Questo viaggio si compie in silenzio. A guidarci è l’ininterrotto correre, frusciante e stropicciato, della penna d’oca sulla pergamena. E se per partire verso Hogwarts Harry Potter deve attraversare il muro del binario 9 e ¾ della King’s Cross Station, a noi invece basta accettare il regalo che il Complesso della Pilotta di Parma lo scorso dicembre ci ha fatto – uno dei tesori della Biblioteca Palatina, i 35 manoscritti greci realizzati tra il X e il XVIII secolo, sono stati digitalizzati e messi online su Internet Culturale – per precipitare dentro agli scriptoria medievali. Divisi tra fondo Parmense (risalente agli illuminati bibliotecari del 700 Paolo Maria Paciaudi e Giovanni Bernardo De Rossi) e fondo Palatino (dei duchi Borbone di Parma), costituiscono una capsula del tempo per penetrare i segreti della proto-editoria. Anche la realizzazione del libro medievale era un lavoro di squadra.
Prima di tutto il luogo. Ne Il nome della Rosa, Umberto Eco ci fa immaginare squadre di monaci in stanzoni con grandi vetrate. Ciascuno (antiquari, librarii, rubricatori, alluminatori) con il proprio ruolo. In seconda battuta, gli strumenti. Dato uno scrittoio con piano d’appoggio inclinato, occorrevano: pergamena o vello che venivano raschiati con un coltello e poi essiccati e tagliati, oppure carta (che si imporrà a partire dal XV secolo); l’inchiostro, realizzato con una mistura di nerofumo e gomma, oppure a base di noce di galla e solfato di ferro; infine la punta d’oca, che doveva provenire dall’ala sinistra per avere una naturale curva sulla destra. Come vediamo in Ilias copia (Ms. Parm 1130), l’antiquarium Demetrio Xantonthopoulos ha vergato in inchiostro bruno una copia cartacea non miniata de l’Iliade, aggiungendovi in seconda lettura le glosse e i titoli, mentre i marginalia (i commenti a margine scritti in rosso) sono affidati ad altri due copisti. Il rosso, per esempio, poteva essere a base di cinabro, solfato di mercurio, estratto sul Monte Amiata (Siena).
Molto più articolati erano i testi sacri: nel corpus palatino, vi è un codice membranaceo (su pergamena) risalente al 940-960 d. C., un pregiatissimo Tetravangelo su cui oltre al copista hanno messo mano un miniatore per le iniziali zoomorfe e floreali di ciascun vangelo dal verde al blu, un rubricatore per i capolettera rossi, e un alluminatore per le campiture oro. L’imitatio dell’antico era dunque lo strumento dello scriptorium per serbare la memoria non solo del sacro, ma anche del mondo classico in generale. Senza la loro opera, poco sarebbe giunto fino a noi. Sfogliando i codici, scoviamo miscellanee di geografia e medicina, ma anche di astronomia e astrologia, a testimonianza del fatto che le domande sullo Spazio e su un mondo trascendentale non religioso sono una costante dell’uomo. Soprattutto, si scopre un vero caposaldo della cultura occidentale: l’Erotemata di Manuele Crisolora.
Si tratta della prima grammatica di greco pubblicata nell’Europa occidentale da colui che fu il pioniere dell’insegnamento (ebbe nel XIII secolo a Firenze la prima cattedra di greco) e della diffusione della letteratura greca. Una Stele di Rosetta che fu un best-seller del tempo, tanto che lo abbiamo in versione hard-cover – in cui un antiquarium verga le parti in greco, un librarium quelle in latino, e ancora altre mani si occupano dei marginalia – e in versione tascabile, integralmente realizzato da un solo copista.
Non è, infatti, una forzatura parlare di proto-editoria, se pensiamo che oltre alla Bibbia e a classici come Tucidide e Sofocle, i copisti seguivano anche le mode del tempo. Lo dimostra il codice dei Discorsi sulla regalità di Dione Crisostormo: è uno Speculum principis (letteralmente specchio del principe), cioè un manuale di virtù ad uso dei reggitori, genere letterario di grande diffusione nel mondo antico e tornato molto in auge nel Medioevo come oggi da noi pullulano i manuali per vivere healty e sistemare il guardaroba. Copiato dall’amanuense Iacobo Diassorino, essendo un testo per le classi agiate è finemente ornato da fregi arabescati e fitormorfi, capolettera miniate in oro e una particolare sfumatura di rosso, il “sangue di drago”.
Per introdurre la preziosa figura dei revisori che controllavano il lavoro dei copisti, sfogliamo invece un codice rarissimo del XIII secolo: l’Etimologico di Simeone grammatico, vergato da un solo copista con un ductus corsivo ma irregolare. Tale irregolarità, unite allo scoloramento dell’inchiostro, ha portato due mani posteriori a integrare le lacune, come per esempio l’invocazione iniziale “Kurie” (Signore). E che sia importante avere più occhi a rileggere un testo lo spiega bene la mela del paradiso terrestre – venuta fuori dal fatto che in latino il termine che indica il male e la mela è lo stesso, “malus”/ “malum” – che in realtà era un fico.