Notizie
Stati Uniti ufficialmente dentro l’Accordo di Parigi
Gli Stati Uniti sono tornati ufficialmente all’accordo di Parigi, appena 107 giorni dopo la loro partenza. L’accordo di Parigi, firmato da 192 paesi, mira a mantenere il riscaldamento globale a un livello sempre più ambizioso di 1,5° rispetto ai livelli preindustriali. Biden ha posto la lotta alla crisi climatica al centro del suo passo elettorale, definendola una minaccia “esistenziale”. Ora arriva la parte difficile: gli Stati Uniti dovrebbero presto produrre un “Contributo determinato a livello nazionale” aggiornato – l’impegno di ogni nazione per ridurre le emissioni. Biden ha promesso che gli Stati Uniti saranno a zero emissioni entro il 2050. Il suo inviato per il clima, John Kerry, ha anche affermato che gli Stati Uniti riprenderanno i loro contributi al Fondo verde per il clima per le nazioni più povere, i cui finanziamenti erano stati bloccati da Trump.
No, il black out in Texas non è colpa delle rinnovabili
Mentre il suo Stato era tormentato da una crisi elettrica che ha lasciato milioni di persone senza calore a temperature gelide e di parecchi gradi sotto lo zero, il governatore del Texas è andato in televisione per iniziare a dare la colpa all’energia rinnovabile, suggerendo che il collasso dell’intero sistema è stato causato dal fallimento dell’energia eolica e solare. “Green energy failure” si leggeva nel banner nella parte inferiore dello schermo delle storie di Fox News sulle interruzioni di corrente. “Ogni volta che abbiamo sfide con la rete, che sia in California la scorsa estate o in Texas in questo momento, le persone cercano di utilizzarlo come arma per il loro progetto preferito, che sono i combustibili fossili”, ha detto Leah Stokes, professore di Scienze politiche presso University of California, Santa Barbara, il cui lavoro si è concentrato sulle battaglie sulla politica energetica. “La verità è che la nostra infrastruttura non è in grado di gestire eventi meteorologici estremi, che questi combustibili fossili stanno ironicamente causando. Le rinnovabili non c’entrano nulla”.
Ecco tutti i motivi per non bere l’acqua in bottiglia
Nonostante la sua popolarità sempre crescente negli Stati Uniti, l’acqua in bottiglia è atroce per l’ambiente. Secondo l’Ufficio per la sostenibilità dell’Università di Harvard, “l’intero ciclo di vita dell’acqua in bottiglia utilizza combustibili fossili, contribuisce al riscaldamento globale e provoca inquinamento”. Sebbene le bottiglie d’acqua siano riciclabili, gli americani buttano via circa l’80% delle bottiglie che usano e, secondo alcune stime, gli americani usano 1.500 bottiglie d’acqua di plastica ogni secondo. Le bottiglie di plastica contribuiscono immensamente alle crisi ambientali globali, in parte a causa del fatto che si disintegrano in microplastiche, la cui presenza è così onnipresente che i ricercatori le hanno recentemente scoperte nelle placente dei bambini non ancora nati. L’acqua in bottiglia richiede 2.000 volte l’energia per essere prodotta e spedita rispetto al suo equivalente di rubinetto. I processi di estrazione e produzione utilizzati dalle società di acqua in bottiglia possono anche avere effetti ambientali ed economici negativi, e equivalere alla privatizzazione e alla mercificazione di una risorsa limitata e inestimabile alla quale tutti dovrebbero avere un diritto universale.
Studi e report
Le politiche climatiche possono essere calibrate a vantaggio delle famiglie e delle piccole imprese
Il ventaglio di politiche attualmente messe in atto per decarbonizzare le economie include numerosi strumenti, tra cui le tasse sul carbonio, il mercato dei permessi, le feed in tariffs o le quote di energia rinnovabile. Secondo un nuovo studio, alcune di queste politiche potrebbero essere dannose per le famiglie meno abbienti e per le piccole imprese. Questo implica che i costi associati alla transizione verde potrebbero ricadere in gran parte su coloro che sono meno in grado di far fronte a un aumento dei prezzi dell’energia nel breve periodo. Per evitare che questo succeda, è necessario progettare e calibrare il ventaglio di politiche a supporto della decarbonizzazione a vantaggio delle piccole e medie imprese, ognuna delle quali opera in condizioni locali diverse, e delle famiglie a basso reddito. Quando questo avviene, lo studio mostra che le politiche climatiche permettono di perseguire una riduzione delle emissioni, ma anche di fornire nuove opportunità economiche. I risultati dello studio sono pubblicati sulla rivista scientifica Nature Climate Change.
