Qualche giorno fa, seduti ad un tavolino all’aperto, sotto un sole piacevolmente caldo, un mio amico mi ha raccontato di un libro che ha appena finito di leggere, dal titolo “The Ministry for the Future (Il Ministero per il Futuro)”, di Kim Stanley Robinson, non ancora tradotto in italiano. Il libro rientra nella categoria della fantascienza, ma a sentire il mio amico tanto fantascienza non è. Il racconto inizia con un evento climatico estremo – in particolare un’ondata di calore– che uccide tutti gli abitanti di un piccolo paesino indiano. Quest’accadimento accende una serie di reazioni a catena e la concreta volontà nell’uomo di sconfiggere la crisi del clima. Viene quindi creato il “Ministero per il futuro” che deve di fatto rappresentare gli interessi delle generazioni che verranno e di tutti gli altri esseri viventi – ovvero la natura – di fronte alla catastrofe climatica.
Immagino che vi sarà evidente perché sia necessario rappresentare gli interessi delle generazioni che verranno: sono il nostro futuro. Vi chiederete però: “Perché rappresentare la natura”? Semplicemente perchè, anche se riuscissimo per qualche azione super virtuosa, ad abbattere tutti i gas serra in eccesso, non risolveremmo la crisi climatica senza fermare la distruzione della natura. Un pianeta senza natura “funzionante” non può essere un luogo vivibile per l’umanità: tempeste di sabbia, venti sferzanti, mancanza d’acqua, di pioggia, di umidità…e chissà cos’altro ancora. Senza considerare che, senza natura, non riusciremmo a risolvere problemi altrettanto gravi, come la fame, la povertà, le malattie, le guerre.
Se veramente questo Ministero per il Futuro esistesse e fosse – come nel libro – guidato da una donna, quali sono le azioni immediate che dovrebbe avviare? Io consiglierei di partirei da una prima grande sfida – quella che il WWF ha lanciato con la sua campagna ReNature – ovvero ricostruire e proteggere la natura che abbiamo distrutto, ridando spazi vitali agli animali selvatici, creando rifugi per gli impollinatori, riconnettendo quella ricchezza e diversità di specie e di ecosistemi che chiamiamo biodiversità. Per dare via a tutto questo non abbiamo oggi un Ministero per il Futuro (consiglio lo stesso di leggere il libro) ma un Ministero per la Transizione Ecologica, quella transizione la cui urgenza è stata messa a nudo dalla pandemia.
E’ chiaro tuttavia che per vincere la battaglia del cambiamento non basti un ministero. Dobbiamo infatti essere consapevoli che la transizione ecologica è nelle nostre mani. Nei nostri consumi, nella nostra voglia di proteggere quello che di naturale e straordinario abbiamo ancora in Italia. Noi siamo la società civile che può chiedere, spingere, scegliere, avviare processi, guardare al futuro, proteggere la natura che ancora abbiamo e ricostruire quella che abbiamo distrutto.
Lo possiamo fare proteggendo il 30% del nostro territorio, restaurando il 15% degli habitat, ricucendo con foreste, fiumi liberi dal cemento, campi affrancati dai pesticidi, quelle grandi connessioni ecologiche – dalle Alpi agli Appennini – che sono la spina dorsale della natura d’Italia. Lo possiamo fare chiedendo a gran voce che la natura, la sua difesa, il suo restauro, entrino a tutti gli effetti nei fondi del Recovery Plan che, guarda caso, si chiamano proprio “Next Generation Fund” e che, prima di ogni altra cosa, dovrebbero proteggere e rafforzare la rete di vita che ci consente di esistere sul pianeta.
(il video della campagna del Wwf)
*direttore del programma di Conservazione del WWF Italia