Ci sono storie che sembrano richiamarsi l’una con l’altra. Parlano di terra. Di sangue. Di famiglia. Raccontano di luoghi sconosciuti, almeno ai più, e impastati di ’ndrangheta. Parola derivata, ricordava Corrado Stajano, da andragathos: in grecanico, l’uomo coraggioso, valoroso. L’onorata società della Calabria. Di valoroso, in loro, non c’è nulla. Ci sono invece giovani – molte donne – che valorosi oggi lo sono per davvero, in Calabria. Come Federica, 21 anni, figlia di Maria Chindamo scomparsa cinque anni fa. Maria non è stata mai trovata. L’ultimo segno della sua presenza è il sangue nella sua auto bianca, lasciata con lo sportello aperto e il motore acceso, nel mezzo dei terreni di famiglia, il 6 maggio di cinque anni fa. A Limbadi, Vibo Valentia. Poi più niente. Né una telefonata per chiedere un eventuale riscatto, né un corpo su cui piangere. Come una persona che non merita di essere ricordata. Come non fosse proprio mai esistita.
Federica, cosa ricordi di quel 6 maggio?
Era iniziato come un giorno qualunque. Non andai a scuola quella mattina, avevo avuto la febbre. Vedo mia mamma sulla porta di casa: mi manda un bacio, io torno a dormire. Alle 7.20 chiama nonna Pina. ‘Sai dov’è tua madre?’ ‘’No, perché?’, chiesi io. Dopo chiamò zio Vincenzo, il fratello di mia madre. Non capivo. Poi arrivarono i carabinieri. Avevo 15 anni. ‘Hanno trovato la macchina di mamma, il motore acceso, c’è sangue. Mamma non c’è’, mi disse mio zio. Non sapevo come sentirmi. Non ci credevo.
Avevi notato qualcosa di strano nei giorni prima?
Era tutto tranquillo. Niente che potesse farci pensare a una cosa del genere. Io quel giorno ero sicura – mi proteggevo, penso – che entro la sera tutto si sarebbe risolto. Non è stato così.
Tua madre è scomparsa nel maggio 2016. A maggio di un anno prima tuo padre si tolse la vita.
Dopo la separazione, cadde in depressione…
Le indagini all’inizio si sono concentrate sull’ipotesi di una vendetta di famiglia. Tua madre, dopo la morte di tuo padre, prese in mano i terreni di famiglia, lasciando il suo lavoro da commercialista. Le rivelazioni del pentito Emanuele Mancuso aprono però nuove piste.
Aspetto delle risposte, come tutta la mia famiglia.
In questi anni non hai mai perso fiducia nella giustizia?
Non l’ho persa, ma dopo cinque anni inizia a vacillare. Sono lunghi cinque anni di indagini. Sono stanca di aspettare.
Che impressione ti fa il pensiero – stando a quanto racconta Mancuso – che tua madre sia stata fatta sparire, sia stata sequestrata e uccisa?
‘Vittima di lupara rosa’… Non riesco a pensarlo. Non si può arrivare a descrivere un atto del genere. Non siamo nel Medioevo. Tanti mi chiedono: ‘Secondo te, perché?’. Ma nemmeno gli animali si comportano così. Non c’è un perché.
Hai deciso di studiare Giurisprudenza.
Sì, sono al secondo anno. Con mamma avevamo progettato tante cose… Mi aveva iscritto al concorso per entrare alla Nunziatella, la scuola militare. L’esame – caso della vita – venne fissato il 9 maggio. Mamma era scomparsa da tre giorni. Pensai di non presentarmi… Alla fine andai. L’esame non l’ho passato. Ma ci sono andata. Oggi spero di diventare un magistrato. E di tornare in Calabria.
Nonostante tutto sei molto legata alla tua terra.
Sono cresciuta a Rosarno, un posto non molto facile. Ma i miei genitori ci hanno dato quella ‘tranquillità’ che serve per vivere in un posto così. Non potevo andare ai compleanni di certi miei compagni, da piccola… col tempo ho capito perché. I miei genitori ci hanno insegnato a essere liberi in una terra che ancora sta lavorando sulla libertà.
Parli spesso di tua madre come di una donna libera.
Lei nella vita ha fatto scelte libere. Non si è mai preoccupata di quello che pensava la gente, del pari bruttu, come si dice giù. È stata sempre molto consapevole, e indipendente. E una donna così in una terra così può spaventare, può dare fastidio.
Se le indagini dovessero arrivare ad accertare il ruolo della ’ndrangheta…
Mi fa rabbia. La mia famiglia era una famiglia normale, lontana da tutti questi ambienti. Certe cose finché non le vivi non pensi ti possano riguardare… Ma in alcuni territori proprio il fatto di pensare che la mafia sia distante da te è la cosa peggiore. È come dire: non prendo posizione. E invece non si può stare nel mezzo. O si sta da una parte o dall’altra.
La Calabria è una terra senza speranza, che non crede nel proprio futuro?
Ci deve essere una rinascita. E ci sarà. Per questo è importante parlare di ’ndrangheta nelle scuole. Non ci è più consentito continuare così. E voglio fare un appello a chi ha commesso il crimine nei confronti di mia madre. Mia madre era una sorella, una figlia, una madre. Loro non hanno una figlia, una sorella, una mamma? Non hanno pensato a loro, mentre hanno fatto a pezzi la mia di famiglia? Chiedo a queste persone di mettersi una mano sulla coscienza a di aiutare a trovare la verità. Fatevi avanti.
Potrebbe essere un giovane come te, Emanuele Mancuso, figlio di un boss, a dare la svolta all’inchiesta. Passa anche da qui la rinascita di cui parli?
Sperare in noi giovani è l’unico modo per guardare avanti, per cercare di cambiare le cose. Se riesco – parlando, raccontando – a convincere o a far riflettere anche un solo ragazzo, ho vinto io.
Cosa ti hanno lasciato i tuoi genitori?
Il non scendere a compromessi. E l’amore, prima di tutto. In questi anni mi sono mancate le cose semplici. I Natali. I compleanni. Festeggiare la maturità…
E di tua madre cosa ti manca di più?
Semplicemente lei.
E se non si ritrovasse nemmeno più il suo corpo?
Sarebbe almeno una certezza, anche se terribile.