Utili stellari, lavori al palo: perché “la famiglia è felice”

Sarebbe la storia di uno degli investimenti più fortunati che si ricordino nel capitalismo italiano. Se non fosse che non c’è stato nessun investimento. La famiglia Benetton, che insieme a un’allegra compagnia di soci ha preso Autostrade a inizio degli anni 2000 ha incassato una fortuna senza, per così dire, soldo ferire. Una redditività stellare, […]

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Sarebbe la storia di uno degli investimenti più fortunati che si ricordino nel capitalismo italiano. Se non fosse che non c’è stato nessun investimento. La famiglia Benetton, che insieme a un’allegra compagnia di soci ha preso Autostrade a inizio degli anni 2000 ha incassato una fortuna senza, per così dire, soldo ferire. Una redditività stellare, in un settore senza concorrenza, gestendo un monopolio naturale. Per usare le parole di Gianni Mion, da 30 anni tutore finanziario della famiglia, intercettato dai pm genovesi, “il vero problema è che le manutenzioni le abbiamo fatte in calare, più passava il tempo e meno facevamo… Così distribuiamo più utili… E Gilberto e tutta la famiglia erano contenti…”. Gilberto, morto a ottobre 2018, è l’artefice della trasformazione finanziaria del gruppo di Ponzano Veneto, racchiuso nella cassaforte Edizione, che controlla il 30% di Atlantia, che a sua volta controlla Autostrade per l’Italia (Aspi). I numeri illuminano la “contentezza” della famiglia.

Profitti. Dalla privatizzazione (1999) a oggi, Aspi ha distribuito quasi 11 miliardi di dividendi. Solo dal 2009, parliamo di 8 miliardi, la quasi totalità degli utili fatti dal concessionario e confluiti in Atlantia, che a sua volta ha staccato quasi 7 miliardi di dividendi. A Edizione è andato circa un terzo di questo flusso gigantesco di denaro: poco più di due miliardi (e ben oltre 3 miliardi se si parte dal 1999). E questo senza considerare il vantaggio patrimoniale di controllare un colosso che, grazie al bancomat Aspi, è diventato un impero infrastrutturale e che pre-Morandi valeva 20 miliardi in Borsa. A queste cifre andrebbero aggiunti i 7 miliardi di debiti contratti per scalare Autostrade ormai 20 anni fa e poi scaricati sulla società. Benetton e compagnia non hanno speso un euro di tasca propria. Come ha magistralmente ricostruito l’economista Giorgio Ragazzi (La svendita di Autostrade, Paper First) già cinque anni dopo essere entrati in Aspi, avevano quintuplicato il valore di quanto speso “senza aver costruito nemmeno un chilometro di rete e avendo realizzato meno di un quinto degli investimenti previsti nella concessione”. Straordinario.

Redditività. Aspi ha avuto negli anni in media un margine operativo lordo del 50%, scandalosamente alto per la gestione di un monopolio naturale e con pochi eguali nel mondo delle infrastrutture. Come è possibile? Dal 2008 – primo anno di gestione effettiva di Giovanni Castellucci (l’uomo che oggi i Benetton e Atlantia accusano di aver fatto tutto da solo) – fino a oggi, Aspi ha ottenuto un aumento del 27% dei pedaggi grazie a ministeri compiacenti nonostante un traffico in lieve calo: è dunque bastato tenere a freno le manutenzioni per trascinare gran parte di quell’aumento in profitti destinati ad Atlantia.

Manutenzioni. La spesa per investimenti di Aspi è passata da 1,15 miliardi del 2009 a 475 milioni nel 2018, quella per manutenzioni ordinarie è stata sempre inferiore ai 300 milioni l’anno. È la stessa Aspi che ammette di aver lesinato: oggi l’ad di Autostrade, Roberto Tomasi (già numero due di Castellucci), promette di “raddoppiarle nei prossimi 5 anni”. Finora ha detto che le avrebbe aumentate del 40%. Se va bene sono 400 milioni, poco più di quanto fatto dopo il disastro del Morandi.