C’è la paura che il virus, che avevano saputo domare per primo, adesso possa tornare. Forse si avvicina una nuova ondata dell’epidemia di SarsCov2 e la Cina – nell’imminenza dei movimenti interni per il Capodanno, il 12 febbraio – vuole dimostrare al mondo di saper costruire in fretta l’argine per contenerla: a sud di Pechino, in soli cinque giorni, il primo di cinque ospedali che verranno costruiti per curare i nuovi contagiati è stato già terminato. Nuovi malati vengono registrati ogni giorno nella provincia di Hebei, ma le autorità della capitale della regione, Shijiazhuang, hanno ricordato a tutti che su dieci milioni di persone testate, solo 247 sono risultate positive: “Non gridate ancora al lupo”, non è ancora “tempo di guerra”.
A nord est, nelle province di Nangong, per 28 milioni di cittadini è iniziato il lockdown per decine di nuovi ricoveri causati – dice la commissione sanitaria nazionale –, da viaggiatori in entrata nel Paese e da cibo congelato d’importazione. Intanto le tute bianche si fanno riprendere ligie dalle telecamere mentre cementano stanze per ora vuote. Ma a Pechino, se alcune cifre sono da temere, altre sono da festeggiare: entrambe riguardano il coronavirus.
Ieri c’era la Via della seta, oggi c’è quella parallela, liquida e trasparente del siero: la Cina vaccina. Non solo se stessa, ma anche Paesi che domani saranno alleati o amici e la appoggeranno al tavolo dei negoziati nelle istituzioni internazionali. La nuova via di Pechino è stata costruita velocemente proprio come gli ospedali, da un continente all’altro, grazie alla profilassi sintetizzata dalla compagnia statale Sinopharm e dalla Sinovac, azienda biofarmaceutica produttrice del CoronaVac, che ha assicurato la produzione di 300 milioni di dosi in un anno.
Altri due nuovi sieri sono in fase di studio alla Cansino Biologics e alla Anhui Zhifei Longcom. Nonostante si conoscano i risultati solo delle prime due fasi della ricerca, le fiale del Dragone sono state già infilate nei container che hanno raggiunto Turchia, Brasile, Indonesia, dove il vaccino si è dimostrato efficiente rispettivamente al 91,25%, 50,4% e 65,3%. Le attendono anche a Singapore, Malesia, Filippine. Mentre ci sono accordi in corso con il Cile, hanno già approvato la soluzione Bahrein ed Emirati Arabi.
Tour africani, concessioni temporanee, accordi d’oro a lungo termine. Il virus serpeggia di confine in confine, lentamente lo seguono i vaccini per sconfiggerlo, ma questo mese ha viaggiato soprattutto il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, che ha stretto mani e accordi in Nigeria, Congo, Botswana, Tanzania, e anche alle Seyshell, “il più piccolo degli Stati d’Africa che ha accolto il ministro della nazione più popolosa al mondo”. Per l’acquisto del vaccino il presidente Xi Jinping ha promesso che può essere concesso un debito di due miliardi ai Paesi africani e di un miliardo a quelli latino americani e caraibici, nell’ambito di una cooperazione sanitaria che si tradurrà nel tempo in accordi commerciali favorevoli a Pechino. Perché cinesi ed africani, ripete l’ultima voce alimentata dalla propaganda comunista, “condividono identità nel mondo che cambia” e sono due popoli che nell’era Covid-19 rimangono insieme nella “salute e dolore”.
Promettendo di curare quella virale, la Cina aumenta l’unica vera influenza che gli sta a cuore: quella geopolitica. Come gli epidemiologi, anche i politologi hanno sintetizzato una formula per questa strategia e hanno cominciato a chiamarla “la diplomazia dei vaccini”, quella che sta usando la Cina per mietere consensi laggiù dove l’Occidente ha lasciato uno spazio vuoto, evitando anche questa volta di attraversare strade tortuose, difficili.
L’Africa però non è poi così lontana da Budapest. Anche in Ungheria potrebbe presto arrivare un carico di migliaia di fiale Sinopharm, ha riferito in tv dall’ufficio ministeriale Gergely Gulyas: è il risultato della pressione pubblicamente esercitata dal premier Viktor Orban sull’autorità sanitaria nazionale che deve approvare velocemente il vaccino cinese perché quello europeo – proprio come quello che gli aveva promesso l’amica Mosca in dosi massicce – non è ancora arrivato.
Tutti tremano. Tutti temono. Gli Stati, le loro economie e governi. Quelli nati figli della crisi sanitaria e quelli sopravvissuti o rinati durante le quarantene: tutti, ma non la Cina. Con un crollo della produzione globale che la Banca mondiale ha stimato essere di oltre il 5%, le grandi potenze si sono fermate: ma di nuovo, non la Cina. Se il Covid-19 attanaglia e sommerge l’economia della prima potenza tra tutte, quella statunitense, rafforza in via diretta o di rimbalzo la seconda per potenza finanziaria della lista mondiale.
La conta dei positivi che per ora fa Pechino non è quella dei malati, ma dei record: nel 2020 l’economia cinese è cresciuta del 2,3%, una cifra che ha superato le aspettative degli stessi economisti di regime. Lo ha riferito prima Ning Jizhe, portavoce dell’Ufficio nazionale statistiche, dipartimento che ha pubblicato a gennaio l’ultimo report, e lo ha confermato poi il dato fornito dalle previsioni del Fondo monetario internazionale, secondo cui la Cina, nell’anno appena trascorso, era destinata a crescere solo l’1,9%.
Se il coronavirus ha arrestato la crescita del Paese nei primi mesi di ignoto e terrore, morti e quarantene, l’ha anche favorita da ottobre a dicembre scorso, quando le conseguenze sociali della pandemia sono state catalizzatore del boom dell’export: quando lo smart working è diventato obbligatorio in una nazione dopo l’altra, la fabbrica del mondo ha costruito strumenti protettivi e attrezzature digitali, registrando un guadagno del 27% superiore rispetto 2019. Dopo mesi in cui l’inimmaginabile si è verificato a ogni latitudine, i numeri confermano che quella cinese non è stata fortuna, ma gioco di previsione e strategia. Ha battuto il primato mondiale, ma la Cina ha perso comunque contro se stessa: il 2,3% del’aumento del Pil è il dato più basso che il Dragone registra dal 1976.
Il 2020 però è alle spalle e tra poche settimane, per festeggiare il Capodanno cinese, il 12 febbraio, milioni di lavoratori torneranno nelle loro regioni d’origine, mettendo a rischio la stabilità di quella linea che sul grafico continua ad essere assestata intorno allo zero contagi.
A Pechino sta per iniziare l’anno del Bufalo e sta per concludersi quello del Topo, animale che nel calendario asiatico simboleggia prosperità e ricchezza: contro ogni ipotesi e previsione razionale, lo zodiaco cinese aveva predetto molto prima di stime e bilanci degli economisti, come sarebbe davvero andato a finire per la Repubblica l’anno del Covid-19.