Brutte notizie da Scilla, il delizioso borgo sulla riva calabrese dello Stretto di Messina. Chi me ne ha avvertito probabilmente non sapeva che a Scilla ho passato, fra 1950 e 1959, uno dei periodi più intensi e felici della mia vita; e ancora ho negli occhi, viste dalla terrazza di casa, le Eolie schierate all’orizzonte dietro il castello dei principi Ruffo, e Capo Peloro che annuncia la Sicilia. A Scilla non c’era allora la scuola media, né una biblioteca pubblica. Perciò è una buona notizia che ora una biblioteca ci sia, aperta il 7 settembre e gestita da volontari, e che ad ospitarla sia stato destinato, anche se un po’ decentrato, un edificio dismesso della vecchia stazione ferroviaria. A questo punto l’associazione culturale Clemente de Caesaris (Pescara), che ha preso l’iniziativa, ha voluto dare più visibilità e risalto alla biblioteca con un murale dedicato a Giuseppe Valarioti, ucciso dalla ’ndrangheta a Rosarno l’11 giugno 1980. Rosarno è il mio luogo di nascita, e Valarioti l’ho conosciuto di persona: insegnante di storia e filosofia al liceo, era ricco di cultura e di passione civile e si era impegnato nel Pci, contribuendo alla sua vittoria nelle elezioni comunali, ma venne subito dopo colpito a morte. A quarant’anni dal delitto, onorare Valarioti pare a me un’ottima idea. L’artista incaricata, Simona Ponzù Donato, ha approntato un bozzetto dove Valarioti, al centro e con un libro in mano, saluta col pugno chiuso, e il presidente dell’Associazione De Caesaris Andrea D’Emilio lo ha mandato alle Ferrovie, proprietarie dell’edificio, per approvazione. E la brutta notizia viene qui: a quel che pare le Ferrovie hanno negato il permesso per via di quel pugno chiuso, considerato un fastidioso simbolo politico. Niente pugno chiuso, niente murale.
Davvero non credevo che in questo 2021 dipingere un comunista di 40 anni fa, in giacca e cravatta e con in mano i ferri del mestiere (un libro), possa esser ritenuto un gesto sovversivo. In questa Italia post-post comunista, dove i presunti eredi del defunto Pci si lasciano troppo facilmente menare per il naso da chi con la sinistra non c’entra proprio niente, è davvero tanto azzardato ricordare i tempi andati, quando salutare col pugno chiuso poteva voler dire invitare alla solidarietà sociale? Peppe Valarioti, laureato in lettere classiche, sapeva bene che la parola ndrángheta viene dal greco andragathia, che vorrebbe dire più o meno “valore virile”: a tanto si è spinta nei secoli la corruzione dei costumi, che questa estrema traccia della nobile lingua greca che in quelle terre fu parlata dall’antichità al pieno medioevo ha finito per designare la variante locale della mafia. Ma chi fu virilmente valente nel sostenere le ragioni della democrazia, e riuscì perfino a vincere le elezioni, non fu la ndrangheta, fu Valarioti. E fu punito con la morte. Non posso credere che il gesto di quest’uomo puro venga censurato quarant’anni dopo. E davvero spero che le Ferrovie vogliano smentire presto questa notizia imbarazzante, anzi dolorosa.