Siamo vicini con le preghiere ai tanti “colleghi” che, all’annuncio di Draghi, si erano inumiditi le lingue e gli slip vaticinando la Palingenesi dei Competenti, la Rivoluzione di Quelli Bravi, il Regno di Saturno e ora si ritrovano un po’ a secco, un tantino più asciutti, a ritrarre di un palmo le lingue e a dire che sarà dura, non bisogna aspettarsi granché, SuperMario mica ha la bacchetta magica e cara grazia se farà “due o tre riforme” per poi ascendere al Colle fra un anno. La lista dei ministri, le prime risse fra i medesimi, le nomine dei “nuovi” burocrati e prossimamente i sottosegretari promettono bene. Chi oracolava di Mes, fine della dittatura sanitaria, dei Dpcm e del Sussidistan, licenziamenti liberi, rivincita del privato sul pubblico e più vaccini per tutti in totale discontinuità dai dilettanti-incompetenti-scappati di casa-mediocri di prima si sta rassegnando alla continuità e presto, in cuor suo, ammetterà alla luce del dopo che prima era difficile fare meglio. Due settimane di ubriacatura e siamo già tornati sulla terraferma.
Vuol dire che Draghi non è bravo, competente, prestigioso? No, anzi. Significa che i superman, i tecnici super partes, gli uomini soli al comando, i salvatori della patria e i migliori esistono solo nella fantapolitica. Basta vedere di chi si sta circondando Draghi, complice la sua scarsa conoscenza della politica e dell’amministrazione: tre o quattro pezzi pregiati di Bankitalia, di Confindustria, delle accademie e delle burocrazie, e poi i peggiori cascami delle vecchie lobby che han fatto solo disastri, dal pescoso laghetto Cassese a Cl alle terrazze romane e milanesi. Queste cose nessuno dovrebbe saperle meglio di noi italiani, che di governi tecnici ne abbiamo già avuti tre – Ciampi, Dini e Monti –, regolarmente passati dagli altari alla polvere nel giro di pochi mesi. Ma siamo un popolo che dimentica tutto e non impara mai nulla: nessuna meraviglia, specie nella confusione del mondo ai tempi del Covid. Ciò che stupisce è che non ricordino e non capiscano nulla coloro che la storia, o almeno la cronaca, dovrebbero conoscerla: i giornalisti e gli intellettuali. Prigionieri della loro cupidigia di servilismo e ingannati dalle bugie che raccontano agli altri, hanno perso un’altra occasione, l’ennesima, per azzeccarne una. Infatti continuano a ripetere il mantra della “crisi di sistema” e del “fallimento della politica”. E fingono di dimenticare che Conte è caduto per mano di un irresponsabile sfasciacarrozze che non tollerava i successi della politica e del sistema incarnati da un governo che aveva ben guidato l’Italia nell’anno più terribile del Dopoguerra e, a lasciarlo fare, avrebbe consolidato un nuovo centrosinistra competitivo.
È per i suoi successi, non per i suoi errori, che è caduto il governo Conte, che stava ricostruendo la politica e il sistema già falliti anni addietro. Ma questo i trombettieri dei giornaloni non potevano né possono riconoscerlo, perché i loro padroni quella nuova politica imperniata su legalità, trasparenza, allergia alle lobby, politiche sociali e ambientali non l’accettavano. Tantomeno con 250 miliardi di Recovery e fondi di Coesione Ue all’orizzonte. Terrorizzati nel 2018 dalla vittoria di M5S e Lega e dalla scomparsa dei propri manutengoli e burattini, han preso a demonizzare i nuovi venuti e poi a tentare di comprarli e cooptarli. Nel 2019 ci sono riusciti con la Lega. Ma, quando già pregustavano le elezioni e il ritorno a tavola, han dovuto fare i conti con Conte, che è riuscito nell’ardua impresa di mettere insieme M5S e un Pd parzialmente derenzizzato e di formare una squadra di governo che univa i pezzi meno sputtanati dell’establishment ai marziani grillini e anche alla gente nuova della sinistra (i Provenzano, Amendola, Speranza). Anziché impazzire, la maionese è piaciuta: il premier e il suo governo avevano indici di gradimento molto superiori alla somma dei giallorosa. Perché i risultati, al netto degli errori, si vedevano: una gestione della pandemia più efficace che nel resto dell’Ue, i 209 miliardi del Recovery, la campagna vaccinale, altre misure come il cashback, l’ecobonus 110%, il blocco della prescrizione, le manette agli evasori ecc. Altro che fallimento degl’incompetenti, altro che crisi di sistema.
In barba a chi confonde le cause con gli effetti, il fallimento del sistema c’era già stato: nel 2011, quando morì miseramente il berlusconismo; nel 2013, quando finirono tragicamente i tecnici montiani e il Pd che se li era accollati per ordine di Napolitano; nel 2018, quando il popolo bocciò le tre ammucchiate demo-forziste di Letta, R. e Gentiloni benedette dal Colle per tener fuori i marziani e votò in massa per i due partiti rimasti fuori: M5S e Lega. Dopo ogni embrassons-nous di establishment, tecnica o politica che sia, vincono sempre quelli che le élite non riescono a comprendere e demonizzano-esorcizzano come “populisti”: dopo Ciampi, B.; dopo Monti, i 5Stelle; dopo il napolitan-renzismo, ancora il M5S più Salvini. E ora, dopo Draghi, è molto probabile un derby fra i due leader che se ne tengono a distanza: Meloni e Conte (se gioca bene le sue carte). Sempreché la gente non scambi per novità i codini dell’Ancien Régime di ritorno, che non possono essere la soluzione perché sono il problema. Gli italiani, diceva Flaiano, “vogliono la rivoluzione, ma preferiscono fare le barricate coi mobili degli altri”.