Salvini è sempre il solito inaffidabile Salvini, quando per imbucarsi al governo fa finta di convertirsi all’europeismo salvo poi fare comunella (e prossimamente gruppo a Strasburgo) con i negazionisti dell’Ue e della democrazia, Orbán e camerati polacchi. Nessuno comprerebbe da lui un’auto usata soprattutto se a fare da garante c’è il Giorgetti, sempre più palo della banda dell’Ortica. Infatti, nello schema aggiornato di chi vince e di chi perde, la Lega non vince più da quando Giorgia Meloni dopo la destra si è pappata pure l’opposizione e un posto sul podio della popolarità. Sul fronte opposto, tutto è cambiato quella sera del sondaggio di Mentana quando i 5 Stelle a guida Giuseppe Conte in una botta sola hanno mangiato al Pd quattro punti.
Fu allora che Nicola Zingaretti, che non è nato ieri, prese cappello (“mi vergogno”) per salutare, vedetevela voi, e mettersi alla finestra in attesa di tempi migliori. Se riuscirà a rivitalizzare il Movimento, Conte potrà provare a federarlo con la sinistra di Speranza, Bersani e D’Alema e con quella parte del Pd (Zingaretti, Orlando, Franceschini) che non vuole ritrovarsi alla mercé di Matteo Renzi (i Guerini, Marcucci, Delrio).
Con Meloni a destra e Conte a sinistra, Mario Draghi resta il motore immobile di un sistema abbastanza definito, salvo scosse di assestamento, che tra un anno eleggerà il nuovo inquilino del Quirinale. Un traguardo che, a meno di sfracelli nella corsa alla vaccinazione e ai fondi del Recovery Plan, vede super favorito l’ex presidente Bce (vero che spesso chi entra Papa esce cardinale, ma la legge dei grandi numeri è fatta per essere smentita). Dopodiché il nuovo presidente potrebbe sciogliere le Camere per andare al voto anticipato, come auspicato da Salvini e Meloni.
Almanaccare sul futuro non costa niente, perché sappiamo che basta un colpo di vento per scompaginare le carte sul tavolo e qualsiasi progetto. Come accadde un anno fa, quando pensavamo di essere padroni del nostro domani e l’indomani arrivò il lockdown.