Dice Matteo Renzi, quasi a rilanciare la provocazione, che “se il premier vuole la conta accettiamo la sfida”. Traduce, parlando al Messaggero, quel timore che ormai puoi toccare un po’ dappertutto, tra governo e Parlamento: il premier gioca d’azzardo e i numeri, alla fine, non è affatto detto che ci siano. Lo prevede il Pd, lo intuiscono i 5 Stelle: quella di Conte è una scommessa che forse il suo secondo esecutivo non si può permettere. Perché i “responsabili” con cui il presidente del Consiglio sogna di sostituire la pattuglia renziana sono una stampella fragile e probabilmente numericamente insufficiente a tenere accesa la fiammella giallorosa.
Così, a poche ore dal consiglio dei ministri che dovrà riscrivere le pagine del Recovery Plan che poi approderà alle Camere, la strategia del presidente del Consiglio rischia di viaggiare su binari diversi da quella dei suoi ministri e della maggioranza che lo sostiene. Non tanto perché – tolta l’ex forzista Sandra Lonardo – ieri è stato tutto un fuggi fuggi di responsabili, da Lorenzo Cesa a Giovanni Toti: ripetere che loro resteranno all’opposizione, è il ragionamento condiviso, fa parte del gioco, è una parte da recitare nella trattativa. Piuttosto, ad agitare le acque è il fatto che il premier abbia decisamente abbandonato ogni altra strategia. Il rimpasto, per esempio, che fino a un paio di settimane fa sembrava il naturale inizio del nuovo anno, oggi è “escluso” dai più autorevoli esponenti della maggioranza. Giuseppe Conte non vuole nemmeno provare a mettersi in mezzo ai veti e ai controveti dei partiti, consapevole che sarebbe una partita che si sa come inizia e non come finisce.
Ma soprattutto, ragiona il presidente del Consiglio, significherebbe rimanere ostaggio continuo di Italia Viva, da sempre spina nel fianco dell’esecutivo. L’occasione per sbarazzarsene, insistono, è ora o mai più.
Chi sta lavorando alla nascita dei responsabili, d’altronde, rassicura il premier che la strada che ha deciso di intraprendere sia quella giusta: “Ci sono diversi renziani che non seguiranno il suicidio del loro leader – spiegano – e tanti berlusconiani che non si riconoscono nella destra di Matteo Salvini e Giorgia Meloni: i numeri per l’operazione ci sono, vedrete”.
Non è proprio quello che si potrebbe dedurre dalle dichiarazioni di ieri. A parte la Lonardo, dicevamo, “pronta a raccogliere l’appello” di Conte, il resto della pattuglia centrista prende le distanze dal progetto: “Non siamo utili idioti né servi sciocchi”, dice l’Udc Antonio Saccone. “Il nostro Paese merita altro”, aggiunge Giovanni Toti, mentre Gaetano Quagliariello subito ribattezza il gruppo in “responsabili a nostra insaputa”.
Ma al di là delle dichiarazioni che fanno sempre in tempo a cambiare toni, il tema vero riguarda la stabilità dell’operazione nel suo complesso. Ragiona una fonte Cinque Stelle: “Noi per primi stiamo spingendo per tirare dentro questa pattuglia, ma ci rendiamo conto con chi dovremo trattare poi? Per il governo Conte questo diventa l’inizio della fine”. Il succo è chiaro: il piano di Conte per liberarsi di Renzi rischia di farli ritrovare in casa con un nemico peggiore, perché almeno “con Iv avevi un interlocutore unico, questi sono cani sciolti, per di più con nomi e cognomi indigeribili per noi”.
Nessuno si spreca in previsioni, da qui al 7 gennaio tutto può cambiare. Finora Conte non ha convocato vertici di maggioranza, ma è chiaro che sono tutti mobilitati. E sperano che il premier, in testa, abbia qualcosa in più del replay del discorso al Senato dell’estate scorsa, quando sfidò (e vinse) Matteo Salvini: “Quella volta – riflettono ancora nel Movimento – fu una tecnica che spiazzò l’avversario, che tra l’altro era di tutt’altra pasta politica: stavolta il nemico conosce lo schema, difficile che non abbia pronta qualche pallottola da sparare”.
Una, gliela offriva già ieri sera la berlusconiana Micaela Biancofiore: “La mossa del cavallo di Renzi, questa volta non può che essere l’offrire la guida dell’esecutivo al centrodestra diventando perno dell’espansione di un’ampia area liberal-democratica di stabilizzazione che può, o forse deve, arrivare a comprendere l’ala dimaiana dei 5 stelle”. Se non c’è Conte, c’è posto per tutti.