Parafrasando il linguaggio del poker, si potrebbe dire che nella vicenda dell’ergastolo ostativo l’Avvocatura dello Stato ha fatto una specie di “apertura al buio” e poi la Consulta un “parol”. E sì, perché l’Avvocatura ha chiesto alla Corte una sentenza che – senza dichiarare l’incostituzionalità della norma impugnata – la interpretasse, nel senso che il giudice di sorveglianza debba verificare in concreto quali sono le ragioni che non consentono la condotta collaborativa. Ma se manca il pentimento (unico elemento obiettivo che consente una valutazione affidabile), ci si consegna alla tattica del condannato e si brancola appunto nel buio. Per parte sua, la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità dell’ergastolo ostativo, ma ne ha differito di un anno gli effetti passando la parola a un altro (il legislatore), una mossa che si chiama appunto “parol”. Un “parol” che in questo caso dura un anno, giusto il tempo per arrivare al maggio 2022, quando cadrà il 30esimo anniversario delle stragi di mafia del 1992.
Ma la vicenda è troppo seria, terribilmente seria, per giochi di parole. Andiamo dunque alle vere, concrete questioni che pone l’ordinanza pronunziata dalla Corte costituzionale il 15.4.2021. Molto è già stato detto e scritto (sulla base di un comunicato ufficiale cui seguirà la motivazione). E tuttavia su alcuni punti conviene ritornare.
1. Secondo la Corte, l’ergastolo ostativo per i mafiosi non pentiti è incostituzionale per violazione di tre norme: gli artt. 3 e 27 Costituzione e l’art. 3 Convenzione Europea Diritti dell’Uomo. Quest’ultimo punto mi sembra contestabile. La realtà della condizione carceraria dei mafiosi è ben lontana dalla tortura, come dal trattamento inumano e degradante. Uno spaccato della situazione si trova nel volume Lo Stato illegale (Caselli, Lo Forte – Laterza ed.): ai mafiosi carcerati in difficoltà economiche “l’impegno è di ‘darci’ dai tre ai quattro appartamenti ciascuno”; i costruttori “debbono ‘uscire’ questi appartamenti”; “se qualcuno ‘babbia’ è un infame” e “gliela si deve far pagare”; a tutti i carcerati spetta un “mensile” per le spese correnti; un boss può arrivare a spendere “venti milioni al mese di avvocato, vestiti, ‘libretta’ e colloqui”. Proprio una vita grama non è.
Certo si tratta di uno spaccato che non fotografa la condizione carceraria dei mafiosi in tutta la sua complessità, ma è quanto basta per dubitare fortemente che si possano utilizzare le categorie della tortura o dei trattamenti vietati dalla Cedu. Quanto alla nostra Costituzione, nulla da eccepire (ci mancherebbe!) circa la fondamentale rilevanza dei principi di uguaglianza e di redenzione. Sono indiscutibili conquiste di civiltà che caratterizzano una democrazia. Ma si può dire che la Costituzione non è un bancomat? Si può dire che i mafiosi sono di fatto convinti di appartenere a una razza superiore, quella che si autodefinisce degli “uomini d’onore”? Si può dire che considerano tutti gli altri non persone, ma oggetti disumanizzati da asservire?
In altre parole, si può dire che con la pratica sistematica dell’intimidazione e dell’assoggettamento (art. 416 bis) i mafiosi si mettono sotto le scarpe tutti i valori della Costituzione e si pongono fuori della sua area? Si può dire che per rientrarvi devono offrire prove certe di ravvedimento e che la rinunzia allo status di uomo d’onore mediante il pentimento è l’unica condotta univoca al riguardo? Nel film Il rapporto Pelican, un’impareggiabile Julia Roberts, nel ruolo di una studentessa di Legge, al professore che le chiede perché la Corte suprema non abbia deciso una certa questione secondo la sua opinione, risponde “forse perché la Corte ha sbagliato”. Non oso arrivare a tanto, epperò…
2. Passando la “patata bollente” al legislatore per una nuova legge, la Corte ha fissato alcuni paletti (la mafia ha una sua “specificità” rispetto alle altre condotte criminali associative; la collaborazione di giustizia è un valore da preservare) e ha spiegato il “parol” col rischio “di inserirsi in modo inadeguato nell’attuale sistema di contrasto alla criminalità organizzata”. Equivale a riconoscere che bisogna fare molta attenzione a toccare una componente dell’architettura complessiva antimafia, se si vuole evitare che questa crolli tutt’intera. Dei paletti e di questo contesto, il legislatore non potrà non farsi carico, salvo preferire che restino solo macerie e la soddisfatta allegria dei mafiosi.
3. Sembra di assistere a una specie di work in progress nella demolizione dell’ergastolo ostativo. Nel senso che già nel 2019 la Consulta gli aveva dato un bel colpo di piccone, ammettendo ai “permessi premio” anche gli ergastolani mafiosi non pentiti, e questa volta senza alcun differimento. Sicché fin dal 2019 si sono aperti ai mafiosi non pentiti spazi di libertà, con la possibilità di approfittarne per rientrare in un modo o nell’altro – rafforzandolo – nel giro delle attività criminali tipiche della mafia (dalla droga agli appalti truccati, con il “corredo”, se necessario, della violenza). Un segnale che la mafia può registrare al suo attivo. Nel contempo, una falla nell’antimafia che il legislatore potrebbe valutare quando interverrà per effetto dell’ordinanza della Consulta sulla liberazione condizionale.
Sta di fatto che qualcuno comincia a chiedere ai magistrati di sorveglianza di darsi una mossa. Si è rivolto loro, ad esempio, Stefano Anastasia, garante dei detenuti per il Lazio, perché “comincino a valutare le richieste di permessi premio degli ergastolani (ex)ostativi, in modo che magari, tra un anno, qualcuno possa presentare domanda di liberazione condizionale con speranza di successo”. Come a dire che una cosa tira l’altra…
4. Non è simpatico tirare per la giacca i magistrati di sorveglianza. Escludere l’automatismo (niente pentimento/niente benefici) significa delegare alla discrezionalità del magistrato se concedere o meno il permesso premio.
Ma agli occhi del mafioso – poco avvezzo ai “distinguo” – il giudice che nega un possibile permesso diventa un “nemico”. Automaticamente (anche questo automatismo dovrebbe preoccupare…), con tutte le possibili nefaste conseguenze che sono purtroppo la storia di Cosa Nostra, storicamente impegnata sul versante che “i nostri in carcere li dobbiamo cercare in qualunque maniera di accontentarli”.