Mantenere invariato l’attuale modello agricolo europeo, basato su agricoltura e allevamenti intensivi, nel quale le grandi aziende diventano sempre più potenti e le piccole spariscono in silenzio, anche al costo di negare l’evidenza sui suoi impatti ambientali. Sembrerebbe questa la mission di alcune grandi organizzazioni di settore che, dai loro uffici spesso vicini ai luoghi decisionali chiave, sono diventate interlocutori principali delle istituzioni europee in tutti i processi che riguardano lo sviluppo di politiche legate al mondo dell’agricoltura.
Tra queste, un ruolo fondamentale lo gioca il Copa-Cogeca (di cui fanno parte Coldiretti e Confagricoltura) che rappresenta circa 22 milioni di agricoltori europei (Copa – Comitato delle organizzazioni professionali agricole) e difende gli interessi delle cooperative agroalimentari europee (Cogeca – Confederazione Generale delle Cooperative Agricole), alcune delle quali diventate col tempo veri colossi. Mentre il Copa-Cogeca afferma di rappresentare gli interessi di tutti loro nel rispetto dell’ambiente, tenta di negare alcune evidenze scientifiche relative agli impatti ambientali e sanitari della produzione intensiva di carne.
Le sue proposte di emendamento al documento di “Farm To Fork”, rese note e pubblicate da Corporate Europe Observatory, rivelano diversi tentativi di cancellare con un colpo di spugna i passaggi in cui si ricordano gli impatti sul clima, sull’ambiente e sulla biodiversità del food system europeo. Una posizione imbarazzante, a maggior ragione se inserita in una strategia europea che nasce proprio con lo scopo di rendere il nostro sistema agroalimentare più sostenibile. Ma non è tutto: la potente lobby agricola europea vorrebbe trasformare anche il passaggio in cui si sottolinea il contributo del settore zootecnico alla formazione di gas serra e cancellare la proposta di non destinare i “fondi per il clima” a modelli di agricoltura intensiva che hanno impatti negativi sulla biodiversità, eliminando il riferimento al sostegno alle produzioni biologiche nella normativa sugli appalti pubblici.
Chissà cosa pensano di queste proposte le organizzazioni italiane di categoria che aderiscono al Copa-Cogeca, occupandone anche posti di rilievo, o l’europarlamentare Paolo De Castro, uno dei registi dell’attuale PAC, che ha affermato come il Copa-Cogeca sia il “nostro punto di riferimento”. Innumerevoli studi scientifici hanno messo in luce l’enorme impatto che il settore agroalimentare ha sui cambiamenti climatici e un rapporto della stessa Commissione europea, pubblicato a maggio 2019, chiarisce come tale contributo sia andato costantemente aumentando dal 2012.
Le attuali politiche europee non solo non hanno portato benefici tangibili dal punto di vista ambientale, ma hanno favorito un sistema in cui sono le aziende più grandi e intensive ad aggiudicarsi la maggiore fetta dei contributi pubblici: un terzo dei fondi PAC viene “assorbito” da appena l’1 per cento delle aziende agricole europee, mentre le piccole scompaiono a velocità impressionante. Negli ultimi 15 anni l’Europa ha perso più di 4 milioni di aziende agricole, 320 mila solo in Italia. Si tratta di oltre un terzo e quasi esclusivamente di piccole realtà, proprio quelle che, come ha evidenziato la crisi legata alla pandemia, potrebbero invece garantire una maggiore resilienza del comparto e potrebbero compiere in modo più efficace la necessaria transizione ecologica dei metodi di produzione. È a queste piccole e virtuose aziende che i nostri decisori politici devono iniziare a dare ascolto se sono davvero interessati, come dicono, a una svolta sostenibile del settore.