La riqualificazione degli scali ferroviari di Milano? È l’arrivo del paradiso in terra, o poco meno: così racconta la narrazione del sindaco, dell’assessore all’urbanistica, degli operatori pubblici e privati coinvolti nella partita (Fs e Coima) e della stampa loro megafono (quasi tutta). Fiumi verdi, foreste urbane, latte e miele e zucchero filato. Diciamo la verità: davvero è una grande occasione per Milano – città ad alto consumo di suolo e ad altissimo inquinamento atmosferico – poter ridisegnare la bellezza di 1 milione e 250 mila metri quadrati di superficie urbana, un’area immensa disposta a corona attorno al centro: quella dei sette scali delle Ferrovie dello Stato (Farini, Romana, Porta Genova, Lambrate, Rogoredo, Greco-Breda, San Cristoforo), un tempo occupate dai binari, dagli scambi e dai depositi dei treni, oggi diventati terreni preziosi da riqualificare. Preziosi per chi volesse ridare a Milano verde, servizi e spazi pubblici, facendola diventare la città più green d’Europa. Ma preziosi anche per chi volesse farci la più grande speculazione immobiliare urbana d’Europa.
Indovinate su quale delle due strade si è incamminata Milano? Ferrovie dello Stato, invece di restituire ai cittadini aree che erano state concesse per fare trasporto pubblico, non residenza privata, si sta comportando da immobiliarista, all’opera per “valorizzare” i suoi terreni, insieme a Manfredi Catella di Coima, diventato ormai il nuovo Ligresti, presente in tutte le grandi operazioni immobiliari della città. Hanno ottenuto dalla giunta guidata da Giuseppe Sala un trattamento speciale, una sorta di piano regolatore su misura: a Milano l’indice d’edificazione è 0,35: così dice il Piano di governo del territorio. Ma questo vale per i comuni mortali. Per Fs e Catella, invece, l’indice d’edificazione medio degli scali ferroviari è 0,65 (allo scalo Farini, il più “pregiato”, arriva anche allo 0,80, che permetterà di costruire edifici per 1 milione di metri cubi). Un regalo che rende gli scali Fs un affare da almeno 2,5 miliardi di euro e che porterà soltanto 50 milioni nelle casse del Comune; che – peggio ancora – rinuncerà alla regia pubblica e lascerà decidere a Fs e Coima che cosa fare di quelle aree che potrebbero cambiare la faccia di Milano.
Sono pochi quelli che osano contrastare le magnifiche sorti e progressive. Tra questi, un gruppo di cittadini che abitano nei pressi dello scalo Farini e che, assistiti dall’avvocato Danilo Daniel, hanno presentato un ricorso al Tar e poi al Consiglio di Stato contro l’Accordo di programma che concede privilegi a Fs e Coima. Hanno calcolato, insieme all’urbanista Sergio Brenna, gli standard urbanistici (cioè le aree a verde e servizi) previsti dal piano per lo scalo Farini e si sono accorti che mancano ben 125 mila metri quadrati di standard. Dovrebbero essere 17,5 metri quadrati per abitante, ma i progettisti (e il Comune di Milano) hanno dimenticato – spiegano l’avvocato Daniel e l’architetto Brenna – la “popolazione fluttuante e degli addetti”, cioè quelli che non vivono nell’area, ma vi giungono ogni giorno per lavoro o per utilizzarne i servizi. Ora la Sezione quarta del Consiglio di Stato ha dato ragione ai ricorrenti e ha disposto il riconteggio degli standard. Ha dato l’incarico al direttore del Dist (Dipartimento di Scienze, progetto e politiche del territorio) del Politecnico di Torino che ha 60 giorni per stilare una relazione in cui rispondere a queste semplici domande: quali sono gli standard urbanistici (verde e servizi) previsti nel Programma di governo del territorio del Comune di Milano approvato il 22 maggio 2012? Quali sono quelli previsti nello scalo Farini? Sono stati calcolati correttamente, o hanno dimenticato la “popolazione fluttuante”? Tra 60 giorni sapremo se a vincere sono il Comune e Catella, oppure i cittadini.