Mettiamo subito in chiaro due cose:
1) Crisi ed eventuali elezioni a seguire dentro la doppia emergenza sanitaria ed economica sarebbero un azzardo, certificherebbero una irresponsabilità imperdonabile di chi le avesse provocate;
2) Costui ha un nome e un cognome, quello di Matteo Renzi. Neppure merita indugiarvi, tanto è manifesto. Chi negasse la strumentalità dell’insopportabile tormentone inflittoci per mesi da parte di Italia Viva offenderebbe la nostra intelligenza.
Il merito non c’entra nulla, come dimostrano sia l’elenco sterminato delle questioni artatamente sollevate (cui ogni giorno se ne aggiunge una, comprese le più eccentriche), sia la sequela infinita di attacchi portati sui media anziché la leale discussione interna alla maggioranza della quale i renziani farebbero parte. Con l’uso indecoroso delle due donne ministre, da mesi dimissionarie annunciate. Un uso umiliante per loro (che si prestano) e per le istituzioni. Dunque: irresponsabilità, strumentalità, slealtà.
Alla fine lo hanno compreso tutti: Renzi mira solo allo scopo di rimuovere Giuseppe Conte da Palazzo Chigi. Con due obiettivi:
1) Dare mostra di contare nel Palazzo, nella disperata speranza che visibilità e protagonismo (Manzoni direbbe: “Una popolarità mal acquisita”), possano strappare lui e il suo partitino da una irrilevanza nel Paese ove il suo consenso sta sotto il 3% e dunque a rischio sparizione;
2) Eliminare un competitor politico-elettorale che gode di un cospicuo consenso e spezzare il rapporto Pd-M5S quale asse portante di uno schieramento alternativo al centrodestra, nella convinzione di dischiudere così, con spregiudicate operazioni trasformistiche, qualche prospettiva neocentrista. Un disegno velleitario, che, tuttavia, di sicuro, rende un prezioso servizio alla destra, la quale giustamente fa il tifo per lui, apprezzato come guastatore professionale di un’alternativa a essa.
Non sono un fan di Conte, anche se penso che, nelle condizioni date, politiche e non (la drammatica congiuntura), egli abbia operato bene. Neppure sottoscriverei la formula, francamente eccessiva, del Conte alto “punto di riferimento dei progressisti” (copyright di Zingaretti). Ma, al netto di questo e persino del consenso personale di cui gode certificato dai sondaggi, piaccia o non piaccia, Conte rappresenta l’elemento di equilibrio non solo del governo di oggi, ma – ecco il punto cruciale – della sola prospettiva strategica suscettibile di allestire un’alleanza che possa competere con la destra-centro oggi favorita. Ripeto: se non vincere, quantomeno competere.
Qui si innesta il problema rappresentato dal Partito democratico, che – è di tutta evidenza – non ha sostenuto con continuità, coerenza e determinazione Conte. Facendo filtrare distinguo, terzietà tra i due contendenti (Renzi e Conte), persino autorizzando il primo a maramaldeggiare al punto da consentirgli di proclamare sfrontatamente che il Pd la pensasse come lui, solo trattenuto da pavidità e ipocrisia. Non senza qualche riscontro se si considerano il renzismo e i renziani che ancora allignano nel Pd, specie al vertice dei gruppi parlamentari.
È innegabile se non la doppiezza quantomeno la linea ondivaga del Pd, che ha aperto più di una breccia alla strategia ricattatoria di Renzi. Sono palesi le responsabilità attive e omissive del Pd. La prova? Chiarissimamente, per arginare i taglieggiatori, vi era un solo, unico argomento: prospettare le elezioni per davvero, non tatticamente, non per finta, tenendo il punto.
A giorni alterni qualche dirigente Pd lo ha fatto, ma tutti hanno inteso che si trattava di un bluff e Renzi ha potuto rassicurare il manipolo dei suoi transfughi – conosce la pasta di cui sono fatti – che elezioni non vi sarebbero. Privandosi dell’unica arma efficace, il Pd si è messo nelle mani di Renzi e del suo crescendo di provocazioni.
Giro la questione a Zingaretti: il problema non è Conte, ma la incerta visione complessiva del Pd. Mi pareva di avere inteso che egli avesse investito sulla prospettiva di un’alleanza strategica – la sola possibile per competere con il centrodestra – che, in concreto, passa attraverso un asse con Conte e il M5S. Vorrei capire se la si è abbandonata. Essendo la sola che abiliterebbe il Pd – notare: che non ha mai vinto una sola elezione politica – ad andare al governo, una buona volta, dopo avere prevalso nelle elezioni. Almeno a provarci. In omaggio a una non ambigua e velleitaria “vocazione maggioritaria”, che, per un partito al 20%, presuppone alleanze.
In questa storia, non c’è Gesù, c’è Barabba, ma c’è anche Ponzio Pilato. Quella non fu storia a lieto fine, il suo epilogo fu la Crocifissione. Improbabile che, nel nostro caso, segua la Resurrezione.