I galloni acquisiti li lascia ad altri: “Direttore? Non mi chiami così, non lo sono da anni”. Un direttore è per sempre. “Non ho più quel titolo, quindi no”. Poche le interviste: “Mi stressano, sono sempre preoccupata del risultato finale, temo fraintendimenti. E poi sono riservata”. Le parole sono importanti, Bianca Berlinguer. “Sono fondamentali”. Anche il termine “gallina”, come l’ha apostrofata Mauro Corona in diretta. “Questa vicenda ha dell’assurdo: sono stata offesa, eppure non mi è stato lasciato il diritto elementare di gestire io stessa la questione; (ci pensa) vengo offesa da un uomo, Corona, e a restituirmi l’onore interviene un altro uomo, il direttore di Rai3, Franco Di Mare, con un atto di autorità inappellabile”.
Sono le nove del mattino, Bianca Berlinguer ha la voce pulita come se fossero le 12; inseguirla è stata un’impresa lunga giorni e giorni, impegni suoi, altri impegni, sempre suoi, poi l’attenzione a cosa accade dentro la sua azienda, più una riottosità nel voler curare un’esistenza perennemente sotto i riflettori, quando le sfumature diventano il primo indice di valutazione generale, anche attraverso un solo pronome possessivo: quando parla della mamma diventa “mia madre”, il padre è “papà”, come ad accettare una certa condivisione.
Da subito ha imparato il valore di gesti e parole.
Da bambina no; papà ha iniziato a diventare un personaggio pubblico dal 1969; (sorride) ricordo un episodio chiave, il passaggio dal prima al dopo: noi tre figli, Laura non era ancora nata, eravamo con lui in autogrill; a un certo punto si avvicina un signore e gli chiede l’autografo. Noi spiazzati.
E poi?
A casa lo raccontiamo a mamma e lei, nel ruolo di chi riporta tutti sulla retta via, rivolge lo sguardo verso papà, e chiude la vicenda con “stai attento, magari un giorno ti fanno firmare una cambiale in bianco”. Noi scoppiammo a ridere.
Torniamo all’oggi: giovedì sera il suo Corona era su La7 da Formigli…
Che situazione strana; ogni volta che lo invitano, prima di accettare, mi chiama per chiedermi, per così dire, il permesso; (silenzio) anche lui sta patendo la situazione e il non aver avuto la possibilità di spiegare.
Più e più volte si è scusato.
In questi tre anni di collaborazione tra di noi è nato un rapporto di affetto.
Dopo il “gallina”, quando vi siete chiariti?
Privatamente la sera stessa; è un personaggio controverso che ha costituito un fattore di originalità dentro la trasmissione e, con la sua tonalità di cultura popolare, ha rappresentato un segno distintivo.
Il vostro inizio era un punto fermo.
Quel ruolo è nato piano piano, mi divertivo e quando c’è stato il lockdown il riscontro del pubblico è stato intenso: ci scrivevano per ringraziarci di quella mezz’ora di vero intrattenimento.
E quando le ha detto gallina, cosa ha pensato?
In quel momento gli ho risposto con durezza, ma non pensavo si sarebbe arrivati a tanto. E ripeto: non mi è stato lasciato il diritto di gestire l’offesa.
Estromessa.
È diventata una questione tra maschi.
Con Di Mare ha parlato?
La sera stessa del fattaccio, Di Mare mi ha inondato di messaggi, da mezzanotte alle due del mattino, con un solo contenuto: “Mai più Corona in trasmissione”. E io: “Ne parliamo domani”.
L’incontro.
Molto acceso ed è finito male; appena sono entrata nella sua stanza, l’incipit è stato: “Quell’uomo non tornerà più nella tua trasmissione, questa offesa non può passare impunita”. E io: “Non spetta solo a te valutare l’entità dell’offesa. Sono in grado di risolverla da sola”.
Che danno le ha arrecato l’assenza di Corona?
