La notizia più importante è che il Recovery plan esiste. Anzi, per utilizzare il suo vero nome, il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza. Non era scontato. E non perché, come tanta stampa ama ripetere, è stato scritto “con il favore delle tenebre”. La discussione è stata invece abbastanza aperta e, infatti, le misure previste non sono così sorprendenti. Il Piano, del resto, deve replicare le linee guida europee che dicono Digitale, Ecologia e Coesione sociale. Su questo, il compito è stato fatto.
La scossa verde è forse la vera grande novità anche se, guardando al saldo tra interventi innovativi e interventi che erano stati già finanziati non è quello con lo sprint maggiore. Il saldo finale conta infatti 65,7 miliardi di progetti in essere e 144,2 di nuovi progetti e tra questi brillano di più la “transizione energetica e la mobilità”, “l’Alta velocità”, il “Turismo e cultura” chiesti a gran voce da Matteo Renzi, la “Ricerca e l’impresa”, voci del comparto Salute come la “Telemedecina”, il “Diritto allo Studio”, i trasferimenti “al settore produttivo” che farà felice Confindustria.
L’impatto economico del piano prevede una crescita del Pil del 3%, ma solo nel 2026. Fino al 2023 non si arriverà oltre l’1,5. Che non è poca cosa, ma resta la sensazione che manchi una scossa complessiva e che l’Italia dopo il Recovery plan sarà davvero diversa da quella attuale. Eppure nell’introduzione e nello spirito del piano si parla di “Rinascimento economico europeo” e dell’auspicio per un “cambiamento radicale delle politiche fiscali”. Ecco, servirebbe uno scatto in più in quella direzione perché qualsiasi cittadino e cittadina possa dire che, una volta avviato il piano e i suoi progetti, la propria vita è cambiata davvero in meglio.
L’intero piano approvato dal governo vale 310 miliardi, tenendo conto anche di quasi 80 miliardi del normale bilancio europeo settennale (2021-2027): il Recovery Plan vero e proprio vale invece circa 223 miliardi tra prestiti e trasferimenti, dei quali 144,2 miliardi finanzieranno nuovi progetti, mentre altri 65,7 andranno a programmi già previsti. Il piano è diviso per sei macro-aree: un breve riassunto per punti.
Salvatore Cannavò
1 Dal cloud unico a 5G e banda larga
La digitalizzazione è uno dei due assi portanti del piano europeo. Nel Pnrr – insieme a innovazione, competitività e cultura – totalizza oltre 46 miliardi (35 per progetti “aggiuntivi”), in calo rispetto alle prime bozze. Il grosso è fatto dai sussidi alle imprese per il rinnovo dei beni strumentali (la “transizione 4.0”, ben 15 miliardi, destinati, manco a dirlo, anche all’Editoria). Nel piano compaiono anche i progetti per la banda ultralarga (in vista della rete unica sotto l’egida di Tim-Cdp, mai citata però) e per il 5G, passati da 3,5 a 4,2 miliardi. Altri 1,2 miliardi serviranno poi a creare il cloud nazionale della P.A., verso cui far migrare i dati delle amministrazioni oggi sparsi in data center poco affidabili, anche se non è chiaro chi lo gestirà e come verrà scelto (in campo ci sono solo colossi esteri, da Amazon a Microsoft). Sempre in questo ambito, 1,3 miliardi serviranno a rendere “interoperabili” i dati. Dopo lo scontro con Renzi, il comparto turismo e cultura è passato da 3 a quasi 8 miliardi, ma il livello di dettaglio dei progetti è assente.
2 La svolta “green” poco rivoluzionaria
Pur essendo il centro della strategia europea, gli investimenti green hanno perso fondi rispetto alla prima versione del Recovery Plan: da 74,3 a 68,9 miliardi, diminuzione che ha colpito anche il superbonus del 110% per le ristrutturazioni edilizie (18,5 miliardi, scadenza a fine 2022, altri 10 miliardi vanno invece all’edilizia pubblica). In questo capitolo c’è un po’ di tutto: economia circolare e agricoltura “verde” (6,3 miliardi); stimolo alle energie rinnovabili (soprattutto l’idrogeno, anche se non è chiaro se davvero green o da fonti fossili, citato anche come combustibile per l’Ilva di Taranto); 7 miliardi e mezzo per rinnovare il parco mezzi del trasporto pubblico; un piano nazionale ciclovie e interventi per la mobilità sostenibile. L’idea, non meglio specificata, è di creare una filiera industriale green italiana, ma non è chiaro come recuperare il ritardo da Paesi già pronti. Altri fondi sono destinati alla “risorsa acqua”: dai cantieri contro il dissesto idrogeologico (3,6 miliardi) all’efficientamento della rete idrica.
