Il risultato della guerra per l’accaparramento delle dosi è “l’apartheid dei vaccini”, avvertono scienziati e attivisti di tutto il mondo. Nazioni a medio e basso reddito, come il Ghana e l’Africa Subsahariana, non potranno vaccinarsi fino al 2024. L’Uganda pagherà il vaccino Astrazeneca tre volte il prezzo che paga l’Europa. E se non si cambia strategia, oltre alla questione etica, le conseguenze economiche e sanitarie dell’accaparramento saranno disastrose anche per gli stessi Paesi ricchi.
Il costo della mancata copertura vaccinale globale è stimata da un think tank americano, la Rand corporation, a 1,2 trilioni di dollari l’anno. Le nazioni ad alto reddito perderebbero così 119 miliardi l’anno. “I Paesi ricchi hanno legami commerciali globali – spiega Marco Hafner, tra gli autori dello studio –, il rallentamento economico nelle nazioni più povere causato dalla pandemia avrà un effetto a catena in tutto il mondo”. Nessuno è salvo finché non tutti sono salvi: è il mantra che ripetono da mesi scienziati e attivisti in tutto il mondo. “Il più grande pericolo che l’umanità sta correndo passa sotto silenzio: solo 25 persone sono state vaccinate in Africa”, ha dichiarato Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Istituto Clinico Humanitas di Milano, in un’intervista ad Avvenire. “Escludere i Paesi poveri è scandaloso: il virus non si ferma ai confini e le due varianti oggi più temute vengono dal Sud Africa e dalla selva brasiliana”. Come dire che se il virus non viene combattuto globalmente continuerà a circolare sviluppando nuove varianti, forse più letali e resistenti ai vaccini, che torneranno ai Paesi ricchi come un boomerang.
Più sei povero, più paghi
AstraZeneca venderà il suo vaccino a prezzo di costo al Sud del mondo. In India, il Serum Institute of India sta gestendo le maggiori spedizioni di vaccini sia AstraZeneca sia Novavax. Il Serum Institute esporta la propria versione del vaccino AstraZeneca – chiamata Covishield – in 92 dei Paesi più poveri del mondo, ma al prezzo che vuole: in India lo vende a 3 dollari a dose, 5 dollari per Sudafrica e Brasile, 7 dollari all’Uganda. L’Ue ha pagato il vaccino AstraZeneca 2 dollari. Includendo il trasporto, vaccinare una persona costerà invece all’Uganda 17 dollari. Né AstraZeneca né il Serum Institute hanno risposto alle nostre richieste di commento in merito. I vaccini di Pfizer e Moderna sono molto più cari. L’Ue li ha pagati oltre 14 dollari. I Paesi a basso reddito non potranno mai permetterselo. “Abbiamo assegnato delle dosi per la fornitura ai Paesi a basso e medio reddito a un prezzo senza scopo di lucro”, ci ha risposto Pfizer. Uno studio della Northwestern University (Usa) ha calcolato gli effetti sanitari di questa disuguaglianza: se i primi 2 miliardi di dosi di vaccini Covid fossero distribuiti proporzionalmente in base alla numerosità della popolazione di ogni nazione, le morti nel mondo diminuirebbero del 61%. Ma se le dosi sono monopolizzate da 47 dei Paesi più ricchi, i decessi si riducono solo del 33%.
Sopravvive chi è più veloce
Finora sono state acquistate 12,7 miliardi di dosi di vaccini, abbastanza per 6,6 miliardi di persone. Di queste, 4,2 miliardi se le sono assicurate i Paesi più ricchi – che hanno, in totale, una popolazione di soli 1,2 miliardi di cittadini – con l’opzione di acquistarne altre 2,5 miliardi: quindi più della metà del totale delle dosi disponibili. Il Canada ha comprato dosi per vaccinare ogni canadese 5 volte. Usa, Regno Unito, Europa, Australia, Nuova Zelanda e Cile ne hanno per vaccinare i loro cittadini almeno 2 volte (contando anche i vaccini non ancora approvati).
