Nonostante sia esposto con lo Stato per centinaia di milioni, l’ennesimo favore al gruppo Moby dell’armatore Vincenzo Onorato sta per essere apparecchiato dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Non è una novità. Già a luglio scorso, a ridosso della scadenza del contratto fra lo Stato e la controllata Cin per il servizio di continuità territoriale marittima (73 milioni l’anno dal 2012), il governo aveva deciso per una prima proroga fino a fine febbraio 2020, svincolandola perfino dal placet di Bruxelles, con il rischio quasi certo di una procedura di infrazione. Ora si prepara a fare il bis.
Come noto, Cin è morosa per 115 milioni (oltre a 65 milioni da pagarsi ad aprile) verso la bad company statale Tirrenia in amministrazione straordinaria, residuo del prezzo pagato da Onorato per l’acquisto dell’ex compagnia di bandiera. Quando, tra marzo e aprile, i commissari straordinari hanno ottenuto il sequestro dei conti correnti, i ministeri di Infrastrutture e Sviluppo, spaventati dalla minaccia di Cin di stoppare i collegamenti, invece di imputarle l’indebita interruzione del pubblico servizio, hanno imposto la rinuncia del sequestro a fronte del “riconoscimento” del debito da parte di Cin e dell’ipoteca di secondo grado su navi mai nemmeno finite di pagare.
Nel frattempo la nuova scadenza del 28 febbraio s’è avvicinata, ma il Mit non ha bandito la gara. Il ministero ha avviato gli step preliminari previsti dall’Autorità di regolazione dei trasporti (Art), cioè l’analisi di mercato che deve confermare l’esigenza di un supporto pubblico al servizio e definirne i contorni. Ma non ha ancora comunicato l’esito all’Authority. Da quando lo farà, Art avrà 45 giorni per verificare. Se così sarà, si dovrà poi redigere il bando, con almeno 110 giorni per la formulazione delle offerte.
Il Mit, che non ha commentato, è quindi già fuori tempo di quasi due mesi e per garantire la continuità territoriale non potrà che allungare ancora il contratto con Cin. La compagnia di Onorato intanto, insieme alla capogruppo Moby, ha ottenuto dal Tribunale di Milano la dilazione al 28 dicembre del termine ultimo per presentare il piano di ristrutturazione del debito, necessario a fronteggiare la crisi innescata dallo sforzo per acquistare Tirrenia nel 2012.
L’operazione si è rivelata presto azzardata, mentre Onorato ha cominciato a finanziare la politica. Prima di Fratelli d’Italia e fondazione Change di Giovanni Toti, fra 2013 e 2016 è toccato alla fondazione Open, la ormai ex cassaforte politica del renzismo (50 mila euro a titolo personale e 100 mila dalla società). Onorato ha anche siglato contratti con la Casaleggio Associati e la Beppe Grillo srl, che gestisce il sito del fondatore del M5s. Onorato è sempre stato un sostenitore dei benefici fiscali per le compagnie di navigazione che impiegano personale italiano e comunitario. Una norma in tal senso è arrivata nel 2017 per mano del renzianissimo senatore Roberto Cociancich.
Ad ogni modo, con Onorato lo Stato è sempre indulgente. Malgrado rischi già evidenti, per dire, nel febbraio 2016 Tirrenia in amministrazione straordinaria – al cui vertice il governo Renzi aveva posto Beniamino Caravita di Toritto, già avvocato dell’armatore – rinunciò alle ipoteche sulle navi, consentendo a Moby e Cin di riprender fiato. Due mesi dopo, Cin bucò la prima rata, ma ci vollero due anni perché Tirrenia in AS scegliesse le vie legali. A fine 2018, poi, non ha eccepito nulla quando Cin ha trasferito a Moby riserve e dividendi per 85 milioni. Né su un’altra operazione avviata dagli Onorato a fine 2017, quando i figli Achille e Alessandro crearono la F.lli Onorato Armatori Srl, che s’accordò con un cantiere tedesco per la realizzazione di due navi poi sub-noleggiate a Moby e da questa a Cin. Analoga operazione è in corso con un cantiere cinese. Insomma Cin, debitrice verso lo Stato di 180 milioni, sta pagando 4 navi che resteranno agli Onorato quale che sia l’esito della procedura concordataria, la cui situazione è incandescente. Quattro mesi di trattative coi titolari di circa 700 milioni di euro di crediti, da febbraio a secco, non sono bastati per un accordo. La proroga di natale potrebbe essere una boccata d’ossigeno.