196 miliardi. È questa, grosso modo, la cifra che l’Europa ha destinato all’Italia all’interno del programma Next Generation Europe che dovrebbe portare il Vecchio Continente fuori dalle secche dell’emergenza dovuta al Covid-19 con un percorso diretto verso la decarbonizzazione. Quella italiana è la cifra più alta assegnata a un unico paese che l’Europa vuole sia destinata per la maggior parte al green. E infatti il Governo ha fatto una enorme comunicazione circa il green del Piano Nazionale di Ripesa e Resilienza (PNRR) che dovrebbe accogliere gli input della UE. E se ci si ferma alle tabelle riassuntive del PNRR della ultima bozza datata 29 dicembre sembrerebbe proprio così. Settantasei miliardi di euro sono destinati alla Misura 2 “Rivoluzione verde e transizione ecologica” mentre altri 28 sono per la Misura 3 “Infrastrutture per una mobilità sostenibile”.
Tradotto: 104 miliardi, ossia oltre sei punti di Pil, il 53% dell’intera somma, destinati all’economia green. Se ci fermassimo qui si potrebbe dire che l’Italia stia virando con grande decisone verso un’economia verde fatta di rinnovabili e circolarità. I due ingredienti principali per un serio impegno sulla decarbonizzazione. Si tratta dell’imperativo ecologico obbligato dalla crisi climatica, e anche, cosa non secondaria, dall’Europa che ha aumentato gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 entro il 2030 al 55%.
Ma c’è una prima osservazione: le 17 “componenti” di interventi presentati si riferiscono a 196 miliardi di spesa, ma solo 89 saranno frutto di risorse aggiuntive, il resto è debito sostitutivo, cioè in pratica si chiede all’Europa di finanziare interventi già finanziati con risorse proprie. La proporzione sembra incoerente, almeno a leggere i programmi.
Le sorprese, però, arrivano semplicemente sfogliando il documento per le Misure 2 e 3. Valori approssimati e neppure tanto coerenti quando occorre riferirsi alla riduzione delle emissioni di CO2 dovute ai provvedimenti oggetto di questa micidiale iniezione di miliardi, con una serie di “stime in via di perfezionamento”. Il tutto quando l’iter del PNRR è iniziato a settembre. Tre mesi non sono bastati al Governo per fare una stima che in tempi di crisi climatica e di obblighi europei sulle emissioni dovrebbe essere quasi automatica.
Sulla componente “Impresa verde ed economia circolare” troviamo come interventi gli obblighi circa i rifiuti imposti dalle nuove direttive UE, mentre le linee d’azione delle componenti “Agricoltura sostenibile” e “Economia circolare e gestione dei rifiuti” sono tremendamente generiche (“esempi di investimenti ammissibili: rendere le imprese agricole ad impatto ambientale neutro o positivo, ottenimento di certificazioni ambientali, riduzione delle emissioni, miglioramento delle prestazioni”) e si riducono a semplici disamine del deficit impiantistico. Non è affatto generica invece la previsione di fotovoltaico sulle coperture delle aziende agricole (13.250 mq!): peccato che rappresenti solo il 5% di incremento rispetto a quanto oggi generato, valore sballato in relazione ai target europei. Così come non è affatto generica la voce di 1,35 miliardi sul CCUS (la cattura della CO2) che a nostro avviso ha veramente poco a che fare con il titolo della Misura 2.
La componente “Transizione energetica e mobilità locale sostenibile” è ancora una volta l’elenco delle cose che si sarebbero comunque dovute fare, viste le nuove direttive europee in materia di energie rinnovabili, come la creazione di infrastrutture e la semplificazione degli iter amministrativi.
E arriviamo al cuore dei provvedimenti green che è quello dell’“Efficienza energetica e riqualificazione degli edifici” che da solo vale qualcosa come 40,1 miliardi e nel quale troviamo dei generici rafforzamenti all’efficientamento degli edifici pubblici e privati, i quali altro non sono che la proroga del pur buono Superbonus 110% che è stato concepito e realizzato prima del Next Generation Europe. Per cui anche qui troviamo un semplice rafforzamento, nella migliore delle ipotesi, dell’esistente. Ci saremmo aspettati finanziamenti strutturali riguardanti gli strumenti per raggiungere gli obiettivi di efficienza energetica, che non possono ridursi a quanto indicato (vedasi riforma di TEE ed efficacia del Conto Termico).
Il capitolo “Infrastrutture per una mobilità sostenibile”, che vale 28 miliardi, nonostante il nome si trova ufficialmente in larga parte al di fuori del capitolo green e il perché è chiaro guardandovi all’interno. 23,6 miliardi vanno al Tav e alla manutenzione stradale 4.0, mentre solo 4,1 vanno a “Intermodalità e logistica integrata” oltretutto ancora una volta con interventi che non sono altro che normali per un paese avanzato.
Manca del tutto, inoltre, il sistema d’investimenti infrastrutturali locali, che andrebbero condivisi con le Regione e gli Enti locali e con gli operatori della transizione ecologica, le utilities e le associazioni di categoria, i veri assenti di questa programmazione.
Per concludere tutto il PNRR, non solo la parte green che come Coordinamento Free è quella che ci coinvolge maggiormente, è un piano che non solo non immagina il futuro, ma è un elenco di cose che si sarebbero dovute fare in un recente passato. Insomma rischiamo seriamente di non centrare un obiettivo epocale per l’Italia.
*presidente del Coordinamento FREE