Ve li ricordate tutti quegli imprenditori del turismo e dell’agricoltura che hanno trascorso le ultime estati a lamentarsi di quanto, “per colpa del Reddito di cittadinanza”, sia difficile trovare lavoratori? Ebbene, si scopre oggi che in realtà 352 mila beneficiari del sussidio hanno avuto negli ultimi 18 mesi almeno un rapporto di lavoro e una grossa fetta di essi l’ha trovato proprio in quei due settori: oltre 48 mila in bar, ristoranti e alberghi, altri 44 mila nell’agricoltura.
Gli ultimi dati dell’Agenzia per le politiche attive del lavoro (Anpal) smentiscono ancora una volta la tesi – che piace a molta grande stampa – secondo la quale il reddito di cittadinanza spinga chi lo riceve a restare a casa invece che attivarsi per trovare un posto. Tutto sintetizzato nella metafora del divano. Come confermato poche settimane fa dal direttore di Veneto Lavoro, le evidenze dicono il contrario, cioè che queste persone sono pronte ad accettare le proposte, anche le meno appaganti e anche con il rischio di perdere l’aiuto statale. Quando si firma un contratto, infatti, bisogna comunicarlo all’Inps che ricalcola l’importo mensile o addirittura lo revoca se il salario supera la soglia.
Al momento, su oltre tre milioni di percettori, sono quasi 1,4 milioni quelli obbligati per legge a cercare un’occupazione; gli altri 1,7 milioni, invece, sono tenuti solo a seguire un percorso coi servizi sociali comunali perché i problemi che li hanno spinti nell’indigenza non riguardano il lavoro. Fra i cosiddetti “avviabili” quindi, durante un periodo di crisi occupazionale, il 25,7% è riuscito a ricollocarsi almeno per un breve periodo. Questo non significa però un successo dei centri per l’impiego e dei navigator, poiché non c’è il dato sui posti effettivamente creati grazie alla loro intermediazione. Insomma, in molti casi – verosimilmente due terzi del totale – sono stati gli stessi utenti a trovarsi da soli un lavoro.
Nota bene: non è detto che queste persone ora non abbiano più bisogno del reddito di cittadinanza, per almeno due ragioni. La prima è che nel 65% dei casi si tratta di contratti a tempo determinato, inferiori a sei mesi di durata per la gran parte: al 31 ottobre solo 193 mila risultavano ancora attivi, tutti gli altri sono tornati disoccupati. Difficile che un lavoro a termine basti a uscire dalle difficoltà economiche. La seconda è che quasi sempre i ruoli offerti a queste persone dalle imprese richiedono basse qualifiche e prevedono, quindi, bassi stipendi.
A giugno la ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova e il presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini chiedevano di poter utilizzare nelle campagne chi prende il reddito per “sdebitarsi” con lo Stato del sostegno ricevuto. Un appello inutile, a quanto pare, visto che questi erano già disposti a lavorare nelle raccolte, bastava assumerli con regolare contratto.
Proprio i lavoretti stagionali di questa estate, peraltro, sembrano quelli che hanno permesso di compiere lo scatto in avanti nei numeri: mentre al 7 luglio i beneficiari del reddito con un lavoro erano 196 mila, nei successivi quattro mesi sono quasi raddoppiati, e tutto questo mentre l’emergenza Covid ha tramortito la domanda di lavoro. Resterà deluso anche chi pensa che i fannulloni dimorino prevalentemente nel Mezzogiorno: in Campania hanno trovato un posto in 61 mila, in Sicilia 54 mila, in Puglia 37 mila.
Ieri il presidente Anpal Mimmo Parisi, nonostante non ci sia correlazione evidente nei dati, parlando in commissione Lavoro alla Camera ha proposto una proroga di un anno per i navigator (che scadono ad aprile): “Potremmo utilizzare i 65 milioni di euro che sono avanzati”, ha detto. Ne è nato un botta e risposta a distanza con Matteo Renzi, che ha parlato di “follia” e ha chiesto di nuovo le dimissioni di Parisi.
Curiosamente, durante questo siparietto, sotto il ministero del Lavoro andava in scena l’ennesimo sciopero dei precari proprio dell’Anpal servizi, che chiedono da anni la stabilizzazione.