Gli ascolti vanno bene, ma con lui sarebbero andati sicuramente meglio; il danno è anche per me, mi manca un po’ di leggerezza e gli spettatori se ne lamentano continuamente. D’altra parte, ci sarà un motivo se una volta escluso da #Cartabianca, Corona viene richiesto da tutte le trasmissioni concorrenti.
Perché Franco Di Mare si è impuntato?
Non lo so. E me lo sono chiesta ripetutamente. I nostri rapporti si sono limitati al caso Corona, per il resto non ho mai avuto alcun confronto con lui.
Come ne uscirete?
Per ora non ci sono margini. E la vicenda ha accentuato la mia sensazione di solitudine in Rai.
Come mai?
Neanche quando Campo Dall’Orto mi ha rimossa da direttore del Tg3 ho avvertito qualcosa di simile: con lui ci siamo incontrati, confrontati, scontrati, mentre adesso sento di non avere interlocutori.
Mancano a lei, o è una questione generale?
Non lo so. Un esempio: mentre La7 e Mediaset portano avanti una politica di squadra molto decisa e compatta, e vietano ai loro volti di frequentare altre tv, la Rai si muove in ordine sparso e così capita che, più volte, mentre è in onda la mia trasmissione, su La7 siano presenti figure note dell’azienda, addirittura una sua ex presidente.
Con chi si sfoga?
Per esempio con Lucia Annunziata, amica da anni.
Quando è diventata direttore, come è cambiato l’approccio verso di lei?
Ho avuto il privilegio di nascere in una famiglia dove non c’è mai stata differenza di educazione tra maschi e femmine.
Un esempio.
Prima di una certa età non potevamo partire da sole con il fidanzatino, e questo valeva anche per Marco; e così per l’orario di rientro serale.
È lui che si è schiacciato su di voi o voi che vi siete avvantaggiate di lui?
(Ride) È reciproco; comunque quando sono diventata direttore mi sono accorta di cosa voglia ancora dire essere una donna al vertice; (riflette) oggi in Rai non c’è una donna al comando né dei Tg né delle reti.
In sintesi?
Era dura far digerire che fosse una donna a prendere decisioni.
Ha fama di carattere tosto.
Fin da piccola sono stata abituata ad assumermi le mie responsabilità; e mia madre sosteneva: “Quando ti metti in testa qualcosa smuovi le montagne”. Insomma, sono cocciuta.
Di lei ha detto Minoli: “Quando l’ho conosciuta era ambiziosa ai limiti dell’arroganza”.
Sono arrivata da lui poco dopo la morte di papà. Essere dura era più che altro una necessità.
Allora non è ambiziosa.
Lo sono, ma non secondo quella descrizione; (ci ripensa, e mentalmente torna a Di Mare) preferisco un direttore che sbaglia, ma prende decisioni, a uno che tergiversa.
Di direttori ne ha avuti molti: Curzi tergiversava?
Un decisionista, e con lui avevi la sensazione di avere le spalle coperte.
Secondo la Sciarelli poteva mettere paura.
A me no; era duro, ma era sempre presente: d’estate si prendeva al massimo una settimana di vacanza e andava a Fregene (30 chilometri da Roma). In quella settimana chiamava in continuazione.
Nel 1990 dove immaginava il suo futuro?
Come giornalista di carta stampata. Il caso ha voluto che incontrassi nel 1985 Minoli e la mia fortuna è stata quella di entrare a Mixer: una vera scuola di giornalismo.
Il lavoro l’ha aiutata a elaborare il lutto?
Tanto, ma certe volte mi rendo conto di non esserci riuscita completamente anche perché quel mio dolore rifletteva un lutto collettivo.
Ritrovava suo padre ovunque.
E con grande affetto da parte di tante persone; (cambia tono) c’è un punto centrale: quando abbiamo raggiunto papà a Padova, ed era già in coma, qualcosa di più grande di noi si è messo in moto, oltre alla macchina organizzativa del Partito comunista, una fortissima emozione collettiva che ci ha in qualche modo travolti.
