Organizzano manifestazioni, campagne di sensibilizzazione, fanno raccolte fondi per affiggere cartelloni contro la Dad, si riuniscono in comitati e associazioni, in rete e non. Ma soprattutto sempre più si rivolgono ai tribunali, perché i propri figli possano tornare a scuola. Sono i genitori italiani che non si rassegnano alle chiusure: quelli dei più grandi, i ragazzi delle superiori ormai blindati in una Dad che non è mai finita, ma anche quelli dei più piccoli, che ordinanze fantasiose di alcuni governatori hanno tentato di tenere a casa senza motivazioni né dati. “Fin dall’inizio ci siamo chiesti se il diritto allo studio poteva essere del tutto compresso a favore di quello alla salute, noi pensiamo che si debba trovare un equilibrio”, spiega Palmira Pratillo, imprenditrice tessile che vive a Napoli con due figli in seconda e quarta elementare. E proprio la Campania è una delle regioni più vessate dalle ordinanze del governatore-sceriffo De Luca, tanto che la prima ordinanza risale al 16 ottobre, con l’ingiunzione di chiudere tutte le scuole di ogni ordine e grado. Palmira Pratillo si è costituita con altri genitori come “Scuole aperte Campania”, associazione con identità giuridica. Oltre a blocchi del traffico, proteste e manifesti che hanno tappezzato la città, la scelta naturale è stata quella di rivolgersi al Tar. “Ovviamente ci siamo prima chiesti se davvero il virus circolasse di più nelle scuole e per questo ci siamo rivolti agli scienziati della pagina ‘Pillole di ottimismo’ e in particolare all’epidemiologa Sara Gandini: anche grazie a lei abbiamo vinto due ricorsi al Gar, uno sulle superiori l’altro su elementari e medie”.
Ma le ordinanze di chiusura delle scuole non le hanno fatte solo i governatori, ma anche i sindaci. Come è accaduto ad esempio a Vibo Valentia, in Calabria, dove il sindaco ha emesso un’ordinanza di chiusura delle scuole in via preventiva, ma senza presupposti, verso fine ottobre. L’avvocata Francesca Guzzo, due figli, presidente del Cib, “Chiedo per i bambini”, un comitato legalmente costituito inserito nella Rete nazionale “Scuole in presenza”, ha deciso con altri genitori di fare ricorso al Tar, che ha sospeso l’ordinanza del sindaco perché carente dei presupposti di legge. Dopo il sindaco, anche il presidente di Regione facente funzioni Nino Spirlì ha emesso un’ordinanza a gennaio per chiudere tutte le scuole di ordine e grado. I genitori l’hanno impugnata, Spirlì ha fatto ricorso al Consiglio di stato che ha confermato la decisione del Tar e le scuole hanno riaperto. Dopo il Dpcm del governo Draghi del 2 marzo, il governatore ha chiuso di nuovo in via preventiva, “anche se l’Rt era pari a 0,81”, spiega Francesca Guzzo. Che aggiunge: “In pratica, nonostante la diffusione del virus fosse contenuta e i presupposti per la chiusura inesistenti, ci siamo ritrovati a dover ricorrere al Tar per ben tre volte. Il danno che la Dad genera è stato appurato da studi scientifici, l’isolamento sta togliendo ai nostri ragazzi l’essenziale, li sta privando del diritto alla vita di relazione, sta togliendo loro persino il desiderio della ‘normalità’ pre-virus”.
