L’invito mi era giunto in diretta televisiva venerdì scorso a Agorà, e subito l’avevo accolto. Collegato dal marciapiede di fronte al Pio Albergo Trivulzio, me lo rivolgeva il professor Fabrizio Pregliasco, supervisore scientifico e di fatto unica voce parlante del più grande polo geriatrico italiano: “La aspettiamo, venga a constatare di persona che la nostra situazione è assai diversa da come viene descritta”. Un certo stupore me l’ha poi manifestato Giulia Frailich, che ha la mamma in degenza al Trivulzio e che partecipava alla trasmissione in rappresentanza di Felicita, associazione di familiari per i diritti nelle Rsa: “Strano che la facciano entrare, a noi non è mai stato concesso di essere ricevuti dal direttore generale Giuseppe Calicchio, nonostante le numerose richieste, e con lo stesso Pregliasco siamo riusciti a fare solo un incontro a distanza via Zoom”. Cionondimeno l’appuntamento è stato prontamente fissato. Peccato che, proprio mentre stavo arrivando in via Trivulzio mi perveniva il messaggio di Pregliasco: “C’è un cambiamento, la aspetto nel mio ufficio all’Istituto Galeazzi” (del quale è direttore sanitario). L’accesso alla Baggina tanto cara ai milanesi resta dunque sbarrato, e non è difficile immaginare per volontà di chi. Nonostante le inchieste giudiziarie e amministrative abbiano chiarito che le percentuali di mortalità Covid all’interno del Pio Albergo Trivulzio, per quanto elevate, restino nella media delle altre strutture per anziani dell’area milanese, lì dentro continua a viversi un’atmosfera pesante, da stato d’assedio.
Un clima di terrore – “Un clima di terrore”. La stessa identica espressione viene adoperata da due personalità che non potrei immaginare fra loro più distanti: il settantenne geriatra Luigi Bergamaschini, in pensione dal 1° novembre dopo cinque anni di lavoro al Pat grazie a un protocollo di collaborazione con l’Università Statale; e il cinquantenne tecnico di farmacia Pietro La Grassa, forte di un’anzianità aziendale di 31 anni, coordinatore della Cgil. Non avrei denunciato su Repubblica, nell’aprile scorso, il tentativo di occultare la grave situazione causata dall’esplodere della pandemia nei reparti, se non mi fossero pervenute due testimonianze perfettamente convergenti dal luminare estraneo a qualsivoglia schieramento politico e dal militante sindacale che lì dentro invano tentano di screditare come “testa calda”. Bergamaschini fu esonerato dal servizio il 3 marzo con una mail di contestazione, dopo che il direttore sanitario Pier Luigi Rossi gli aveva rimproverato di aver disobbedito alla volontà superiore di Calicchio. Sua colpa era di aver consentito al personale di utilizzare le mascherine. Tanto che, dopo la sua estromissione, per alcuni giorni fu imposto di levarle. Solo la minaccia di un’azione legale dell’Università Statale consentì il rientro del geriatra. Contagiato dal Covid, a maggio Bergamaschini trascorse quindici giorni sotto ossigeno e in posizione prona all’ospedale San Paolo. Dopo di che è tornato a curare i suoi malati.
La Grassa, a sua volta, mi rivelò il tentativo di far passare le prime morti da Covid per bronchiti e polmoniti stagionali. Da allora sono passati sette mesi, un’ispezione ministeriale, una commissione di verifica promossa da Regione e Comune, un esposto di 150 familiari, ed è ancora in corso un’inchiesta della Procura per epidemia colposa e omicidio colposo. Fabrizio Pregliasco, ricevendomi al Galeazzi, manifesta la convinzione che non emergeranno rilevanze penali. Del resto già a maggio, assumendo l’incarico di supervisore, aveva dichiarato che sul Pio Albergo Trivulzio si era fatta della “panna montata”. A cosa si deve, allora, il “clima di terrore” di cui parlano ancora oggi sia La Grassa sia Bergamaschini? Il direttore generale Calicchio ha scelto di trincerarsi nel più assoluto riserbo, in attesa dell’esito delle indagini che lo riguardano. Ma non solo. Se già prima del Covid esasperava la contrapposizione fra dipendenti fedeli e infedeli, adesso sembra aver inaugurato una vera e propria offensiva intimidatoria.
La nuova offensiva – Da settembre ad oggi si contano 120 provvedimenti disciplinari, quasi il doppio di quelli intrapresi nei cinque anni precedenti. Solo a ottobre La Grassa ne ha ricevuti già sei. Viene accusato di aver pubblicato post diffamatori, di essersi abbassato la mascherina per fumare nella piazzetta vicino al bar, di aver gettato un mozzicone appena spento nel corridoio… “Mai vissuta prima d’ora una situazione del genere, in 31 anni di servizio. Piovono accuse per motivazioni futili a scopo ritorsivo. Vengono comminate sospensioni preventive dal lavoro e sanzioni comunque non proporzionate alle imputazioni. L’ex dirigente degli assistenti sociali licenziato per un presunto conflitto d’interessi ha fatto ricorso e ha vinto. Sono colpiti anche primari e medici per vicende risalenti a diversi anni addietro… È come se si volesse approfittare dell’emergenza per una resa dei conti, inducendo chi può alle dimissioni. Senza contare i 46 fisioterapisti già lasciati a casa e i 30 infermieri con contratto a termine che andranno via a dicembre”.
Come se non ne avesse già avute abbastanza, anche il professor Bergamaschini si ritrova, col collega Francesco Riboldi, accusato per rivelazione di segreti d’ufficio (alla segretaria di Calicchio!) e per cartelle cliniche del 2017 compilate in maniera tale da consentire la permanenza in reparto di pazienti che, se dimessi, sarebbero finiti in mezzo a una strada. “Ormai sono in pensione – dice – ma nei confronti di altri medici assistiamo a veri e propri episodi di mobbing”. Pregliasco sorride imbarazzato di fronte al mio resoconto. Ammette che si sono rafforzati i controlli notturni per verificare che gli addetti non si tolgano la mascherina. Giustifica i metodi accentratori e autoritari di Calicchio con la necessità di porre fine a “una consuetudine di cogestione” che da sempre contraddistingue una megastruttura come il Trivulzio, appesantita da stratificazioni di potere cui non è estranea la lottizzazione politica delle nomine e delle assunzioni.
Il futuro incerto – L’esito però è un clima avvelenato che aggrava una situazione resa difficile dalle precauzioni anti-Covid. Il numero degli ospiti è drasticamente calato, fin quasi a dimezzarsi. Si disperdono molte valide professionalità, come se non bastassero gli elevati tassi di assenteismo ereditati dal passato. Tanto da rendere legittimo un interrogativo: cosa ne sarà del Pio Albergo Trivulzio, in futuro? Sta subendo solo l’esasperato impulso di autotutela del direttore generale sotto inchiesta, o qualcuno sta già predisponendo le condizioni di un drastico ridimensionamento della gloriosa struttura figlia dell’illuminismo lombardo? La tragedia del Covid impone certamente una revisione strutturale delle politiche di assistenza agli anziani. Gli investitori privati sono pronti ad approfittare della crisi del grande polo geriatrico pubblico, tutto da ripensare. Il suo enorme patrimonio immobiliare fa gola a molti. Ma l’ansia da repulisti non favorisce certo una pianificazione trasparente.