Sms del 29 maggio 2019: “Ti conviene fare un patto segreto con il prof… ahahah”. Intercettazione ambientale del 1º luglio 2019: “Ti va bene come patto?”. Telefonata dell’8 luglio 2019: “Io le ho proposto un patto”. Telefonata del 15 maggio 2019: “…questo possiamo mantenerlo come patto?”. Email dell’8 ottobre 2019: “Vuole fare un patto segreto?”.
Il prof che parla e messaggia è Angelo Scala, 52 anni, docente di Diritto processuale civile presso la facoltà di Giurisprudenza della Federico II di Napoli e in passato difensore di Maradona davanti al Fisco. Il 2 marzo si discuterà in udienza preliminare una richiesta di rinvio a giudizio: Scala è accusato di aver chiesto, e in qualche caso cercato di estorcere, la promessa di favori sessuali in cambio del superamento degli esami. Ne avrebbero beneficiato 10 studenti e 11 studentesse, 5 invece le studentesse che non avrebbero aderito alle proposte, in altri 17 casi si contesta solo l’esame truccato. Possibile così tanti episodi nel silenzio dell’ambiente universitario circostante? La domanda va letta anche alla luce di una circostanza che il Fatto è in grado di rivelare: il 17 maggio 2018, un ex studente provò ad avvertire i vertici dell’Ateneo che il professore Scala “insidia studenti e studentesse con sms e mail provocatorie”. Ma della sua mail, inviata all’indirizzo rettore@unina.it (all’epoca il Rettore era Gaetano Manfredi, ora ministro del Miur) gli inquirenti della Guardia di Finanza scrivono che “non si ha, allo stato, contezza della corretta ricezione”. Ovvero: non si sa se fu portata dal Rettore oppure cancellata perché, in una mail di un’ora dopo, l’ex studente pregava “di non tenere conto della mail precedente, dettata da un momento di mia poca lucidità, legato a un rancore che provo nei confronti del professore Scala, sto seguendo anche un percorso di psicoterapia”. Contattato dal Fatto, il ministro Manfredi spiega come andarono le cose: “La mail istituzionale, come avveniva per prassi, fu letta dalla segreteria che rispose per verificare l’attendibilità, chiedendo chiarimenti e informazioni più dettagliate su quanto denunciato. L’ex studente rispose scrivendo di non tenere conto della mail precedente e quindi non fu dato seguito alla segnalazione”. Manfredi ha poi precisato che ha appreso di queste mail solo dopo l’inchiesta.
E torniamo alla parola “patto”, che ricorre frequentemente nelle intercettazioni di Scala allegate agli atti delle indagini coordinate dai pm di Napoli Francesco Raffaele ed Henry John Woodcock. “Patto” è la parola chiave dei contatti tra il professore e i suoi allievi. Accompagnata da inviti all’obbedienza e alla riservatezza. E con accenni a “punizioni corporali” in caso di dissenso. Conversazioni che – sottolinea la Finanza – hanno “consentito di delineare un consolidato modus operandi (…) attraverso più o meno sottili forme di pressione psicologica”. Qualcosa che può ricordare il modo di comportarsi del professor Francesco Bellomo verso le studentesse dei suoi corsi di preparazione giuridica per il concorso in magistratura. Ma senza imporre tacchi alti o dress code.
Il modus operandi di Scala contemplava l’uso del lei ai primi approcci, nell’ambito di “un atteggiamento improntato a grande cautela”. Se si apre una breccia “inizia – scrive la Finanza – a effettuare apprezzamenti e avance, con allusioni alla sfera sessuale, salvo poi eventualmente ritrattare, celandosi dietro lo scherzo, qualora dovesse rilevare una qualche ritrosia”.
Sulle tecniche di Bellomo si sono versati fiumi di inchiostro. La vicenda di Scala è rimasta confinata in poche pagine di quotidiani locali, nel maggio in cui si usciva dal lockdown, con la notifica dell’ordinanza del Gip che lo ha sospeso dalla cattedra universitaria (si è poi dimesso).
Assistito dall’avvocato Claudio Botti, il docente si è difeso davanti ai pm ricordando che nessuno studente lo aveva denunciato. E lamentando in un paio di interviste l’eccessiva invasività di intercettazioni disposte nei suoi confronti in un momento in cui non era indagato: le sue utenze erano sotto controllo nell’ambito di una inchiesta su una procedura fallimentare al Tribunale di Nocera nella quale Scala ricopriva un ruolo professionale (vicenda nella quale Scala risulta estraneo). Così è stato possibile registrare i video delle telecamere nascoste nella stanza 30 del settimo piano della Federico II, e acquisire chat, sms ed email a luci rosse.
Agli atti, però, ci sono anche le storie di chi ha detto no al ‘patto’. E non è riuscito a superare l’esame. D., 23 anni, è una di loro. È stata sentita due volte, il 15 settembre e il 15 ottobre scorso. I contatti con Scala avvennero dopo una prima bocciatura, ed ebbero un andamento fluttuante. Un appuntamento saltò per un lutto della ragazza e lui le scrisse “non si preoccupi, obbedienza e riservatezza e io potrò aiutarla”. “Rimasi stranita e diffidente – ha detto la ragazza agli inquirenti –. Gli risposi che lo ringraziavo, ma che speravo di riuscire a passare l’esame da sola. Rifiutai l’aiuto e mi bocciò. Il prof. mi disse che avevo avuto un blocco mentale e mi fissò un appuntamento in Dipartimento. Non mi fidai, mi presentai con un’amica. All’uscita il prof. mi scrisse che non c’era bisogno della scorta. Perché era così buono con me? Forse perché ero troppo carina. Era contraddittorio. Di persona voleva aiutarmi anche in modo professionale, invece tramite messaggi o mail usava espressioni che si prestavano a doppi sensi. Sono rimasta traumatizzata”. Alla studentessa G., 27 anni, Scala scrisse più volte associando “il patto segreto” alle “punizioni corporali” e “a un premio in cambio di un sacrificio”. Valga per tutte la mail del 27 ottobre 2019: “Quando è in zona se le va di essere punita mi mandi un sms”.
Sentita il 7 ottobre scorso, G. ha detto: “Il riferimento alle punizioni corporali mi fece sorridere, pensavo che non facesse sul serio. E non l’ho mai contattato su quel numero”.