L’anno scorso, quando cercavo un editore per il mio X, mi sono interfacciata con una persona che mi ha risposto “lo stupro non vende”. Dissolvenza, un anno dopo. Il mio libro esce il 22 aprile per Fandango libri, una casa editrice che pubblica grandi femministe (penso a Liv Strömquist, a Virginie Despentes, a Elsa Dorlin). E menomale che è così, perché di certo altre persone non avrebbero gestito con altrettanta delicatezza la concomitanza con le dichiarazioni di Grillo. Ciononostante, inevitabilmente in ogni intervista su X mi viene chiesta la mia opinione sulla vicenda. A un certo punto, visto che ho capito che non si sfugge, e visto, anche, che a parlarne è tantissima gente che non sa neanche cosa sia uno stupro, eccola qui, la mia opinione. Una volta per tutte, e per punti.
C’è una cosa che dico nel mio libro. È la metafora del cubo di Rubik, dei pezzi d’identità che si confondono, che si perdono, quando subisci un trauma. La stessa immagine la usa Zerocalcare in Macerie prime – sei mesi dopo in riferimento a un personaggio che ha tentato il suicidio. Lui dice che i cubi di Rubik sono difficili, che non è che ci giocherelli tre minuti mentre stai al telefono e li risolvi così. “E forse si meritano pure un po’ di silenzio, invece di tutta ‘sta saccenza che ve cola fuori dai pori come l’unto della porchetta”. Ecco. Questa è la frase che mi viene in mente ogni singola volta che vedo un articolo o leggo un commento sullo stupro a seguito di quella vicenda. Perché è vero che ha iniziato Grillo, a parlare di stupro dando fiato alla bocca, ma è vero anche che chiunque lo ha seguito. Tutti quanti, insomma, sui social o dalle colonne di un giornale hanno deciso che erano diventati esperti di stupro. Il lato negativo: il semplice entrare su Facebook per molte di noi in questi giorni è stato doloroso. Il lato positivo: incredibilmente oggi l’Italia si è accorta che esiste lo stupro.
Quando ho iniziato a scrivere di violenza sessuale mi sono detta che, anche se parlavo di affari strettamente miei, non ero l’unica ad aver vissuto un’esperienza del genere e quindi era giusto che studiassi il più possibile. Ho sempre pensato che prendere parola pubblicamente su un tema delicato corrispondesse a una grande responsabilità. Non mi pare che la pensino tutti così. Così prima di scrivere X ho ripassato le leggi, benché 5 anni fa mi sia laureata in Giurisprudenza, e ho fatto bene perché cambiano di continuo. E le leggi dicono che uno stupro puoi denunciarlo entro 12 mesi, dal 2019 (prima i mesi erano 6). Ho scoperto che il problema non è tanto quanti mesi hai per denunciare, quanto i tempi e i modi che hai per raccogliere le prove. Ho chiamato il Telefono rosa e ho chiesto alla volontaria: se subisco uno stupro, che devo fare? Mi ha detto che si deve andare entro 72 ore a farsi fare un certificato medico, e possibilmente anche uno psicologico. Ho realizzato che quando sono stata violentata, a 19 anni, non ero neanche lontanamente preparata per una reazione così rapida. Ho realizzato anche che nessuno te lo dice, come dovresti comportarti, né la scuola, né la famiglia, né i media: nessuno. E poi ho intensificato la mia frequentazione di spazi femministi, prendendo parte a vari percorsi fatti da persone normali come lo sono io, dal basso, non dal Billionaire insomma.
Al contrario di chi si lagna del fatto che Italia “non si può più dire niente” e che vige “la dittatura del politicamente corretto”, il nostro resta un paese in cui milioni di donne non hanno denunciato il loro stupro, e contemporaneamente un politico può sostenere pubblicamente che 8 giorni sono troppi. Una bugia. Eccola, la verità sugli stupri: in Italia ne vengono denunciati 11 al giorno. Il 90% rimane tuttavia non denunciato. Questo vuol dire che in realtà avvengono 110 stupri al giorno. All’anno sono circa 4015 denunciati, ma 40150 nella loro totalità. Un’enormità. Altro che 8 giorni: alcune di noi, tra cui me, non denunciano mai. E hanno dei motivi estremamente validi.
I motivi estremamente validi. Uno è che manca una narrazione che ci dica cosa è effettivamente uno stupro. Questo è quello che ho cercato di fare scrivendo la mia versione dentro X, il tentativo di cercare delle parole che non c’erano. Credo che se un politico se ne esce dicendo “sono coglioni, non stupratori” parte della motivazione è proprio che per anni si è cavalcata l’idea per cui uno stupratore non può essere una persona comune, un coglione per l’appunto, uno con cui empatizzi; deve essere per forza o un mostro (quindi di fatto nessuno, visto che i mostri non esistono), o un pazzo (raccontare gli stupratori come pazzi serve ad allontanare il dubbio dalla maggior parte degli uomini, e contemporaneamente stigmatizza le persone con malattie psichiche), o infine – e quante volte si è sentito in questi anni – un immigrato. Peccato che in Italia gli stupratori siano per la maggior parte italiani, e che corrispondano esattamente alla descrizione che ne dà Grillo nel video: “dei coglioni col pisello in mano”, descrizione grottesca dello stupratore medio, incapace di percepire e rispettare l’alterità, l’Altro o meglio l’Altra, di chiederne il consenso, di farsi indietro se questo manca, come fosse un gioco ma un gioco che giochi da solo, un gioco dove l’altro può pure non esistere. Ma il punto è questo: gli stupratori non sono dei mostri, non sono dei pazzi, non è l’uomo nero. Sono dei coglioni e degli stupratori, e le due cose si sommano, non sono alternative.
*Valentina Mira ha 30 anni e una laurea in Giurisprudenza. Scrive per vari giornali e siti. Per vivere, nel frattempo, ha lavorato in un call center, fatto la cameriera, la hostess, la rider e mille altri lavori precari. Sogna di diventare una scrittrice da quando ne ha memoria. “X” è il suo primo libro.