Un rallentamento poteva anche starci. Una frenata del genere certo no. La Pasqua manda in lockdown gli hub vaccinali italiani e spedisce ai box per 24 ore la fin qui poco gioiosa macchina da guerra del generale Francesco Paolo Figliuolo. Nonostante zone rosse, chiusure, divieti, terapie intensive affollate e incertezze varie, a Pasqua in tutto il Paese non si è arrivati a 100mila dosi somministrate. Con il record negativo di Umbria e Sardegna, che si sono limitate a vaccinare rispettivamente 14 e 39 persone. La domenica pasquale ha fatto registrare solo 92.734 effettuate iniezioni in Italia. Una settimana prima, il 28 marzo, erano state in totale 159.703, quasi il doppio. In una normale giornata lavorativa di metà settimana, giovedì 1 aprile, si era arrivati a toccare quota 270.329 dosi, tre volte le dosi somministrate a Pasqua. La giornata di ieri, Pasquetta, è andata un po’ meglio, con circa 125 mila iniezioni effettuate all’aggiornamento delle ore 19, e i dati arrivati a tarda serata che hanno visto la somma avvicinarsi alle quote domenicali standard, seppur ben lontane dai lunedì “feriali”.
Alcune regioni, poi sono andate particolarmente male. A parte i casi limite di Umbria e Sardegna, guidate dai governatori filo-leghisti Donatella Tesei e Christian Solinas, ha rallentato anche la Lombardia, che ha vaccinato 7.254 persone contro le 19.920 di domenica scorsa e le oltre 40 mila di giovedì: chiuso l’hub della Fiera di Milano e quelli di Verano-Brianza e Museo della Scienza (per “manutenzione”). Non bene la Liguria, che scende a 620 dosi somministrate a Pasqua, contro le 1.140 di una settimana prima e le quasi 12 mila di giovedì. A mantenersi sui suoi standard è il Lazio, che ha fatto poco meno delle 18 mila inoculazioni del 28 marzo, anche se ben al di sotto delle 27 mila di giovedì: anche a Roma, infatti, ci sono stati problemi, come all’hub di Tor Vergata, che ha dovuto recuperare ieri le iniezioni mancate a 40 persone prenotate.
“È vero, la domenica di Pasqua non è andata benissimo, ma siamo soddisfatti dei dati settimanali, visto che sono cresciute del 20% le somministrazioni agli over 80”, replicano dalla struttura commissariale di Palazzo Chigi. Fatto sta che i giorni passano, l’estate si avvicina e il contatore pubblicato sul sito dell’agenzia governativa Agenas fa ancora registrare un malinconico 3.475.919 di vaccinati alla voce “seconda dose”, appena il 5,75% della popolazione totale.
L’obiettivo fissato dal piano vaccinale di Figliuolo è l’80% (con una media di 500 mila dosi iniettate al giorno) per la fine dell’estate. Traguardo che rischia di allontanarsi. Determinante sarà l’arrivo del vaccino di Johnson& Johnson, in dose unica e facilmente conservabile. Ma anche qui si rischiano ritardi. Il secondo trimestre prevede la consegna di circa 8 milioni di dosi, ma ad aprile intanto saranno solo 500 mila. E dalla struttura commissariale chiedono di pazientare: “Questo sarà un mese di transizione – spiegano fonti vicine al generale Figliuolo – ma già a maggio ci sarà il pieno di dosi. Purtroppo i fornitori tendono a concentrare le consegne nella seconda parte dei trimestri”.
A mostrare segni di insofferenza è però Alessio D’Amato, assessore alla sanità del Lazio, regione che rappresenta esattamente il 10% del Paese. “Abbiamo messo su una macchina da 60 mila dosi al giorno”, dice. “Dare 50 mila dosi di Johnson&Johnson a 20 mila farmacisti significa vaccinare per tre giorni. Non è sufficiente. Figliuolo aveva comunicato un piano da 500 mila dosi al giorno, noi rispondiamo presente, ma anche 8 milioni non bastano, ne servono il doppio”. D’Amato è già pronto a procrastinare ancora il “punto rottura”, la data in cui la sua Regione raggiungerebbe l’immunità di gregge: “Noi puntiamo a quota 4 milioni: dal 30 giugno ci siamo spostati al 15 agosto. Se andiamo avanti così, dovremo ritardare ancora, diciamo al 30 settembre. Ma sia chiaro: non per colpa nostra”.