Non è rimasta sola con il suo dolore.
E neanche con mio padre dopo che è morto. Ma è bello sapere che gli viene riconosciuto di aver lavorato per il bene di tutti e ripenso a una sua frase, la mia preferita: “Siamo convinti che il mondo, anche questo terribile e intricato mondo di oggi, possa essere conosciuto, trasformato e messo al servizio dell’uomo, del suo benessere e della sua felicità”.
C’è una parte della sua storia che il tempo sta distorcendo?
È accaduto negli anni Novanta, quando alcuni degli eredi del suo partito hanno provato ad addossargli colpe non sue, sulla base del solito alibi: i ritardi di oggi dipendono dalle scelte di allora. Ma sono stati i militanti a difenderlo.
Cosa ne pensava dei leader del partito di allora?
Non li abbiamo frequentati molto, papà ha sempre diviso rigorosamente la vita privata da quella pubblica, anche se, quando poteva, portava uno di noi figli in giro per l’Italia.
Il dirigente con il quale si trovava meglio?
Ricordo Ingrao a Padova: con papà c’erano differenze politiche, ma in ospedale lo vidi trasfigurato dal dolore.
Ai tempi del terrorismo ha mai avuto paura?
Solo per papà, non per noi.
E lei come giornalista?
A volte temo di non essere all’altezza delle responsabilità, e ancora ho qualche timore il martedì, prima di entrare in studio.
Non va a dormire subito.
(Ride) No! Andavo a cena con Claudia e Maddalena fino a quando si poteva, poi tornata a casa ci metto molto a struccarmi.
Mannoni protesta per il ritardo nel dargli la linea. La cosa la diverte?
No, mi fa arrabbiare, non rido per niente.
Un punto di riferimento femminile.
Mia madre. Mi ha insegnato a contare su me stessa, e l’importanza dell’indipendenza economica.
Ha mai ricevuto uno schiaffo da un uomo?
Mai; anche qui, mamma ci ha insegnato: “Se capitasse, girate le spalle, uscite dalla porta e non voltatevi mai indietro”.
Si sono mai avvicinati a lei per rubare un pezzetto del suo cognome?
Gli amici e i fidanzati no, poi, essendo noi quattro figli, la nostra casa era molto incasinata.
Tipo?
Mangiavamo in orari sballati: a pranzo aspettavamo papà e magari arrivava alle tre, e a tavola potevano scoppiare discussioni accese, e lui a ripetere “state calmi, state calmi”.
Un “perché” che si porta dietro da sempre.
(Ci pensa) Ne ho uno molto tradizionale: nonostante i grandi progressi, perché continua a crescere lo scarto tra chi è molto ricco e chi è molto povero?
Un segreto italiano del quale vorrebbe la verità.
Sono davvero tanti; la strage di Piazza Fontana, senza colpevoli dopo oltre 50 anni.
Più di Moro?
Quel giorno non lo dimenticherò: ero a scuola, finisco il compito di Greco, esco e trovo molte mamme, non la mia, che in tono concitato ci invitavano a tornare subito a casa “perché c’è il rischio di un colpo di Stato”. Da allora la nostra vita cambiò.
E…
§Volevano dare la scorta anche a noi figli e papà ci chiese un parere. Noi eravamo molto perplessi e non se ne fece nulla.
Il suo personaggio letterario preferito.
Farò arricciare il naso a qualcuno, ma scelgo un personaggio popolare come Rossella O’Hara, una donna che è riuscita a rialzarsi con le sue forze dopo molte cadute e molte fatiche.
Nel 1980 suo padre ha dichiarato di voler invecchiare mantenendo intatti i suoi ideali da ragazzo…
(Sorride) Sì, ma non posso paragonare i miei ai suoi. Gli ideali di papà sono stati il senso della sua vita, oggi è molto più complicato.
(E se domani è un altro giorno, magari lo sarà anche per Mauro Corona a #Cartabianca)