“If I can’t dance it, it’s not my revolution”. Se non posso ballarla, non è la mia rivoluzione, diceva Emma Goldman, anarchica, attivista, prima russa e poi statunitense. Adesso la Russia femmina, – quella che sopravvive alla violenza domestica, sociale, culturale del patriarcato slavo da secoli -, ha le sue liriche per una rivoluzione pop e le canta Manizha. L’artista rappresenterà la Federazione alla competizione musicale da sempre più seguita dai russi: l’Eurovision.
Zittite le solite siliconate sui tacchi, edasvidanyaa sentimenti scadenti schiacciati in ritornelli melensi, la cantante Manizha Sangin ha vinto con il voto del pubblico che da casa le ha destinato il 39,7% voti: non erano elezioni, ma preferenza popolare espressa dagli spettatori del primo canale, uno dei media più allineati a guglie ed antenne del Cremlino. I cittadini della Federazione hanno fatto vincere il brano “Russkaya Zhenschina”, in traduzione: donna russa, un inno alla forza delle ragazze.
“Sono così piccola, come attraverserò il campo di fuoco?”. È il primo verso della canzone che poi ripete alle donne slave: “Siete forti abbastanza da rimbalzare contro il muro”. Mentre Manizha canta si sveste, – letteralmente -, dei panni tradizionali delle donne russe per rimanere sul palco in tuta da lavoro, color rosso sangue. “Hai già trent’anni, dove sono i tuoi figli?”, ma anche: “Devi dimagrire!”. E ancora: quell’abito “è troppo lungo, è troppo corto”. E poi: “Non vi biasimo, ma mi amo in maniera diabolica”. Quasi come se avesse previsto il tornado di critiche, conclude il brano con “Corvi, per favore levatevi di torno”.
La vittoria di Manizha ha scatenato maree di offese e torrenti di commenti misogini e xenofobi online, che hanno avuto un solo, fragile ma fortissimo, argine: il sorriso della cantante, perpetuo ed immutabile di risposta, che non si è eclissato. L’errore dell’artista, per le colleghe non scelte, è stato non cantare in inglese, ma in russo. Per altri è una questione anagrafica. Manizha rappresenterà Mosca alla competizione sonora, ma “non è nemmeno russa”: seppure ha vissuto tutta la vita nella Federazione, la chiamano “la tagica”, perché è nata a Dushanbe nel 1991, anno di collasso dell’Unione Sovietica, quando nel suo Paese infuriava la guerra civile. Le hanno detto che è grassa, è bruna, è cagna, – offesa usata in tutte le sue declinazioni, sfumature e sinonimi -.
Come da tradizione, a Mosca anche la politica ha cantato. Ha intonato un singolare lamento anche il leader del partito social-democratico Vladimir Zhirinovsky: “Non sono sicuro che trasmetta una buona immagine delle donne russa o della Russia in generale”. Investita da onde di dubbi dei critici, – pochi i silenziosi, infiniti i rumorosi-, l’artista non si è bagnata.
Non è la prima volta che Manizha ha dimostrato di avere coraggio infischiandosene della valanga di odio di cui è bersaglio: in passato ha difeso le tre sorelle Khachaturyan, le ragazze ora sotto processo per aver ammazzato il loro padre, che le abusava e violentava sin dall’infanzia; ha pubblicizzato un’app per frenare la violenza contro le donne; ha sempre supportato i diritti Lgbt sentendosi dire che “chi supporta i gay, è gay”. Un gradino dopo l’altro, e non sempre su scala musicale, di passi ne ha fatti tanti: è diventata la prima ambasciatrice russa dell’Onu per i rifugiati a dicembre scorso.
Più che per la carriera di Manizha, è stato un rito di passaggio, compiuto forse involontariamente e nella leggerezza dei riflettori colorati, della Russia che l’ha scelta. Il desiderio della cantante era rendere le donne “coscienti di se stesse”, ma anche far vedere al mondo la Federazione per quel che è: “Andare all’Eurovision è un’opportunità per parlare di ciò che mi interessa: sono tagica, ma la Russia mi ha accettato e cresciuto”. A Mosca lei ha imparato a cantare in un coro e suonare il piano e questo, nonostante l’odio che le è rimbalzato contro, proprio come nei versi della canzone, non l’ha dimenticato: “Vorrei che il mondo vedesse il nostro Paese come lo conosco io: generoso, aperto, luminoso e diverso da tutto il resto”. In attesa dell’esibizione a Rotterdam a maggio all’Eurovision, dove sfiderà artisti in arrivo dal resto del mondo, la “donna russa” finora ha già vinto il resto.