La battaglia contro la “scuola a richiesta”
Ci sono poi genitori che si sono trovati di fronte a invenzioni fantasiose come quelle della “scuola a richiesta”, con l’obbligo di motivare la presenza dei figli a scuola. È quello che è successo in Puglia, come spiega Terry Marinuzzi, artista, operatrice nel settore dello spettacolo dal vivo, due figli in prima e terza media. La prima ordinanza del governatore Emiliano arriva dopo l’inizio della scuola, il 24 ottobre. Dopo una mobilitazione capillare, la “zaini revolution”, il presidente di Regione fa marcia indietro, anche perché nel frattempo il Tar accoglie positivamente un ricorso presentato dal Codacons Lecce. Ed ecco appunto, con ennesima ordinanza, la nuova modalità della “scuola a richiesta”, proposta senza convocare né i sindacati né i coordinamenti dei genitori. “Purtroppo a sud le madri sono molto apprensive ed Emiliano ha sempre puntato su una comunicazione che esaltava il rischio, mettendo di fatto la scuola contro le famiglie e questo è grave anche perché il 30% del territorio pugliese non è coperto da banda e c’è un altissimo tasso di abbandono scolastico”. L’ultima ordinanza viene legata al piano vaccinale, ma viene impugnata nuovamente, perché non ancorata ai dati.
Se il problema delle scuole chiuse ha afflitto soprattutto il sud, aggravando le disuguaglianze, anche i genitori del nord non sono stati risparmiati da ordinanze sbagliate e vessatorie. Lo raccontano Manlio Zorzut e sua moglie Anna Cepparo, che vivono a Tavagnacco in provincia di Udine e hanno tre figli. Manlio e Anna hanno deciso di documentarsi e, leggendo studi e rapporti, hanno scoperto che le scuole erano un posto relativamente sicuro e hanno deciso di aderire al movimento locale di Priorità alla Scuola (Pas). Dopo le chiusure di novembre e dicembre, hanno fatto ricorso con altri genitori contro l’ordinanza del 4 gennaio del governatore del Friuli-Venezia Giulia Massimiliano Fedriga. Il Tar ha accolto per due volte le loro ragioni. “Oggi Fredriga ha chiuso le scuole in tutta la regione anche se siamo arancioni e sotto i famosi 250 contagi. La cosa assurda però è che le altre attività restano aperte, ma non si può chiudere la scuola e lasciare i negozi aperti”, commentano i due genitori, che spiegano di provare “rabbia, ma anche voglia di mettersi in gioco, metterci la faccia”.
Il Dpcm Draghi e le sfide di oggi
La faticosa battaglia dei genitori ha trovato però un ostacolo nuovo nella pubblicazione del Dpcm Draghi del 2 marzo, che legittima di fatto la possibilità dei governatori di emettere ordinanze, oltre a chiudere automaticamente anche le scuole in zona rossa. La situazione è ancora più grave in alcune regioni, come la Campania, dove si è aggiunta l’aggravante della chiusura di piazze, mercati e parchi, “una negazione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza”, spiega Palmira Pratillo. La speranza di oggi, per tornare in presenza e veder riconosciuto il diritto allo studio, è soprattutto la Corte costituzionale. Sono due i ricorsi – presi sotto l’ombrello della “Rete nazionale scuole in presenza” – che verranno discussi dal Tar il 24 marzo portati avanti da studi legali (tra cui quello Onida-Randazzo) che hanno impugnato il Dpcm sollevando questioni di incompetenza ma anche di incostituzionalità. Sempre il Tar ha chiesto all’Avvocatura di stato di produrre i pareti del Cts sulla base dei quali sono state chiuse le scuole. Ancora una volta, centrali saranno i dati, che – spiega l’epidemiologa Sara Gandini – ci sono ma non vengono considerati. “Prima che da noi le varianti sono arrivate in Inghilterra, quindi bisognerebbe far tesoro delle esperienze degli altri paesi. Proprio l’Inghilterra ha fatto un report serissimo, pubblicato su Nature, dove si spiega che i ragazzi si contagiano meno degli adulti, anche con la variante”. E poi c’è il problema dei tamponi: “In molte regioni nelle scuole sono stati fatti screening di massa e per ogni caso decine di tamponi, ma nella relazione del Cts si riposta la percentuale dei casi senza tener conto del numero dei tamponi. Inoltre ci sono studi che dimostrano che gli insegnanti non finiscono più spesso di persone normali in terapia intensiva e altri che dimostrano che le famiglie con figli non hanno più rischi di quelle senza figli. Perché questi studi non vengono considerati?”.