Se tutto andrà bene, il decreto Ristori 5 sarà approvato la prossima settimana. Ma verosimilmente passerà almeno un altro mese prima che i lavoratori autonomi e le imprese messe in ginocchio dal virus vedano anche un solo euro dei 32 miliardi stanziati con lo scostamento di bilancio di gennaio. Così, mentre la politica del “tutti dentro” si diletta con il manuale Cencelli, spartendosi poltrone su poltrone, il rischio reale per Mario Draghi e il suo esecutivo dei migliori è che presto in tanti rimpiangano i peggiori. Solo un italiano su tre, ci racconta un sondaggio di Alessandra Ghisleri, è soddisfatto dalla nuova squadra di ministri. Una percentuale bassissima rispetto a quelle di solito riscontrate in occasione della nascita di un nuovo governo. Un risultato choc che rende reale la prospettiva di una luna di miele assai breve tra Draghi e il Paese.
Molto dipenderà dai Ristori. Perché come al solito sono i soldi, lasciati o messi in tasca agli elettori, a fare la differenza. Ma qui Draghi parte in salita. La crisi del governo Conte innescata da Matteo Renzi ha avuto come conseguenza il blocco della preparazione del decreto.
Il 25 gennaio, il vecchio ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, era piuttosto avanti col lavoro. Tanto che già per la settimana successiva si ipotizzava il varo di norme in grado di finanziare con molti miliardi chi ne aveva bisogno. Poi sono arrivate le dimissioni di Conte, le manovre per tentare di formare un nuovo governo, i no di Renzi e il giuramento di Draghi del 13 febbraio. E si è così arenato il progetto di smetterla con i pochi soldi dati in base ai codici Ateco (un sistema che aveva escluso molte categorie) per passare a interventi mirati nei confronti di chi nel 2020 aveva perso il 33 per cento del fatturato coprendo i costi fissi (affitti e utenze), come si sta già facendo in Francia e Germania. Draghi ha detto di condividere questa impostazione, spiegando di voler scegliere tra quali attività “proteggere” e quali “accompagnare al cambiamento”.
Farlo però è complicato. E soprattutto richiede l’invio di nuova documentazione da parte di chi avrà diritto al ristoro. Insomma, se a dicembre (ultimo mese di aiuti) l’Agenzia delle Entrate si era potuta muovere velocemente, bonificando le somme direttamente sui conti correnti, oggi la prospettiva è che, anche con il decreto approvato, le imprese (a partire da quelle della ristorazione e dello spettacolo) ci mettano molte settimane prima di incassare. Inoltre, domenica 28 febbraio scade lo stop all’invio delle cartelle esattoriali. Che va prorogato, magari con un provvedimento ad hoc. Per questo Draghi, già alle prese con il moltiplicarsi delle zone rosse e arancioni scure, ha di fronte a sé un futuro incerto. Popolarissimo sui giornali e tra le lobby che tanto lo hanno voluto, potrebbe presto diventare impopolare tra gli italiani al pari di tanti suoi ministri.
Intendiamoci. Sui ritardi del decreto il neo premier ha ben poche responsabilità. Quello che accade è semplicemente frutto della scelta di Renzi. Sulla squadra di governo, invece, la responsabilità è esclusivamente sua. Visto che sulla composizione dell’esecutivo ha avuto mano libera.
Per uscire dall’impasse, Draghi dovrà per forza provare a parlare al Paese rassicurando i cittadini. Lo saprà fare? E soprattutto basterà per tenere buoni i tanti che da dicembre non ricevono più nulla? Ce lo chiediamo senza spirito polemico. Perché sappiamo che finora quando Draghi ha parlato ha sempre rassicurato con successo i mercati. Ma sappiamo anche che le persone sono una cosa (fortunatamente) diversa.