È l’ultima notizia che si agita nell’ecosistema mediatico, a est e a ovest, da Mosca a Berlino, fino a Varsavia e Roma. È un’informazione che rimbalza più veloce delle altre perché riguarda il “paziente berlinese”, il dissidente più famoso del Cremlino, Aleksey Navalny. “Dopo un’accurata analisi – che è andata molto indietro nel tempo – abbiamo trovato dichiarazioni e frasi che costituiscono incitamento all’odio ed abbiamo deciso di ritirare – niente di meno, niente di più – la designazione di ‘prigioniero di coscienza’ a Navalny, ma questo non significa che non continuerà la nostra azione per chiedere la sua scarcerazione” spiega accurato al telefono Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia.
Navalny, per l’ong internazionale, non è più “prigioniero di coscienza”. Dopo la pubblicazione della dichiarazione ufficiale, alcuni media russi indipendenti hanno dovuto specificare che non si trattava di una fake news perché, assottigliata in poche righe, l’informazione ha generato cortocircuito in coscienze, organizzazioni e redazioni dei giornali che l’hanno riportata, nella Federazione o oltre i suoi confini.
Accreditato quasi sempre solo come martire della libertà dalla stampa internazionale, populista e da sempre nazionalista, Navalny non ha mai rinnegato le sue posizioni radicali. Prima che parlasse in video dell’agente nervino novichok, c’erano le pistole: quelle che consigliava di usare lui contro gli “scarafaggi”, ovvero i caucasici e i musulmani.
Qualcuno con sgomento, qualcuno con parzialità, ha riferito della scelta dell’ong come fosse una condanna o una presa di posizione: la decisione, spiega Noury, è stata “presa dalla sede centrale, dai nostri esperti dell’Europa orientale, come da normale prassi. La revoca o l’attribuzione dello status, nella storia di Amnesty, si è ripetuta diverse volte: è un’attività soggetta a revisione costante”.
Parole d’odio e hate speech contraddicono la definizione di prigioniero di coscienza per l’organizzazione, che presenterà comunque un appello che ha in calce la firma di 200mila persone di 70 diversi Paesi che chiedono il rilascio immediato dell’oppositore, perché “Navalny è oggetto di persecuzione politica per quello che ha fatto negli ultimi mesi ed anni, e noi continueremo a chiedere che sia liberato: capisco che la propaganda filo-governativa usi questo argomento per sostenere che Amnesty ha abbandonato Navalny, ma non è vero, semplicemente non riteniamo che debba essere considerato prigioniero di coscienza” spiega ancora Noury.
Tecnicamente è oggi “vittima di persecuzione politica e giudiziaria: deve essere rilasciato e rimesso in condizione di svolgere le sue attività, la denuncia della corruzione, senza timore di rappresaglie né alla sua vita, né dal punto di vista legale”. La priorità rimangono i diritti umani nel Paese: “Pochi giorni fa abbiamo preso posizione contro la condanna, seppur a pena sospesa, dell’attivista e prigioniera di coscienza Anastasia Shevchenko, accusata di “attività organizzativa indesiderata”.
Additati perfino dallo staff del dissidente di aver ceduto a una campagna orchestrata ai danni di Navalny dalle autorità russe, Noury specifica che è stata “una decisione autonoma, presa come tutte le altre”. Amnesty mantiene la Federazione nel mirino della sua attenzione: “Al momento stiamo raccogliendo informazioni riguardanti il 2020, per il rapporto annuale sulla Russia, che verrà pubblicato tra un paio di mesi”. L’ong ha inoltre chiesto il rilascio delle migliaia di persone arrestate nelle ultime settimane per aver preso parte a manifestazioni pacifiche contro il governo: “Sono talmente tante che hanno dovuto metterle nei centri di espulsione per stranieri, questo rende l’idea di quanto sia estesa la repressione adesso in Russia”.