Notizie e denunce
La Francia condannata per le sue carenze nella lotta al riscaldamento climatico
Due anni dopo aver raccolto più di 2 milioni di firme in meno di un mese – una mobilitazione senza precedenti in Francia – per denunciare l’“inerzia climatica” dello Stato, arriva la sentenza emessa il 3 febbraio scorso dal tribunale amministrativo di Parigi, che ha dato enorme soddisfazione alle associazioni ambientaliste e ai loro legali. Le quattro ong dietro la petizione (Our Common Affair, Greenpeace, Oxfam e la Nicolas Hulot Foundation) hanno presentato ricorso nel marzo 2019 al Tribunale amministrativo di Parigi. Al termine di questo primo grande processo climatico in Francia, la giustizia riconosce per la prima volta che lo Stato francese è colpevole perché incapace di rispettare i suoi impegni per ridurre i gas a effetto serra (Ghg) nel periodo 2015-2018.
Condanna storica per Shell: è responsabile del disastro ambientale in Nigeria
Condannata a risarcire i contadini nigeriani danneggiati dalle fuoriuscite di petrolio: la sentenza della corte d’appello dell’Aia inchioda la compagnia olandese Shell per disastro ambientale nel delta del fiume Niger e non solo la sua sussidiaria per le operazioni in Nigeria, la Shell Petroleum Development Company of Nigeria Ltd. Anche la casa madre infatti è colpita dalla sentenza, che obbliga la major petrolifera a installare dei sistemi di monitoraggio per gli oil spill lungo i suoi oleodotti nel paese africano. “È la prima volta che un tribunale ritiene una società transnazionale olandese responsabile del suo duty of care all’estero”, commenta in una nota l’ong ecologista Friends of the Earth, che ha promosso e seguito il caso. Secondo gli ambientalisti le vittime dell’inquinamento ambientale, dell’accaparramento di terre o dello sfruttamento ora hanno maggiori possibilità di vincere una battaglia legale contro le aziende coinvolte. “Le persone nei paesi in via di sviluppo non sono più prive di diritti di fronte alle multinazionali”, dicono.
Il Pnrr fallisce sui trasporti: città, elettrificazione e sicurezza dimenticate nella bozza approvata dal Consiglio dei Ministri
Le città, l’elettrificazione dei trasporti e la sicurezza stradale non sono una priorità per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza scritto dal secondo governo Conte. Solo 7,5 miliardi di euro per la mobilità urbana e regionale, contro i 29 miliardi necessari, nessuna voce specifica sullo sviluppo di un’adeguata rete di ricarica elettrica nazionale ad uso pubblico, nessun investimento per la riconversione industriale del comparto trasporti, briciole per la sicurezza stradale. A lanciare l’allarme sono le principali associazioni ambientaliste Kyoto Club, Transport & Environment, Legambiente, Cittadini per l’Aria, Greenpeace Italia e Wwf Italia, secondo cui il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza contiene, tra le altre, tre importanti criticità a cui è necessario far fronte: l’elettrificazione dei trasporti, le città e la mobilità urbana, gli investimenti sulle reti e la sicurezza delle persone sulle strade. Su un pacchetto da 200 miliardi, non un euro viene stanziato per la necessaria riconversione del settore produttivo automobilistico. Inoltre, il testo trascura la questione cruciale dello sviluppo di una adeguata rete di ricarica elettrica nazionale ad uso pubblico per servire i 6 milioni di veicoli elettrici previsti entro il 2030 dal Piano nazionale integrato per l’energia e il clima.
La giornata mondiale delle zone umide compie 50 anni
La Convenzione di Ramsar sulle Zone Umide compie 50 anni. Dalle torbiere ai sistemi dunali, dalle saline agli acquitrini, le zone umide sono fonte di vita per le numerosissime specie vegetali e animali che da esse dipendono, ma sono strettamente correlate anche alla nostra sopravvivenza. Dalle zone umide deriva, inoltre, il 70% di tutta l’acqua dolce utilizzata per l’irrigazione. Eppure, i dati del Soer Freshwater 2020 ci dicono che in Europa soltanto il 40% dei corpi idrici superficiali presenta un buono stato ecologico e che le zone umide sono ampiamente degradate, in declino per estensione e qualità a causa di agricoltura intensiva, abbandono delle tradizionali attività agro-pastorali, alterazione degli equilibri idrici, inquinamento (dovuto anche all’uso dei pesticidi), invasione di specie aliene, urbanizzazione e sviluppo d’infrastrutture. Nell’ultimo secolo, la Terra ha dovuto dire addio al 64% delle sue zone umide. Fallito, a livello globale, l’obiettivo dell’Agenda sullo Sviluppo Sostenibile che prevedeva la protezione e il restauro degli ecosistemi acquatici entro il 2020. Per questo, secondo Legambiente occorre “proteggere il 30% del territorio nazionale entro il 2030, creare più zone umide, migliorare la gestione delle aree protette”.
