L’Istat ha comunicato che la popolazione italiana ammonta a 59,6 milioni di abitanti e come sempre ne ha messo in evidenza l’invecchiamento: età media 45,2 anni, con il 23% oltre i 65 anni e solo il 13% di giovanissimi sotto i 15 anni. In generale questo dato viene visto come un grave problema: come faremo a pagare le pensioni? Perderemo l’identità nazionale a vantaggio degli immigrati di culture diverse! Ci troveremo una società anziana più statica e meno creativa. Aumenteranno le spese di assistenza sanitaria. Quindi tutti in coro: bisogna aumentare la natalità, famiglie italiane tornate a fare più figli!
Certamente sul piano sociale questa soluzione appare condivisibile: una società giovane è più dinamica, vivace, intraprendente, allegra e produttiva di una composta da vecchi. Ma questa è la classica soluzione semplice a un problema complesso. E infatti di solito è sbagliata. Qual è il problema? Che non si fanno mai i conti con le risorse dell’ambiente che dovrebbe sostenere quella popolazione, la cosiddetta capacità di carico, ovvero il numero di esemplari di una specie che un certo territorio può sostenere senza collassare per eccessivo prelievo di cibo o eccessivo rilascio di rifiuti.
Vediamo questi numeri: densità abitativa italiana poco meno di 200 per chilometro quadrato, ovvero 5000 metri quadri a testa, mezzo ettaro di patrio suolo, inclusivo delle pietraie improduttive, delle zone cementificate, delle foreste e dei campi coltivati, che ammontano alla metà di questa superficie e devono darci da mangiare. Pochini. Ci sono anche i mari che forniscono sempre meno pesce. E infine dobbiamo pure smaltire i rifiuti su quello stesso suolo, e compensare le emissioni di CO2, un po’ la catturano le foreste, ma solo una parte modesta.
Bilancio finale: gli italiani vivono circa quattro volte al di sopra delle risorse naturali disponibili sul proprio territorio. Cioè facciamo festa con le materie prime degli altri (importate da altri Paesi) e ipotechiamo il futuro quanto all’erosione di quelle interne, facendo pagare il prezzo alle generazioni più giovani. Siamo in una situazione di debito, non solo economico ma pure ecologico, questo ben peggiore, in quanto non è sanabile da provvedimenti delle banche centrali, ma si misura in grandezze fisiche, non negoziabili. Quando il suolo l’hai cementificato tutto semplicemente fai la fame, quando l’acqua l’hai inquinata ti ammali, quando il clima diventa estremo ti spezza le reni. Non sono questioni regolabili nei parlamenti.
Di fronte a questo quadro di esposizione e di vulnerabilità aumentare ancora la popolazione sarebbe un azzardo: aumenteremmo anche i consumi e i rifiuti senza averne la possibilità fisica, diventando così più fragili. Per rafforzare la nostra resilienza collettiva bisognerebbe invece scendere un po’ di numero, in modo da consumare e inquinare meno e ovviamente stare tutti bene, invece che essere tanti e stare tutti male.
Apriti cielo! Pronunciarsi contro la natalità diviene un’eresia e non se ne può nemmeno parlare. Diamo un’occhiata anche fuori dai nostri confini per capire in che situazione siamo: attualmente la popolazione mondiale è di circa 7,8 miliardi, cresce al tasso di 220.000 persone al giorno, circa 80 milioni in più all’anno, come una nuova Turchia che si aggiunge al mappamondo. Secondo i World population prospects (Wpp) delle Nazioni unite nel 2050 saremo 9,7 miliardi e nel 2100 arriveremo a 10,9 miliardi.
Già ora il complesso dell’impronta ecologica globale è pari a 1,7 terre, cioè siamo fuori del 70 per cento dal pareggio di bilancio ecologico. Quindi se è vero che la distribuzione delle risorse è altamente ingiusta con pochi super-ricchi e miliardi di super-poveri, è anche vero che dal punto di vista fisico ciò non ha alcuna importanza, visto che ciò che conta sono i prelievi di materie prime e la restituzione di rifiuti complessivi. Bisogna rientrare prima possibile nei limiti fisici del pianeta, che non decidiamo noi, ma sono stabiliti a priori dalle leggi di natura.
Se non lo facciamo semplicemente porteremo al collasso la nostra società e la biosfera, come ormai confermato da una moltitudine di studi autorevoli, cito per tutti l’Alliance of world scientists che pubblica i vari “Scientists’ warnings”, gli allarmi degli scienziati sui processi terrestri fondamentali dai quali dipende la nostra esistenza. Anche a livello globale sarebbe saggio essere di meno e stare tutti bene invece che troppi e stare quasi tutti male, con pochissimi che stanno troppo bene.
Si dice che la tecnologia ci salverà, aumentando la produzione di cibo, evitando l’inquinamento e basandoci sulle energie rinnovabili: una bella fiaba non sostenuta dai numeri. Vero che questo è lo scenario che dobbiamo raggiungere e pure in fretta, ma è già così difficile realizzarlo ora che pensare di renderlo più efficace aggiungendo altri miliardi di persone è folle. Le Nazioni unite sostengono giustamente che una migliore educazione ed emancipazione delle donne nei Paesi poveri potrebbe automaticamente diminuire il tasso di fertilità: da fare. Ma da noi, dove si è già arrivati a questo risultato in modo spontaneo, perché bollarlo come imbarazzante e cercare di invertirlo?
È più facile fare la riforma delle pensioni, tollerare qualche decennio di transitorio invecchiamento della società, assecondare la naturale decrescita e poi mantenere un tasso di rinnovamento demografico stabile con un mix ottimale di giovani e anziani. Stabilità è la chiave della sostenibilità, non crescita continua in un ambiente limitato, che è un postulato irrealizzabile. Avremo un’Italia più sicura e più autonoma sul piano energetico, agricolo e dei rifiuti.
Purtroppo ogni approccio alla questione popolazione-risorse-rifiuti viene spazzato via da atteggiamenti ideologici, impedendo una serena valutazione delle condizioni fisiche che comandano più delle nostre aspettative culturali. Nei cinque minuti che avete impiegato a leggere questo articolo altre 764 persone si sono aggiunte al pianeta. La bomba demografica fa tic-tac.