Ci sono almeno cinque motivi per considerare Matteo Renzi il peggior nemico (o se volete il peggior amico) di Mario Draghi.
1. Dopo l’attentato di Demolition man contro il governo Conte, il quadro politico sembra la città di Coventry rasa al suolo dall’aviazione nazista. Un panorama di macerie con il Pd diviso, i 5Stelle dilaniati pur nella contrarietà al governo tecnico. Mentre a destra si aprono vaste crepe tra chi dice a Draghi proprio sì (Berlusconi), o proprio no (Meloni), e chi (indeciso a tutto) forse sì, ma anche no (Salvini).
Nel presente sfacelo mettere insieme una maggioranza sarà un compito improbo. E lo sarà molto di più far convivere nel tempo pezzi di sinistra con pezzi di destra: Zingaretti e Orlando con Salvini e Berlusconi. È la tempesta perfetta officiata dallo sceicco rignanese.
2. Costui, orgoglioso di aver terremotato il Paese nella situazione che sappiamo, appare, dalla sera di martedì, in preda a conati irrefrenabili di boria in una crisi compulsiva di vanterie (“noi contro il resto del mondo, tre a zero”). Per una personalità autorevole e sobria come l’ex presidente della Bce avere intorno che gli fa la ola questo rodomonte (con arie da kingmaker) non è certo il massimo della vita.
3. Che il politico di gran lunga più impopolare abbia abbattuto il politico più popolare accresce la corrente di solidarietà nei confronti di Giuseppe Conte. Tanto più che si tratta di un premier a cui pochi giorni fa Camera e Senato avevano confermato la fiducia, e le cui dimissioni non sono state al momento accolte da Mattarella.
4. Oltre all’accordo con i vertici dei partiti, per governare l’Italia in emergenza a Draghi occorre il consenso più vasto dei cittadini, stremati da un anno di pandemia. Dovrà prima di tutto convincerli che lui con i complotti renziani non c’entra niente. Non sarà facile ma dovrà provarci.
5. È del tutto evidente che l’ascesa al Quirinale, tra un anno, è un orizzonte legittimo di Draghi, classica personalità en réserve de la république. Ricorrono in questi giorni le analogie di SuperMario con un altro banchiere centrale, quel Carlo Azeglio Ciampi che da Palazzo Chigi salì al Quirinale.
Nel campo dei supertecnici prestati alla politica c’è però un altro esempio, e non proprio augurale: quel Mario Monti che entrò a Palazzo Chigi papa e ne uscì cardinale. E non aveva neppure un Renzi attaccato ai maroni (che magari adesso pretende come cadeau un ministero per Maria Elena Boschi).