte si sono mosse per tempo – come dimostra il caso della Lombardia – per garantirsi la quantità necessaria per vaccinare almeno la totalità della categoria a rischio, e per assicurare una copertura anche alla cosiddetta popolazione attiva. Qualcuno, del resto, aveva già messo le mani avanti. Proprio come Vittorio De Micheli, direttore sanitario dell’Ats di Milano nonché coordinatore del Nitag-National Immunization Technical Advisory Group. “C’è un problema di organizzazione degli spazi e di personale, perché il Covid ha messo in crisi servizi – aveva anticipato De Micheli – ed è probabile che la tanto auspicata partenza in anticipo delle vaccinazioni non si possa fare. In ogni caso, con l’estensione della gratuità a partire dai 60 anni, dosi per tutti non ce ne saranno”. Ora la situazione è critica anche in Piemonte, dove è terminata da parte delle farmacie la distribuzione ai medici di base di 600mila dosi. “Anche con i vaccini per la popolazione a rischio siamo fermi”, dice Marco Cossolo, presidente di Federfarma, la federazione nazionale delle farmacisti. Nella regione guidata da Alberto Cirio è stato infatti affidato a loro il compito di distribuire i vaccini ai medici di base. Solo che le scorte, in tante regioni, siano finite anche nelle farmacie. “Così in Veneto, dove non ci sono per i soggetti non a rischio, che però si muovono, lavorano e sono potenzialmente più esposti al contagio. Così in molte regioni del Sud, a partire dalla Sicilia ”, prosegue Cossolo. “Le cose vanno meglio in Toscana e in Emilia-Romagna”. I vaccini, nelle farmacie, non sono disponibili, ora, nemmeno in Liguria, anche se la Regione ha da poco approvato una delibera che assegna loro una quota del 2%. Questo con la cosiddetta distribuzione per conto, vale a dire in convenzione con il Ssn, per abbattere un prezzo che oscilla dagli 11 ai 22 euro circa. Convenzione che altre Regioni non hanno applicato, con il risultato che le possibilità di accesso alla vaccinazione variano a seconda territori. Solo il Lazio sembra fronteggiare la situazione, sia per quanto riguarda le categorie a rischio sia per la popolazione attiva: le farmacie vengono rifornite con circa 20mila dosi alla settimana. Va ricordato che proprio il Lazio si è visto annullare dal Tar l’ordinanza con la quale aveva imposto l’obbligo della vaccinazione a tutte le persone sopra i 65 anni di età.

Ma come si è arrivati a questo punto? Generalmente i preordini vengono fatti in febbraio. Lo scorso giugno, quando è arrivato il momento della conferma, la scoperta: tutta la produzione interna era stata assorbita dagli ordini delle Regioni. Un balzo del 43% in più. Per un totale di 16,7 milioni di dosi, secondo i dati del ministero della Salute. È stato lo stesso ministro Speranza ad ammettere che la popolazione attiva rischiava di rimanere senza protezione. E ha invitato le Regioni a prevedere una quota di quanto ordinato da destinare alle farmacie. Quota fissata all’1,5% (anche se il fabbisogno era stimato intorno al 7,5). Poi c’è chi ha fatto di più (l’Emilia-Romagna ha stabilito il 3%, il Lazio lo ha portato al 4). Intanto impazzava la ricerca di vaccini all’estero. Stati Uniti, Cina, Svizzera. E all’estero, con importazioni parallele, sono andate a cercarli le strutture private.

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