Il “sistema”. Lo chiama così, Luca Palamara, intervistato dal direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti. Il riferimento è a quella fetta di magistratura che da decenni gestisce il potere, che gioca le sue mosse all’interno e ne riverbera i riflessi all’esterno, che in più di un’occasione Palamara definisce una “cupola”. Da oggi in libreria, il volume edito da Rizzoli – Il Sistema – potere, politica, affari: storia segreta della magistratura italiana – getterà altra benzina sul già aspro dibattito che infiamma la magistratura.
Molti i dettagli inediti – Palamara ricevuto per esempio dal premier Berlusconi a Palazzo Grazioli – che toccano le stagioni dei governi di centrodestra e centrosinistra. L’ex pm non perde occasione per spiegare che il potere correntizio – ma non solo – che ha gestito e frequentato per circa 15 anni ha usato due pesi e due misure: mano pesante con la destra targata B., leggera con il centrosinistra. Come nel 2006, quando c’era Romano Prodi al governo e Luigi de Magistris, pm a Catanzaro, creava imbarazzi alla maggioranza con le sue inchieste. La storia è nota: a De Magistris furono avocate le inchieste, fu punito disciplinarmente, e i pm di Salerno che indagarono sulla sua vicenda – Gabriella Nuzzi, Dionigio Verasani, con il procuratore capo Luigi Apicella – subirono dal Csm la stessa sorte. “De Magistris – chiede Sallusti – andava fermato?” . “Diciamo – risponde Palamara – che la decisione è di provare ad arginarlo, il ‘sistema’non può permettersi una cosa del genere (…)”. “Detto più chiaramente – continua Sallusti – voi lo scaricate e il presidente Napolitano approva?” “Lo scarichiamo – risponde Palamara – e condividiamo questa scelta con il Quirinale tramite il compianto Loris D’Ambrosio (che è scomparso, non può smentire né confermare, ndr), il mio riferimento al Colle…”. Poi aggiunge: “Ci furono pressioni politiche per scaricare De Magistris perché quell’inchiesta andava a colpire un governo di sinistra? Il governo era di sinistra, il mio sistema di riferimento anche, lascio a voi le conclusioni”. E sul gip Clementina Forleo, che all’epoca a Milano si occupava del caso Unipol e finì sotto procedimento disciplinare, Palamara dice: “Io capisco che non abbiamo scelta (…) va rimossa”.
In altri passaggi racconta – anche in questo caso si tratta della sua versione – i retroscena della nomina di Giuseppe Lo Voi alla procura di Palermo, per la quale concorreva anche Guido Lo Forte. Tutto comincia nel 2012 quando Lo Forte è in corsa per la procura generale. Palamara racconta di aver elaborato con l’ex procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, e l’ex procuratore generale della Cassazione, Riccardo Fuzio, la seguente strategia: convincere Lo Forte a ritirare la candidatura per spianare la strada a Scarpinato, garantendogli che alla tornata successiva sarebbe diventato capo a Palermo. “Da casa di Fuzio chiamo Lo Forte, gli assicuro la tenuta di questo patto, legittimato dalla presenza di Pignatone, che era suo amico. Dopo averci parlato gli passo prima Pignatone e poi Fuzio”. Poi nel 2014, quando Lo Forte è vicino a diventare capo, Palamara appoggia Lo Voi. E quando Lo Forte vince il ricorso al Tar, e Lo Voi ricorre al consiglio di Stato, “Pignatone – sostiene Palamara – mi rivela di (…) temere che il Consiglio di Stato possa dare ragione a Lo Forte. La pratica finisce in quarta sezione, presieduta da Riccardo Virgilio (sarà poi arrestato per altre vicende proprio dalla procura guidata da Pignatone, ndr) che nei racconti di Pignatone è a lui legato da rapporti di amicizia. I due si incontrano una mattina presso la mia abitazione. Dopo aver lasciato sul tavolo i cornetti (…) mi allontano per preparare il caffé. Li vedo parlare in maniera fitta e riservata. Quando torno a tavola la discussione riprende su tematiche di carattere generale. (…). Poche settimane dopo arriva la sentenza di Virgilio, favorevole a Lo Voi”. Abbiamo chiesto a Pignatone se intendesse smentire o precisare qualcosa ma ha preferito non commentare. Tra i passaggi più controversi, quello sul disciplinare che colpì il pm di Napoli Henry John Woodcock (condannato e poi assolto): “Il 5 luglio 2018 – ne ho traccia – (…) Cascini mi vuole incontrare per annunciare che su Woodcock il Csm si deve fermare. Ci incontriamo (…) mi parla di un’intercettazione tra Legnini, vice presidente del Csm e quindi arbitro della contesa, e l‘ex onorevole Cirino Pomicino, in cui Legnini parla molto male del pm napoletano, in possesso dello stesso Woodcock, che è intenzionato a renderla pubblica per dimostrare che il Csm ha un pregiudizio nei suoi confronti. (…) Mi consulto con Pignatone che mi conferma tutto”. Il disciplinare fu rinviato al successivo Csm. Cascini – peraltro tra i consiglieri che condannarono Woodcock – spiega al Fatto: “Tutto inventato. Non ho mai detto nulla del genere né saputo nulla al riguardo”.