La parte del leone la fa la “Transizione energetica”, 74 miliardi in 6 anni, fanalino di coda, per così dire, la Salute (9 miliardi) ma ci sono anche Digitalizzazione e cultura (48,7 miliardi), Infrastrutture e mobilità (27 miliardi), Istruzione (19,2), parità di genere e coesione sociale (17,1). Oggi il Consiglio dei ministri approverà il Recovery Plan italiano, il piano per spendere in sei anni i 196 miliardi: 78 in sovvenzioni (di cui 13 del programma Ract Eu), la parte rilevante perché destinata a programmi aggiuntivi, e il resto in prestiti in arrivo dal Recovery fund europeo. Nelle 126 pagine della bozza di documento ci sono gli stanziamenti per le 6 missioni “prioritarie”. Il livello di dettaglio non è elevato, non c’è l’elenco puntuale dei progetti. Ma a balzare all’occhio è la struttura messa in piedi per attuare il piano. Una specie di governo ristretto e parallelo con enormi poteri in deroga e corsie accelerate per i progetti. Lo schema prevede dei “responsabili di missione” (si pensa a 6 manager, di cui uno “coordinatore”) inquadrati in una “struttura di missione” a Palazzo Chigi, che li nomina. Saranno i veri responsabili del Piano, redigeranno programmi e tempistiche, vigilando sui lavori perfino con poteri sostitutivi se le amministrazioni non rispettano i tempi. La struttura potrà assumere uno stuolo di figure a supporto, anche fuori dalla Pubblica amministrazione (si parla di un centinaio) e con stipendi in deroga alle norme attuali, guidati da un “direttore amministrativo”. La struttura arriverà con un decreto ad hoc e dipenderà da un Comitato esecutivo formato dal premier Giuseppe Conte e dai ministri Stefano Patuanelli (Sviluppo) e Roberto Gualtieri (Economia) che a sua volta risponde al Comitato interministeriale per gli Affari Europei (Ciae), presieduto dal Conte e coordinato dal ministro per gli Affari Ue Enzo Amendola. I ministeri potranno solo interfacciarsi con i Responsabili, ma il potere di rimuoverli spetta a Chigi. Industriali e sindacati saranno coinvolti in un comitato solo consultivo.
L’altra novità dirompente riguarda gli iter autorizzativi. I progetti avranno una corsia preferenziale unica nel suo genere. Nel documento vengono classificati come “prioritari e a rilevanza strategica”. Usufruiranno delle norme dello Sblocca cantieri di luglio, cioè il “modello Genova” con commissari che operano in deroga alla legge, ma arriveranno anche nuove misure per evitare attriti con le Regioni e accelerare le autorizzazioni, anche quelle ambientali. Par capire: l’idea di Palazzo Chigi è che la Valutazione di impatto ambientale dei progetti venga accelerata e di fatto sottratta al ministero dell’Ambiente per consegnarla alla Struttura di missione.
Sui nomi è ancora buio pesto. Non saranno i grandi manager di Stato, ma le partecipate (Eni, Enel etc.) saranno coinvolte (i loro piani sono stati consegnati al governo a giugno), anche perché intercetteranno molti dei fondi.
Green. Efficienza energetica, gas e idrogeno
All’efficienza energetica è dedicata oltre la metà delle risorse della missione “Rivoluzione verde e transizione ecologica”: 40,1 miliardi su 74,3 totali. C’è “l’estensione del superbonus edilizio del 110% e un piano per l’efficientamento degli edifici pubblici. Poi, un po’ di tutto: economia circolare, interventi per rendere “green” l’agricoltura e potenziare la gestione dei rifiuti. C’è un capitolo sulla mobilità sostenibile: infrastrutture per auto elettriche e per l’idrogeno liquido, rinnovo parco mezzi pubblici e privati. La parte rilevante è fatta di ciclovie, colonnine per le auto elettriche, piano per la riduzione delle emissioni ed uno, molto valido, per le risorse idriche e la prevenzione del dissesto idrogeologico. Manca però l’efficientamento energetico del settore produttivo e si parla molto di idrogeno senza specificare se proveniente da rinnovabili o gas (le lobby petrolifere sono a lavoro). Il supporto delle “pipeline” sembra indicare le infrastrutture del gas di Snam (a partire dal Tap).
Infrastrutture. Molta Tav e manutenzioni. 4 miliardi ai porti
Il documento è nuovo, ma il grosso del piano è vecchio: molta alta velocità ferroviaria, in particolare – sembra di capire – la Napoli-Bari e la contestata Tav in Sicilia. A questo fine – che comprende anche un po’ di manutenzione su strade, ponti e gallerie, oltre al monitoraggio delle opere ovviamente “digitale” – sono stanziati 23,6 miliardi: anche qui si va di fretta e si allude a una sorta di modello Genova anche in collaborazione con Rfi (“semplificando le procedure ed eliminando fasi ridondanti”). Altri 4,1 miliardi sono dedicati ai porti: in larga misura andranno a Genova e Trieste, “per lo sviluppo delle infrastrutture portuali e terrestri di interconnessione”.
