Le locandine sulla mafia che “si dissocia dallo Stato”, le vignette con Matteo Salvini che dialoga con il coronavirus al grido di “prima gli italiani!” (“mo’ me lo segno” la risposta) fino alle intemerate politicamente scorrette contro i preti, i soldi e il potere. E ovviamente contro i pisani, i principali obiettivi di ogni livornese che si rispetti (“Primi effetti delle radiazioni: è nato un pisano furbo”). Il Vernacoliere, storico mensile di satira labronica conosciuto in tutta Italia, ha raccontato dal suo piccolo angolo di mondo 60 anni di storia italiana. Ma tra poche settimane rischia di non arrivare più nelle edicole: nei giorni scorsi il direttore “libertario e anarchico” Mario Cardinali ha lanciato un accorato appello ai propri lettori perché “si frughino” (in livornese, spendano) per abbonarsi “perché oggi vendiamo 10/15 mila copie ma per reggere abbiamo bisogno di 5 mila abbonamenti”. Altrimenti? Il direttore del mensile non usa mai la parola “chiusura” ma non ci gira troppo intorno: “Dé – esordisce in pieno dialetto labronico – rischiamo di non farcela, la crisi del Coronavirus ha dato il colpo di grazia alle edicole. Ovunque, sui social, in rete e per la strada, ci dicono che siamo ganzi (forti, ndr) ma poi si devono frugare perché se no non reggiamo”. Quindi si sono mobilitati in tanti dal sindaco di Livorno Luca Salvetti al calciatore Alessandro Diamanti dall’Australia fino a Vauro.
D’altronde Cardinali, quando parla della sua creatura, non sembra certo uno che vuole mollare: “Oggi si pensa che per fare satira bastino due battute sui social ma non è così – spiega il direttore – dietro alle nostre locandine c’è sempre un contenuto e un pensiero critico”. E allora, sì che c’è ancora bisogno del Vernacoliere: “Un tempo la satira aiutava la coscienza di classe, le rivendicazioni popolari contro il potere. Ma oggi non è finita: c’è sempre più bisogno di mettere il re in mutande”. E da qui nascono le locandine contro Salvini “abbandonato da Dio” dopo la sconfitta delle elezioni regionali, contro Silvio Berlusconi che da premier si sentiva “eletto da Dio” (e allora “Dio è comunista?” si chiedeva Cardinali dopo le sue dimissioni) o sul Renzi padrone dell’Italia dopo il 41% alle elezioni europee del 2014 (“Renzi, Renzi alalà!”): “Se nella Prima Repubblica i politici erano culturalmente preparati, oggi non è più così quindi è molto più facile fare satira: quando Salvini passa un’estate da ministro in spiaggia a bere mojito la presa per il culo viene da sola”, continua Cardinali.
Ma il Vernacoliere, considerato ormai un Charlie Hebdo italiano, non si risparmia sui temi più politicamente scorretti come la Chiesa (“Anche se io non sbeffeggio Dio o Gesù ma i preti”) ma anche il coronavirus a cui è dedicata l’ultima locandina: “Conte, lasciaci trombà! E’ rimasta l’urtima libertà!” si legge con riferimento al lockdown imminente. “Noi facciamo satira anche sul Coronavirus e sui suoi fenomeni indotti – continua il direttore del Vernacoliere – perché ci serve anche a smitizzare la paura. E questo perché siamo livornesi e nel nostro dna c’è la voglia di non prendersi mai troppo sul serio e di ‘perculare’ sempre tutto e tutti”, dice tra il serio e il faceto. L’importante per Cardinali però è mantenere sempre “la schiena dritta”: “Un giorno venne un pezzo grosso della Mondadori per chiedermi i diritti per stampare 300.000 agende del Vernacoliere – racconta il direttore – tirò fuori la Montblanc e il libretto degli assegni in bianco, ma io rifiutai anche se quei soldi ci avrebbero fatto comodo. La nostra libertà non è in vendita, né allora né oggi”.