Sorprende la sorpresa per la guerriglia della Lega e, a seguire (meglio: a rimorchio), delle Regioni sul decreto Ripartenze.
Non conoscessimo Salvini. Si può stupire solo chi si illudeva circa la sincerità e l’affidabilità della sua estemporanea conversione alla responsabilità e all’europeismo. O chi, altrettanto ingenuamente, pensava che i governi “tutti dentro” abbiano vita più facile di quelli espressione di maggioranze politiche omogenee. O ancora di chi accredita il capo delegazione leghista al governo Giorgetti – uomo di buon senso, ma bossiano poi maroniano infine salviniano – come capace di resistere ai diktat superiori per onorare gli impegni assunti nella cabina di regia dell’esecutivo.
Non era stato Salvini il più sollecito a intestarsi con enfasi il merito di aperture che molta parte della comunità scientifica aveva giudicato semmai un azzardo, un rischio calcolato… male? Ora Salvini protesta che non basta. Leva alte grida per un’ora in più a proposito del coprifuoco serale. Non fosse stato questo, avrebbe cavalcato un altro pretesto.
Salvini gode di un vantaggio competitivo: egli capeggia due partiti, la Lega, e il “partito” delle Regioni, al vertice della cui Conferenza si è testé insediato il fedelissimo Fedriga, preferito ad altri (Zaia) giusto per la sua grigia docilità. Per inciso: istituzioni (le Regioni) usate come clave per battaglie di parte. Più esattamente: di partito e, di più, di un partito, la Lega, che fa due parti in commedia, sta al governo e fa opposizione.
Curiosa e palesemente contraddittoria anche la protesta delle Regioni: da un lato si fa eco alla rimostranza della Lega perché si sarebbe esagerato nelle chiusure (a cominciare dal coprifuoco); dall’altro, all’opposto, si giudica imprudente la misura delle aperture della scuola in presenza. A riprova della strumentalità e, mi si permetta, persino della viltà: si invocano aperture quando a risponderne è il governo, si frena quando (sulla scuola) a provvedervi tocca alle Regioni medesime. Pretendono potere, rifuggono responsabilità.
In questa commedia degli equivoci e delle furbate, si segnala anche il comportamento delle Regioni a guida Pd, che, senza battere ciglio, hanno spalleggiato la coppia Salvini-Fedriga. Tutte le Regioni. Di nuovo: come sorprendersi? Li conosciamo: ras territoriali che si atteggiano a Napoleone, dal profilo politico incerto, neppure sfiorati dall’idea che stare nel Pd comporti un minimo vincolo. Non che sia cambiato molto: già Bonaccini, in più circostanze, non si fece scrupolo di mostrarsi più d’accordo con Salvini che con Zingaretti, del quale era accreditato come antagonista nel partito. In linea con la tradizione degli autonomisti che occhieggiano a cariche romane un minuto dopo avere inaugurato il secondo mandato.
Con questa doppia tara – la liaison con il doppio gioco di Salvini e la rincorsa demagogica dei cacicchi regionali al facile consenso personale – si comprende come vada a farsi benedire il sacro principio della leale collaborazione con il governo da parte dei sedicenti “governatori”. A dispetto dell’evidenza del prezzo pagato alla “versione balcanica” del nostro regionalismo e della recente, inequivoca sentenza della Corte costituzionale che ha solennemente certificato la competenza dello Stato nella gestione della pandemia.