“La politica non è l’arte del possibile. Consiste nello scegliere tra il disastroso e lo sgradevole” diceva l’economista John Kenneth Galbraith. Quando nei prossimi giorni il Movimento Cinque Stelle dovrà decidere se appoggiare o meno Mario Draghi farà bene a tenere in mente questa frase. Partendo da una constatazione.
Draghi è arrivato all’incarico in seguito a una sporca manovra di Matteo Renzi, sponsorizzata, spesso apertamente, da tutto quell’establishment che i pentastellati hanno combattuto (in futuro sarà perciò interessante scoprire se Renzi farà ancora il politico o se troverà invece spazio nel mondo della finanza internazionale). Lo stesso Draghi è poi un esponente di spicco delle élite responsabili dell’austerità e dell’aumento delle diseguaglianze. Tutto questo lo rende in apparenza indigeribile da parte loro. Anche se un’analisi scevra da pregiudizi deve pure tenere conto di altri fattori.
Draghi è un uomo di grande valore, in grado di alzare il telefono per parlare subito con qualsiasi leader mondiale, e al pari del resto dell’establishment si è accorto di quali siano state le conseguenze di quelle politiche: la nascita di movimenti sovranisti e populisti, un ulteriore indebolimento dell’Europa nei confronti di Cina e Stati Uniti. Come banchiere europeo ha poi difeso non solo l’euro, ma pure il nostro Paese (contro la Germania) con un programma di acquisto di titoli che ha tenuto i tassi d’interesse bassi per anni. Di fronte alla pandemia, già nella scorsa primavera, ha poi spiegato sul Financial Times che servivano sussidi per cittadini e imprese e che addirittura bisogna pensare di azzerare i debiti contratti dalle aziende per far fronte alla crisi.
Insomma il premier incaricato, come l’Europa, nel tempo ha cambiato posizione. Del resto, prima di essere stato un campione del liberismo e delle privatizzazioni, Draghi era stato l’allievo prediletto di due grandi economisti keynesiani: Caffè e Modigliani. E Keynes era solito ripetere: “Quando cambiano i fatti io cambio le mie opinioni. Perché voi che fate?”. Altra frase che i 5 Stelle dovrebbero ricordare quando si tratterà di scegliere.
Prima della scelta i pentastellati dovrebbero anche farsi una domanda: noi facciamo politica per vincere o per influire in meglio sulla vita dei cittadini? Perché sostenere Draghi certamente farebbe loro rischiare un ulteriore e immediato calo di consensi. Ma essere la formazione con più parlamentari della nuova eventuale maggioranza consentirebbe, solo per fare degli esempi, di difendere e migliorare il reddito di cittadinanza (di cui proprio l’Europa ha chiesto recentemente l’estensione), ottenere il salario minimo garantito (chiesto sempre dalla Ue), vigilare sull’assalto alla diligenza dei fondi del Recovery, ricordare a tutti che la riforma della giustizia (compreso lo stop alla prescrizione dopo la condanna) è un’altra pretesa Ue. E che anzi senza processi più veloci i 209 miliardi attesi da Bruxelles non arriveranno.
Certo, lo ripetiamo, il prezzo per i 5S potrebbe essere salato. La prospettiva di trovarsi al governo di nuovo con Renzi e per giunta con il pregiudicato Berlusconi suscita in loro e nei loro elettori un condivisibile ribrezzo. Ma solo chi è al governo e si muove con Pd e Leu può respingere le istanze peggiori di Iv e Forza Italia. Non chi fa opposizione. Anche perché se i 5S non ci saranno al loro posto ci sarà la Lega. Per questo dopo aver discusso il programma con Draghi e aver messo dei paletti, i 5S, prima di decidere, dovranno pensare ciò che conviene ai cittadini. E a quella frase di Galbraith. Poi potranno scegliere.