Fonte: Centro-Euro Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici
Fashion spillover: Covid-18 e visoni
Tra aprile e dicembre 2020, la diffusione della epidemia di coronavirus tra gli allevamenti di visone (oltre 400 focolai tra Europa e Nord America) ha dimostrato come il contesto di allevamento intensivo offra le condizioni ideali per lo sviluppo di epidemie. Il nuovo Rapporto LAV “Fashion Spillover – Covid e Visoni, Responsabilità della industria della pelliccia e delle istituzioni” dedica una prima parte all’ambito “Istituzionale” con una descrizione puntuale della cronologia della diffusione dell’epidemia di coronavirus tra gli allevamenti di visoni in Europa e Nord America, i provvedimenti adottati o non adottati dei vari governi, le valutazioni scientifiche di autorità sanitarie nazionali di diversi paesi e organismi internazionali come l’Oms e l’Oie, il contesto italiano. La seconda parte del Rapporto descrive il ruolo, colpevole, della “Industria della pelliccia” nell’avere progettato un sistema di sfruttamento degli animali basato sull’allevamento intensivo e che, nel tempo, ha creato le condizioni ottimali per la nascita e la diffusione della epidemia di coronavirus. Un sistema malato e “tutelato” da auto-certificazioni cosiddette “responsabili” ma che di responsabile non hanno proprio nulla. Il Rapporto “Fashion Spillover” si conclude con un duplice appello, alle aziende della moda e alle istituzioni: stop all’uso e al commercio di pellicce, e definitiva chiusura degli allevamenti di visoni.
Perché l’invecchiamento delle dighe rappresenta un rischio globale
In tutto il mondo l’invecchiamento delle dighe sta diventando una questione da risolvere. Migliaia di grandi dighe costruite durante il secolo scorso hanno già superato i 50 anni, o stanno per farlo. L’invecchiamento, oltre ad aumentare il rischio di danni e cedimenti, è spesso accompagnato dall’accumulo di sedimenti e dal conseguente decremento dell’efficienza di queste infrastrutture, siano esse utilizzate per produrre energia, accumulare riserve d’acqua per irrigazione e fornitura o controllo delle piene. Nel prossimo futuro, come si afferma nel report pubblicato dall’Institute for Water, Environment and Health della United Nations University, vedremo confermarsi un trend che è già chiaro: non ci sarà una nuova era di costruzioni come nel Secondo Dopoguerra e gli smantellamenti (molto più economici delle riparazioni per i medi e grandi invasi) saranno sempre più frequenti.
Fonte: Institute for Water, Environment and Health
Il biologico italiano? In salute, ma solo per i grandi
Il successo di vendite del biologico non è stato piegato nemmeno dalla crisi pandemica del coronavirus. Anzi il comparto, alimentare e non, ha raggiunto valori assoluti davvero elevati. Il mercato interno vale, infatti, 4,3 miliardi di euro (6,9 miliardi se aggiungiamo l’export), registrando un incremento costante che ne ha sancito più di un raddoppio nei dieci anni appena trascorsi (+118%). È l’ennesima conferma di questo trend positivo contenuta nell’ultimo rapporto Bio Bank. Tuttavia, mentre il biologico nei supermercati (cioè la grande distribuzione organizzata o gdo) fa passi da gigante (+20% nella quota del mercato tra 2011 e 2020), i cosiddetti “altri canali” soffrono (-20%). “A gettare la spugna – scrive Bio Bank – sono soprattutto i piccoli negozi che hanno fatto la storia del biologico”.
Estati sempre più secche e senza pioggia entro il 2100
Un nuovo studio spiega come le estati in tutto il continente diventeranno più secche per la maggior parte dell’Europa nel corso del secolo. Il dott. Nikos Christidis e il professor Peter Stott del Met Office Hadley Center hanno valutato come il cambiamento climatico indotto dall’uomo abbia influenzato l’andamento delle estati umide e secche in Europa e hanno esaminato la disponibilità di acqua e le piogge nell’Europa settentrionale e meridionale entro la fine del secolo. Pubblicati su Science Bulletin, i risultati forniscono informazioni su come le comunità dovranno adattarsi a poca disponibilità di acqua e alle siccità legate all’ondata di caldo.