3 Tav e non solo: soldi alle grandi opere
Sul capitolo si è compiuto un vero miracolo. Vale 32 miliardi, ed è lievitato di quasi 20 da inizio dicembre, tutti “aggiuntivi”, quindi non sostitutivi di fondi già esistenti. Il grosso, 28 miliardi, è un evergreen: l’Alta velocità ferroviaria, il Tav. Qui il livello in dettaglio è elevato: nuove linee Av per 7 miliardi (3,3 aggiuntivi). I soldi servono per tre collegamenti: la Napoli-Bari; la Brescia-Padova (già in costruzione) e la Salerno-Reggio Calabria. Progetti che valgono oltre 20 miliardi, e che non termineranno entro il 2026. Ci sono poi le “velocizzazioni”: ci sono, per dire, la ferrovia Palermo-Catania-Messina (costo totale: 8,9 miliardi), la Roma-Pescara (6,5 miliardi) o la Orte-Falconara. Nel complesso, progetti anche molto vecchi e mai sottoposti a vere analisi costi-benefici. Ci sono poi 1,15 miliardi per mettere in sicurezza l’autostrada A24-25, la Strada dei Parchi del gruppo Toto, affidati interamente al commissario straordinario del ministero. L’obiettivo è andare di fretta e si allude al “modello Genova” previsto dallo “Sblocca cantieri” di luglio. Altri 3,2 miliardi sono dedicati ai porti: soprattutto Genova (la mega diga foranea) e Trieste.
4 Ricerca e istruzione: arrivano più soldi
La voce è tra quelle rimpinguate rispetto alle prime versioni. A Istruzione e Ricerca arrivano quasi 9 miliardi in più, che portano il totale a 28 miliardi (9 in più). Il trasferimento tecnologico, che coinvolge centri pubblici e privati (“l’interazione tra ricerca e mondo produttivo”) ne guadagna oltre 3 (8,5 totali). L’accesso all’istruzione (1 miliardo per gli alloggi studenteschi, 900 milioni per le borse di studio) e la riduzione dei divari territoriali (1,6 miliardi per nuovi asili nido) salgono a poco più di 9 miliardi. Il documento parla di una riforma del sistema degli istitui tecnici professionali, a cui destina 1,5 miliardi. Sulla ricerca si pensa a una partnership pubblico-privato con università e centri specializzati (sul modello, pare, della tedesca Fraunhofer). Vengono aumentati i fondi per i progetti di interesse nazionale, i Prin (600 milioni), e si parla di finanziare la creazione di “20 campioni territoriali di Ricerca & Sviluppo” e di “7 centri attivi in altrettanti domini tecnologici di frontiera” di alta tecnologia su ambiente, quantum computing, idrogeno, biofarma, etc.
5 Politiche del lavoro e fisco leggero al Sud
Al capitolo “Inclusione e coesione”, che è già destinatario di circa metà dei fondi Ue del Budget ordinario (39 miliardi in tutto), vanno 27,6 miliardi di euro. Alle “politiche per il lavoro” vanno 12,6 miliardi: 7,5 sono destinati alle politiche attive “dall’assegno di ricollocazione” fino “all’istituzione di un programma nazionale Garanzia di occupabilità dei lavoratori – GOL”; senza dimenticare la fiscalità di vantaggio per il Sud e incentivi a occupazione e imprenditoria giovanile e femminile (4,4 miliardi). Alle cosiddette “infrastrutture sociali” vanno 10,8 miliardi: parliamo di rigenerazione urbana (3,5 miliardi), housing sociale (2,8), servizi socio-assistenziali e via dicendo. Alla “coesione territoriale” vanno infine 4,2 miliardi: si tratta, in sostanza, di interventi sulle “aree interne” (quelle più povere, cui vanno 1,5 miliardi) e nelle zone terremotate (1,8 miliardi).
6 Soldi raddoppiati: è una riforma del Ssn
I fondi per la Sanità sono più che raddoppiati rispetto alla prima bozza: da 9 a quasi 20 miliardi. Nel piano finisce un pezzo del progetto di riforma del Ssn di Roberto Speranza, in particolare quello che riguarda telemedicina, assistenza domiciliare e la cosiddetta “assistenza di prossimità” (creare 2.564 “Case della comunità” per prendere in cura 13 milioni di pazienti cronici): a questo capitolo vanno 7,9 miliardi, dei quali 400 milioni dal programma React Eu. L’altro fronte di intervento sono gli investimenti in tecnologia e macchinari, la digitalizzazione della Sanità (a partire dal fascicolo sanitario elettronico) e incentivi alla ricerca: 11,8 miliardi. In entrambi i capitoli si prevedono interventi edilizi sulla rete ospedaliera per arrivare a un ospedale ogni 80 mila abitanti (753 ospedali in tutto).