Salute. Medicina territoriale e ospedali più digitali
Nel piano finisce un pezzo del progetto di riforma del Ssn illustrato da Roberto Speranza in questi mesi, quello che riguarda la digitalizzazione e la telemedicina (gli ospedali, però, potrebbero essere interessati dagli interventi di efficientamento e rigenerazione). Di fatto 4,8 miliardi vanno a “assistenza territoriale e telemedicina”: l’idea è creare un modello di medicina, anche preventiva, di territorio fuori dal modello ospedale-centrico. Per questo servono medici, infermieri e strutture e capacità di usare i dati dei pazienti rendendo più semplice l’assistenza domiciliare. Altri 4,2 miliardi, invece, andrebbero a “Innovazione, ricerca e digitalizzazione dell’assistenza sanitaria”: in larga parte si tratta di ammodernare il sistema sanitario, specie il “parco tecnologico degli ospedali” e garantire che dialoghino con la sanità territoriale (realizzando davvero il Fascicolo sanitario elettronico).
Digitale. Cloud per la Pa. 35 miliardi per Rete e imprese
Dieci miliardi vanno alla digitalizzazione della Pubblica Amministrazione. È previsto un cloud nazionale per assorbire gli attuali “11mila data center” di “22mila enti pubblici” (7,5 miliardi di spesa annua) che hanno enormi problemi di sicurezza. Si punta alla “piena interoperabilità dei dati” per arrivare al principio ‘once only’ (cioè la richiesta di dati una volta sola da parte della Pa). Si conserva e si potenziano i server fisici solo per i dati dei cittadini considerati “critici”. Per gli altri (sarà fondamentale capire la differenza) si ricorrerà ai servizi cloud sul mercato, da Google ad Apple a Tim. Prevista pure l’istituzione di un apposito “centro di sviluppo e ricerca sulla Cybersecurity”. È la fondazione cara a Conte contro cui Pd e Italia Viva minacciano sfracelli. La fetta più grande, 35,5 miliardi, è destinata a “Innovazione, competitività, digitalizzazione 4.0 e internazionalizzazione”, cioè fondi alle imprese (sgravi sugli investimenti). Previsto anche il potenziamento della banda ultralarga e la spinta sul 5G. Digitalizzazione è la parola chiave pure per cultura e turismo. Nonostante il comparto sia il più colpito, vengono destinati a questa voce solo tre miliardi. Pochi soldi e pochissimi progetti specifici “strategici” tra cui la Biennale di Venezia e la Biblioteca europea di informazione culturale di Milano mentre si aspira a maggiori “sponsorship” tra attori pubblici e privati.
Istruzione. Istituti tecnici potenziati, come i dottorati
Sono 19 i miliardi che si divideranno scuola e università. Per la prima, compare la terribile parola “riforma”, in questo caso della selezione del personale scolastico che integri “le attuali procedure concorsuali: in pratica si dovrebbe intesificare il periodo di prova dopo il concorso. Viene potenziata la formazione continua del personale e l’ammodernamento tecnologico degli istituti tecnici anche coinvolgendo i privati. Per le università si parla di “una maggiore incidenza dei crediti formativi in materia digitale e ambientale” con l’istituzione di nuovi dottorati di ricerca in questi ambiti e, anche qui, coinvolgendo i privati.
Coesione e parità di genere 4 miliardi agli Asili nido
È un insieme di piccoli interventi, non del tutto dettagliati, che dovrebbero sanare le diseguaglianze più dolorose. L’incentivo all’occupazione femminile, ad esempio, passa soprattutto su più asili nido e scuole per la prima infanzia e in maggiori servizi alle famiglie nelle attività di cura di anziani e portatori di handicap. Vale 4,2 miliardi, uno in più di quanto stanziato per “giovani e politiche del lavoro (potenziamento dei centri per l’impiego, sgravi alle assunzioni, servizio civile universale). Quasi 6 miliardi vanno alla coesione sociale: tra gli interventi il classico “sport e periferie” con la creazione di cittadelle dello sport nei Comuni e finanziamenti per la rigenerazione urbana, l’housing sociale e l’edilizia residenziale pubblica. Infine 3,8 miliardi saranno dedicati alla “coesione territoriale”, soprattutto piani di intervento già esistenti, tipo quello per le aree montane o terremotate o energetico per Sardegna e piccole isole.
di Virginia Della Sala e Carlo Di Foggia