Studi e report
L’aumento delle temperatura impatta sulla produttività e l’offerta di lavoro
Negli ultimi decenni, l’aumento delle temperature dovuto ai cambiamenti climatici ha influenzato negativamente la produttività e continuerà a danneggiarla, potenzialmente in misura maggiore di quanto stimato finora. In Sudafrica, il Pil pro-capite arriverà a essere fino al 20% inferiore in uno scenario futuro caratterizzato da gravi cambiamenti climatici. È quanto emerge dallo studio “Climate change and development in South Africa: the impact of rising temperatures on economic productivity and labour availability”, coordinato dalla Fondazione Cmcc e da Rff-Cmcc European Institute on Economics and the Environment (Eiee) e condotto in collaborazione con l’Athens University of Economics and Business, recentemente pubblicato sulla rivista Climate and Development. Dai risultati emerge come i fattori di stress climatico abbiano impatti differenziati sui lavoratori di diversi settori. L’aumento delle temperature riduce infatti l’offerta di lavoro nelle industrie all’aperto e nei settori con elevata esposizione al calore, come l’agricoltura, l’edilizia, la pesca e l’estrazione mineraria: la cosiddetta “manodopera scarsamente qualificata”. Dall’altra parte, i lavoratori di settori come quello manifatturiero, o impiegati in lavori d’ufficio (“altamente qualificati”), sono meno colpiti dall’aumento delle temperature poiché svolgono le loro attività all’interno.
Fonte: Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici
Plastica nel make-up, serve una svolta del settore italiano della cosmesi
Rossetti, lucidalabbra, mascara, cipria e fondotinta, ovvero alcuni dei prodotti più comuni per il make-up e che entrano in contatto con occhi e bocca, spesso nascondono uno sporco trucco: ingredienti in plastica. Che possono contaminare il Pianeta e mettere a rischio la nostra salute. È quanto emerge dall’indagine di Greenpeace “Il trucco c’è ma non si vede”, che ha verificato la presenza di materie plastiche sia nelle liste degli ingredienti che attraverso indagini di laboratorio, nei trucchi di undici marchi: Bionike, Deborah, Kiko, Lancôme, Lush, Maybelline, Nyx, Pupa, Purobio, Sephora e Wycon. Nel 79% dei 672 prodotti verificati online abbiamo trovato materie plastiche, il 38% delle quali era costituito da particelle solide note come microplastiche. Tra i prodotti verificati, i mascara sono risultati quelli in cui gli ingredienti in plastica erano più frequenti (90 per cento dei prodotti controllati), seguiti da rossetti e lucidalabbra (85 per cento) e fondotinta (74 per cento). Si tratta di tipologie di prodotti non interessati dal divieto d’uso di microplastiche in vigore in Italia dall’inizio del 2020.
Global Climate Litigation Report: si impennano le cause climatiche nel mondo
Il Global Climate Litigation Report 2020 Status Review dell’United Nation Environmental Programme fornisce una panoramica dello stato attuale delle controversie sui cambiamenti climatici a livello globale, nonché una valutazione delle tendenze delle controversie sui cambiamenti climatici globali. Il rapporto rileva che in tutto il mondo si è verificato un rapido aumento delle controversie sul clima. Nel 2017 ci sono stati 884 casi presentati in 24 paesi. A partire dal 1° luglio 2020, il numero di casi è quasi raddoppiato con almeno 1.550 casi di cambiamento climatico depositati in 38 paesi. Il rapporto mostra come il contenzioso sul clima stia costringendo i governi e gli attori aziendali a raggiungere obiettivi più ambiziosi di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici. Sottolinea come i casi stiano imponendo una maggiore divulgazione del clima e ponendo fine al “greenwashing aziendale” sul tema del cambiamento climatico e della transizione energetica. Segnala come le persone chiedano ai loro governi di mantenere i combustibili fossili nel sottosuolo e sempre più sfidino la mancata applicazione delle leggi e delle politiche relative al clima.