Buone pratiche e notizie
In Danimarca la prima isola energetica artificiale del mondo
Entro il 2033 la Danimarca sarà in grado di fornire 3 gigawatt di energia pulita a 3 milioni di famiglie attraverso la prima isola energetica artificiale del mondo. L’impianto, che sorgerà nel Mare del Nord – a 80 chilometri dalla costa danese – avrà la dimensione di circa 17 campi di calcio e sarà in grado di produrre energia pulita grazie al collegamento con centinaia di pale eoliche costruite in vari campi del Paese. Il progetto è stato annunciato con entusiasmo dal ministro dell’Energia danese, Dan Jorgensen, che ha parlato di “svolta decisiva non solo per la Danimarca, ma per tutta l’Europa e il mondo intero” e prevede un investimento di 28 miliardi di euro da destinare alla costruzione di un vero e proprio arcipelago di isole energetiche. Oltre a quella prevista per il 2033, infatti, verrà edificato entro il prossimo anno un secondo isolotto, che sorgerà nei pressi dell’Isola di Mon col compito di fornire energia elettrica pulita a 600.000 famiglie, e una terza isola, in questo caso di dimensioni più grandi, sorgerà poi nel Mar Baltico.
L’Islanda trasforma la CO2 in roccia
Catturare l’anidride carbonica presente in atmosfera per trasformarla in rocce nel sottosuolo: è questo il nuovo e costosissimo progetto avviato in Islanda. Un Paese che si sta dimostrando sempre più innovativo sul fronte dell’energia verde. Ma non tutti sono convinti di questo nuovo tentativo poiché, oltre a essere estremamente dispendioso in termini di denaro, appare molto complesso da attuare su larga scala. Il progetto nasce dall’azienda svizzera Climeworks e dall’islandese Carbfix, è attivo da qualche tempo e vede già degli impianti pilota in funzione. Tramite delle apposite turbine, l’aria viene catturata e convogliata in speciali filtri: questi ultimi separano l’ossigeno, che viene nuovamente rilasciato in atmosfera, dall’anidride carbonica. Una volta separata, la CO2 viene mescolata all’acqua per ottenere un liquido mediamente acido, dopodiché viene spinta con una pompa tra gli 800 e i 2.000 metri di profondità, sotto la roccia basaltica. Una volta intrappolato nel sottosuolo, il composto inizia un processo di solidificazione: dopo circa due anni, il 95% dell’anidride carbonica risulta pietrificata. Secondo quanto i riferito da Carbfix, gli impianti pilota sono in grado di recuperare e solidificare circa 50 tonnellate di CO2 all’anno, con l’aumento delle strutture disponibili si spera di arrivare alle 4.000 tonnellate, sempre annuali.
Guida alle nuove etichette energetiche degli elettrodomestici
Novità in vista per le etichette energetiche di alcuni elettrodomestici che, a partire dal prossimo 1 marzo, torneranno a essere classificate in base a una scala compresa tra A (massima efficienza) e G (bassa efficienza), in sostituzione dell’attuale classificazione da A “con tre più” (A+++) a G.
Per supportare cittadini e consumatori l’Enea ha realizzato la guida gratuita L’etichetta energetica 2021 scaricabile online, che mette in luce i cambiamenti di questo documento e informa i consumatori su caratteristiche e consumi di energia di ciascun modello di elettrodomestico immesso sul mercato comunitario. Oltre al consumo di energia elettrica, le etichette forniscono tramite pittogrammi intuitivi ulteriori informazioni, per una scelta d’acquisto più informata: si va dal consumo d’acqua per ciclo di lavaggio alla capacità di stoccaggio al rumore emesso dall’apparecchio ed altro ancora. Introdotta nell’Ue nel 1994 e in Italia nel 1998, l’etichetta energetica ha contribuito allo sviluppo innovativo dell’industria e alla concorrenza, favorendo l’immissione sul mercato di nuovi prodotti in classi energetiche via via superiori.
La campagna
Wwf, parte la campagna Re-Nature Italy
La campagna ReNature Italy del Wwf Italia sostiene un grande progetto capace di invertire la curva della perdita di biodiversità in Italia e favorire la coesistenza tra uomo e natura. Quattro gli obiettivi della campagna: raggiungere, entro il 2030, il 30% di superficie terrestre e marina efficacemente protetta, con un 10% di territorio a protezione integrale, e assicurare le tutela di specie chiave (come lupo, orso bruno marsicano e lontra); contribuire alla connessione tra le aree protette esistenti e in via di creazione, attraverso la realizzazione di una vera e propria rete ecologica nazionale a partire da 3 super-corridoi, le wildways alpina, padana e appenninica; restaurare gli habitat degradati, a partire da 3 aree prioritarie a maggior frammentazione, con l’obiettivo di ripristinare almeno il 15% del territorio italiano, destinare almeno il 10% dei terreni agricoli alla natura e ristabilire la continuità ecologica di almeno 1600 km di fiumi italiani; contribuire al ritorno in natura di alcune specie chiave per gli ecosistemi, strappandole al vortice dell’estinzione.