In Israele, più di un terzo della popolazione ha avuto la prima dose e più di un quinto entrambe. I territori palestinesi, invece, stanno ancora aspettando l’arrivo dei vaccini di Covax, l’iniziativa di Gavi Vaccine Alliance (organizzazione per l’accesso ai vaccini delle nazioni povere) per garantire il vaccino a chi è a maggior rischio Covid in tutto il mondo. Israele ha recentemente annunciato che trasferirà 5.000 dosi per immunizzare gli operatori sanitari palestinesi in prima linea.
L’iniziativa Covax
Covax punta a distribuire 2 miliardi di dosi, di cui 1,3 miliardi per 92 Paesi a basso e medio reddito entro la fine del 2021, sufficiente per inoculare il 20% della popolazione di ogni Stato: operatori sanitari e anziani. L’obiettivo è stato giudicato inadeguato dagli esperti, ma non si sa neanche se si riuscirà a rispettare. Dati i ritardi sulle forniture, anche Paesi come Canada e Nuova Zelanda hanno chiesto di ricevere i vaccini Covax.
Molte nazioni a basso e medio reddito hanno comunque cercato accordi con Big Pharma, finora ottenendo solo il 32% della fornitura globale per coprire quella che invece è un’area del mondo dove vive l’84% della popolazione.
Le aziende farmaceutiche devono ora modificare il proprio vaccino perché possa essere prodotto su scala industriale. AstraZeneca ha concesso la produzione a dieci aziende in UK, India, Brasile, Giappone, Corea del Sud, Cina, Australia, Spagna, Messico e Argentina, oltre alle proprie fabbriche in Europa. Quasi tutte sono autorizzate a produrne solo per una specifica area geografica, ma è comunque un tentativo di produrre su scala globale. Altri, invece, producono solo per il mercato occidentale.
Public Citizen, un think tank statunitense, ha scoperto che solo il 2% della fornitura globale di Pfizer/Biontech è stata concessa a Covax e si ritiene che Moderna darà priorità alle nazioni ad alto reddito. Così, America Latina, Asia e Medioriente, si sono rivolte ai vaccini russi e cinesi. Più di 50 Paesi hanno richiesto il vaccino russo Sputnik V. La Cina ha già 30 milioni di dosi dei suoi vaccini per i suoi cittadini, ma anche per Indonesia e Turchia. Ha promesso ai Paesi africani che sarebbero stati tra i primi a beneficiarne, ma non è chiaro se ne siano arrivati.
La battaglia sui brevetti
Con una fornitura inadeguata alla base sia dei ritardi che dell’iniquità, si sta chiedendo alle aziende di rinunciare ai brevetti. Ma Stati Uniti, Canada, Australia, Europa e Regno Unito sono schierati contro il rilascio dei brevetti. Esponenti dell’industria farmaceutica hanno detto al Bureau of Investigative Journalism che non c’è capacità produttiva di riserva, né abbastanza tecnici addestrati, quindi la sospensione non aumenterebbe la produzione. Due mesi dopo l’inizio della pandemia, l’Oms aveva istituito un meccanismo per la condivisione della proprietà intellettuale e dei dati, su base volontaria. Nessuna azienda dei vaccini ha partecipato. L’Oms ci ha poi riprovato, chiedendo ai produttori di dare la priorità a Covax ed esortando quei Paesi che ordinano dosi oltre il loro fabbisogno a donarle invece al Covax. Ma più si verificano i ritardi, più questa soluzione evapora. Solo la Norvegia, che ha registrato meno di 600 morti per Covid, ha per ora donato dosi al Covax.
In molte aree del Sud del mondo, “la situazione è molto tesa”, ha detto Ireen Mutombwa, coordinatrice della gestione dei disastri nazionali presso la Croce Rossa sudafricana. “La vita di tutti è a rischio, specialmente se sei qualcuno che è coinvolto nel lavoro con la comunità”, come gli operatori sanitari. Inoltre, “più circolazione c’è, più opportunità ci sono per il virus di mutare”, ha detto al Bureau Marie-Paule Kieny, direttrice della ricerca all’Inserm, l’istituto di salute pubblica francese. I ceppi mutati potrebbero causare più morti dirette nei Paesi sotto-vaccinati. E otrebbero rendere i vaccini meno efficaci nel tempo. Un effetto boomerang potenzialmente disastroso che nessun portafogli, per quanto opulento, potrebbe facilmente scongiurare.
* The Bureau of Investigative Journalism