Fonte: United Nation Environmental Programme
Buone pratiche
Mare: in azione la flotta antinquinamento del Minambiente contro i rifiuti
È entrata in azione la flotta antinquinamento del ministero dell’Ambiente contro i rifiuti in mare che, a partire da queste ore, opererà lungo tutte le coste del Paese. Per questa attività il ministero è affiancato da Corepla, il Consorzio Nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica, con il quale è stato sottoscritto nell’estate 2020 un accordo per un progetto sperimentale di riciclo del materiale plastico recuperato a mare dalla flotta. Il Consorzio si farà carico di verificare, misurare e analizzare le quantità e la qualità dei rifiuti oggetto della sperimentazione provenienti dalle imbarcazioni e valutare l’effettiva riciclabilità dei rifiuti di imballaggio in plastica. Il servizio antinquinamento è composto in totale da 32 unità navali altamente specializzate, di cui 9 d’altura e 23 costiere. Nove unità di altura e quattro costiere sono dislocate in diversi porti italiani, da Genova a Civitavecchia a Salerno, in modo da garantire un pronto intervento in caso di inquinamento del mare territoriale. Altre diciannove unità costiere, oltre ad agire in caso di inquinamento, svolgono il pattugliamento per il contenimento del marine litter, sia nelle acque marine antistanti le foci dei fiumi sia nelle aree marine protette, da Chioggia a Gallipoli, da Augusta a Porto Torres. Inoltre, quattro di queste diciannove unità pattugliano anche le aree di mare territoriale dove si trovano le piattaforme off-shore per l’estrazione di petrolio (Vasto, San Benedetto del Tronto, Licata e Pozzallo).
Fonte: Ministero dell’Ambiente
Microsoft, un miliardo per il clima
Microsoft aumenta ulteriormente il suo impegno per la lotta ai cambiamenti climatici, investendo un miliardo di dollari nel suo Climate Innovation Fund. È questo l’ultimo progetto avviato dall’azienda di Redmond, pronta a studiare a fondo tutti i sistemi per la cattura e la riduzione delle emissioni di CO2 in atmosfera. Per farlo, il gruppo ha deciso di finanziare 26 progetti innovativi e ha annunciato lo stanziamento di un miliardo di dollari per il Climate Innovation Fund, il fondo per lo studio di nuove tecnologie utili a combattere il cambiamento climatico. L’azienda si sta inoltre avvalendo dell’intelligenza artificiale per trovare soluzioni innovative ed efficaci contro il cambiamento climatico.
L’opinione
L’inverno è diventato un lungo autunno, perché non dobbiamo stupirci
di Maurizio Rivolta, Vicepresidente Fondo ambientale italiano (Fai)
Si è molto parlato di stazioni sciistiche e settimane bianche, ma fino ai primi giorni di dicembre su tutto l’arco alpino, da tutti i versanti la neve era scarsissima e solo ad alta quota, lo zero termico a fine novembre si trovava ancora verso i 3.000 metri di altezza, mentre dovrebbe essere almeno 1.500 metri più in basso. Le precipitazioni nevose di inizio dicembre probabilmente salveranno l’innevamento di molte stazioni sciistiche, che comunque se ne faranno poco, almeno per qualche settimana ancora viste le limitazioni imposte dalla pandemia Covid, come poi accade dopo questa breve apparizione bianca la meteorologia continentale ci riserva ormai poche giornate di vero inverno e, piuttosto, un lungo autunno spalmato su vari mesi con rari e brevi ondate fresche (fredde è altra cosa) e molte incursioni calde e miti dell’anticiclone africano che ormai si spinge sempre più a Nord, facendo arretrare i ghiacciai alpini e condizionando l’intero clima continentale europeo. Sempre più spesso infatti apprendiamo di pesanti “disequilibri” soprattutto nelle regioni europee del Nord, dove in Scandinavia ed in Russia abbiamo avuto temperature autunnali mai rilevate in questo periodo dell’anno che fanno seguito a una delle estati più torride nella tundra siberiana. Eventi lontani che non richiamano immediatamente la nostra attenzione come dovrebbero, sono infatti ormai dei segni evidenti che il clima è stato stravolto.