Classici eterni

Noi come Penelope: un equilibrio faticoso tra le centomila identità

Nell’età antica le figure femminili sono ornamentali, ma di certo non lo sono la moglie di Ulisse, Circe e Calypso: padrone e dominatrici dei loro spazi, complesse e variegate, come tutte noi. In ciascuna vive una donna a cui dare spazio quando è il momento di aprirci e accogliere, oppure quello in cui essere un po’ maghe, autonome e pronte al cambiamento

Di Cristina Dell'Acqua*
21 Aprile 2021

Una sera, a cena da amici, a tavola con noi siede una donna mai vista prima. È sola, discreta e sicura nei gesti. Preferisce ascoltare, ma si intuisce che è una donna che avrebbe molto da raccontare. È elegante e affascinante quanto basta per attirare l’attenzione sia degli uomini e che delle donne. Alcune di noi tendono a vederla subito come una potenziale rivale e ne mantengono la distanza, ma a tavola ci sono anche le curiose, è sempre così difficile immaginare la vita degli altri! La donna seduta con loro è greca, si chiama Penelope e ha una storia molto complessa sulle spalle, soffre per la separazione da un uomo che lei aspetta nonostante sia riuscita a conoscerlo poco, ha un figlio cresciuto senza padre e molte responsabilità. Ma, soprattutto, ha lo sguardo epico di una donna che non piega la testa e cerca con tutte le sue forze di restare fedele a se stessa. Più si racconta, più ci racconta, come se questa donna sapesse che ognuna di noi esiste a partire dall’interno di se stessa con una gamma di sfumature che ci rendono complete. Noi siamo pronte a ri-conoscerle solo quando siamo pronte a costruire un equilibrio tra tutte le donne di cui siamo fatte, senza soffocarne nessuna. Senza tradirne nessuna. In ciascuna di noi vive una donna a cui dare spazio quando è il momento di aprirci e accogliere, oppure quello in cui essere un po’ maghe, autonome e pronte al cambiamento. Quando serve essere capaci di mettere in campo risolutezza e intelligenza, per imporci senza snaturarci. La vita è l’arte dell’incontro, a partire da quello con noi stesse e con la nostra libertà di diventare quello che abbiamo dentro.

La donna greca seduta al nostro tavolo ci riporta alla radice dell’antica opposizione tra mondo maschile e mondo femminile, con le donne relegate sempre nella dimensione privata e gli uomini attori della vita politica e sociale. Un modello tipico delle società patriarcali in cui erano minati diritti e sentimenti. Le donne, come avveniva per esempio ad Atene, avevano l’obbligo di fedeltà coniugale e, in caso di adulterio, il marito aveva il diritto di uccidere l’amante se colto in flagrante per poi ripudiare la moglie. I mariti avevano invece la libertà di intrattenere relazioni extraconiugali e addirittura mantenere in modo legittimo una concubina, che viveva sotto le stesse pareti domestiche della moglie e, rispetto a lei, aveva il vantaggio di essere scelta con maggiore intensità affettiva. E visto che l’anima da sempre ha avuto bisogno di un nutrimento più profondo, sono passate alla storia compagne, generalmente straniere, colte, raffinate e autonome economicamente, come Aspasia, la donna amata dal politico ateniese Pericle, che in lei aveva trovato quella complicità erotica e intellettuale che tutti vorremmo con la persona che amiamo. Certo non sentiamo alcuna nostalgia di un periodo storico in cui l’intelligenza del cuore e l’intelligenza della quotidianità pratica erano tenute così separate, le donne greche del V secolo a.C. erano ancora lontane da questo sogno e, purtroppo, il retaggio culturale è duro a morire.

Ogni donna conosce la fatica di costruirsi, giorno dopo giorno, un ruolo attivo tra amore e professione accanto, non dietro, alle persone con vuole scegliere di vivere. Seduta al nostro tavolo, Penelope ci fa vivere la dicotomia così spiccata tra la vita reale e la letteratura di cui lei è figlia (e che tanto amo). Donna del mito, insieme alle altre donne dell’Odissea, è protagonista di un libro rivoluzionario dal punto di vista della figura femminile. Nell’età antica le donne sono ornamentali, come certo non sono Penelope, Circe e Calypso, padrone e dominatrici dei loro spazi, complesse e variegate, come tutte noi. Restando nell’ambito della letteratura greca, nelle tragedie possiamo leggere una galleria di donne protagoniste e indimenticabili. Penso a Clitemnestra, quella che leggiamo in Eschilo, donna che ha l’intelligenza delle emozioni, qualità che non dovrebbe avere un sesso. Penso ad Alcesti che sacrificandosi per il marito ci interroga da sempre sul senso dell’amore: se chi dice di amarci ci mette in condizione di sacrificarci (fisicamente o psicologicamente) siamo sicure che stia parlando di amore? E che dire di Antigone che Sofocle ha immortalato come la donna che ha il coraggio di contrapporsi pur di non tradire la sua natura, legata a rispettare chi ama, oltre i confini della vita. Come quelli sperimentati da Persefone, la bellissima figlia di Zeus e di Demetra, che un giorno, mentre coglieva narcisi in un prato nella pianura di Enna, in Sicilia, vide la terra spalancarsi sotto i suoi piedi e dalla voragine uscire un carro trainato da cavalli neri e guidato da Ade, che la rapì e la portò con sé nell’Oltretomba. Innamorato e cupo come il suo regno, Ade cercò di fare innamorare di sé la dea, promettendole una vita da regina. Ma la disperazione di Persefone, per essere stata strappata alla luce e per aver dovuto abbandonare la madre, era inesauribile come la sofferenza di Demetra, che non rassegnandosi alla scomparsa della figlia si mise a cercarla ovunque, sino a quando non scoprì quale ne era stato il destino. Demetra bloccò la crescita del grano sulla terra, di quello che era il suo dono all’umanità. Zeus allora impose al fratello Ade di restituire la ragazza. Da allora il destino di Persefone fu quello di trascorrere sei mesi l’anno come regina degli Inferi e sei mesi con la madre, sulla terra. Quando Persefone viveva nell’Ade, anche la terra pareva morire, in preda al freddo dell’inverno e del suo cuore. Ma appena la dea tornava alla luce, la terra rinasceva insieme alla felicità di Persefone. Perché la felicità ha a che fare con la fecondità e ognuna di noi, come la natura, è felice solo se feconda di vita e di progetti, al di là di ogni imposizione violenta. Proserpina, Penelope e le altre donne della tragedia sono espressione di una femminilità senza tempo, da cui nasce il nostro essere donne, non certo dalla sua negazione. Insieme rappresentano le tante donne che lottano per uscire dalle pagine della letteratura e abitare le loro vite.

*Scrittrice, insegnante di latino e greco, vicepreside al Collegio San Carlo di Milano, da poco in libreria con “Il nodo magico” (Mondadori)

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