Il lungo crinale dello spartiacque Ligure Padano è percorso dal sentiero denominato Alta Via dei Monti Liguri; a ponente di Genova, subito a nord delle località rivierasche di Arenzano e Varazze, si ergono i contrafforti del Monte Beigua. Alto 1287 metri, il nome del monte Beigua (come il Monte Bego nella Valle delle Meraviglie, Alpi Marittime) deriva dalla radice indoeuropea Beg che indica una divinità dagli attributi maschili. Un’area ricca di interesse ambientale, geologico, paesaggistico e storico (sono state rinvenute incisioni coppelliformi, tracce di basolato romano, menhir) che definisce l’omonimo parco regionale istituito nel 1995, una riserva naturale “di cintura metropolitana” che per definizione collega e connette i sistemi di verde urbano con le aree esterne, per una fruizione culturale e ricreativa dell’ambiente da parte dei cittadini. Dalla cima del Beigua lo sguardo abbraccia la riviera di levante e quella di ponente, le Alpi Liguri, la Pianura padana, l’Appennino ligure e tosco-emiliano, le Alpi Apuane e la Corsica. Dal 2005 è diventato geoparco europeo e mondiale, e nel 2015 è stato riconosciuto UNESCO Global Geopark per il suo eccezionale patrimonio geologico, un patrimonio che rischia di causare grandi problemi.
Non è una novità: nel 1970, sepolto in un ammasso di rocce tra i 400 e i 900 metri di altitudine del Bric Tariné (tra Urbe e Sassello), è stato scoperto un giacimento di quasi 400 milioni di tonnellate di rutilo – la forma mineralogica con la quale si presenta il titanio – minerale tra più preziosi e ricercati per i suoi molteplici utilizzi, ma estremamente pericoloso perché tra le sue derivazioni c’è anche l’amianto. Nel 1976 il ministero dell’Industria rilascia alla Mineraria Italiana Srl una concessione ventennale, poi trasferita alla Compagnia Europea per il Titanio (C.E.T.); nonostante l’atto del ministero il progetto non parte tra le sollevazioni dei cittadini, delle istituzioni locali e degli ambientalisti, che considerano l’operazione troppo rischiosa per salute e ambiente. Ma la C.E.T. non si arrende e nel 1991 chiede il rinnovo della concessione per altri vent’anni (senza peraltro ricevere risposta dal ministero), rilancia il progetto che verrà però stoppato di nuovo durante un’animata Conferenza dei Servizi nel 1996 a Savona dove il comitato di cittadini, i sindaci di Urbe e Sassello, l’Ente parco e la stessa Regione – che ha delega su cave e miniere – rigettano e bloccano l’iter. Il giacimento, tra i più grandi d’Europa, è ancora terreno di scontro nel 2015 quando la C.E.T. fa richiesta alla Regione di attivare la procedura per la Valutazione di impatto ambientale per indagini geologiche; questa volta il TAR della Liguria sembra mettere la parola fine con una sentenza del marzo 2020 nella quale si ribadisce come l’estrazione di minerali nell’area che costituisce per circa il 40% il territorio legato alla concessione sia vietata dalle norme a tutela del Parco, mentre il restante 60% interessa un “Sito d’Interesse Comunitario terrestre ligure” nel quale la priorità dichiarata è la conservazione.
La notizia di questi giorni, invece, è che la Giunta Regionale della Liguria con l’atto n. 1211 del 26/02/2021 ha decretato “di conferire a favore della Compagnia Europea per il Titanio – C.E.T. S.r.l., il permesso di ricerca sulla terraferma di minerali solidi (Titanio, granato e minerali associati) denominato “Ambito Mondamito” limitatamente all’area dell’estensione di 229 ha esterna al territorio del Parco Naturale regionale del Beigua, della durata di anni 3 (tre), per effettuare indagini preliminari finalizzate a valutare la distribuzione (areale e superficiale), nonché a definire le concentrazioni delle mineralizzazioni di rutilo presenti nell’area come sopra indicata”. Questo nonostante i pareri contrari del Parco e dei due comuni competenti per territorio di Urbe e Sassello.
Sulla delibera è scritto che “le proposte di attività e di ricerca non modificheranno lo stato dei luoghi esistente, non generando impatti significativi e negativi all’ambiente naturale e al paesaggio, in quanto non interferiranno con i processi naturali ivi presenti e non comporteranno metodi distruttivi o prelievi di campioni minerali, vegetali o animali”, con “rilevamenti geologico-strutturali effettuati a piedi, senza prelievo di campioni, utilizzando esclusivamente piste e sentieri esistenti, con accesso consentito, finalizzati a mappare nel dettaglio la distribuzione (areale e superficiale) delle mineralizzazioni presenti” e “analisi puntuali, non invasive né distruttive del suolo e del soprassuolo finalizzate a definire le concentrazioni delle mineralizzazioni presenti”.
La tutela di ambiente e salute hanno spinto a raccogliere le firme per una petizione che chiede il ritiro del decreto. È plausibile che la C.E.T. abbia richiesto questa autorizzazione per soli scopi di studio, e non per una futura concessione mineraria? Come è possibile effettuare un’analisi di questo genere senza prelevamento di campioni? Chi vigilerà su queste prescrizioni? Cosa ha convinto la Regione, a distanza di pochi mesi da una valutazione di contenuto opposto, a smentire se stessa decretando, sia pure su un areale più limitato, l’autorizzazione a ciò che neppure un anno fa aveva negato?
Fin dal 2013 iniziò a girare la voce che lo sfruttamento della miniera avrebbe potuto portare nelle casse della Regione Liguria circa 500 milioni di euro di royalty, a fronte di un giacimento il cui valore veniva stimato tra i 400 e i 600 miliardi di euro. Le stime odierne sono più prudenti, una tonnellata di rutilo vale oltre 2mila euro e secondo le valutazioni geologiche nei monti del Beigua potrebbero esserci circa 12 milioni di metri cubi di questo minerale, vale a dire circa 60 milioni di tonnellate per un controvalore di almeno 120 miliardi di euro. E forse non è un caso che la richiesta di far entrare il territorio del comune di Urbe all’interno del Parco sia in giacenza sulle scrivanie di Regione Liguria dal lontano 2017, bloccata anche dalla legge del 2019 sul riordino dei parchi liguri poi bocciata dalla Corte Costituzionale nel luglio 2020.