La bomba è esplosa al Csm qualche settimana fa. Un manipolo di finanzieri spedito dalla Procura di Roma si è presentato a Palazzo dei Marescialli e ha chiesto con garbo di entrare nell’ufficio della funzionaria Marcella Contrafatto.
L’ipotesi dei pm romani è che la signora abbia avuto un ruolo nella diffusione dei verbali di Pietro Amara, uno dei quali contenente dichiarazioni anche sul premier Giuseppe Conte (vedi articolo nella pagina seguente) pubblicato da Il Domani ieri.
La signora Contrafatto lavora da tanti anni al Csm ed è stata fino a ottobre scorso la segretaria di Piercamillo Davigo. Sentita dal Fatto, non ha voluto fornire la sua versione perché, come ci ha spiegato il suo avvocato, Alessia Angelici: “C’è un’indagine in corso”. Anche Davigo ha rifiutato ogni commento: “è un argomento coperto dal segreto perché c’è un’indagine in corso”.
I verbali di interrogatorio di Amara che sarebbero stati veicolati – secondo l’ipotesi dei pm romani – dalla ex segretaria di Davigo sono una mezza dozzina. Non sono firmati e contengono racconti che, a quanto risulta a Il Fatto, sono ritenuti dagli stessi pm di Milano in parte infondati. In alcuni passaggi Amara mescola fatti veri e circostanze false. L’avvocato è stato arrestato nel 2018, accusato di corruzione in atti giudiziari, ha patteggiato una condanna a due anni 8 mesi. Coinvolto in altre inchieste, nel 2019, Amara è stato il tema che ha diviso la Procura di Roma fino a uno scontro durissimo tra pm. Il sostituto Stefano Fava voleva arrestarlo di nuovo per altri fatti ma gli aggiunti e il procuratore capo di Roma non erano d’accordo. Fava cominciò a raccogliere elementi per dimostrare i conflitti di interesse presunti dei colleghi, inesistenti secondo il Csm, la procura generale e i pm di Perugia che mai hanno aperto nemmeno l’ombra di un’inchiesta su questo. L’attività di Fava, realizzata in accordo con Luca Palamara secondo la Procura di Perugia, sarebbe sfociata anche in alcuni reati. Sarà l’eventuale processo a stabilire la verità. Ciò che qui rileva è che – prima dell’inchiesta, prima della richiesta di rinvio a giudizio contro il pm Fava, quando era considerato solo un moralizzatore magari troppo rigido ma corretto – Fava nel Csm aveva un consigliere come interlocutore privilegiato: proprio Sebastiano Ardita.
Ora si scopre che in uno di questi verbali non firmati di Amara (che circolano a Roma nelle redazioni dei giornali e anche al Csm da mesi) si parla proprio di Ardita. Le dichiarazioni rese a Milano a dicembre da Amara ai pm Laura Pedio e Paolo Storari, su una fantomatica loggia simil-massonica denominata ‘Ungheria’ sono tutte da verificare. Di certo quelle che cercano di coinvolgere di striscio Ardita sembrano traballanti a una prima lettura. Amara sostiene nel dicembre 2019 che Ardita (quello che parlava male di lui con Fava nel maggio 2019) sarebbe stato da lui incontrato in una riunione nel 2006 quando era pm a Catania. Ma Ardita era già da anni in un altro ufficio: il Dap.
Inoltre la loggia Ungheria è descritta da Amara come un convivio di liberali garantisti che volevano combattere contro i giustizialisti. Ebbene Ardita è stato un pm famoso per avere arrestato una mezza dozzina di parlamentari e per avere scritto un libro con la nostra casa editrice dal titolo che non era ‘Ungheria’ o ‘Garantisti’ ma ‘Giustizialisti’. Infine Amara lo descrive nel 2006 come ‘culo e camicia’ con l’ex capo del Dap Gianni Tinebra. Da una ricerca di archivio ANSA si legge che nel 2005 tra Ardita e Tinebra c’era una forte spaccatura.
I verbali di Amara proprio per la natura del personaggio sono oggetto di una serrata verifica da un anno e mezzo da parte dei pm Laura Pedio e Paolo Storari. Coinvolgono i personaggi più importanti di molti settori della vita pubblica. Si va dai vertici di alcune forze dell’ordine di oggi e ieri ad altissimi prelati in carica e usciti di scena, dai livelli apicali della magistratura amministrativa e ordinaria a quelli della politica recente. Un raccontone avvincente condito con l’allure massonico della ‘Ungheria’.
I verbali sono arrivati a fine ottobre del 2020 anche nella redazione del Fatto in forma anonima. Non sapendo se fossero autentici (non erano firmati) e sospettando una manovra di dossieraggio, Il Fatto ha scelto di non pubblicare. Non solo. Il giornalista Antonio Massari ha pensato di portarli in Procura a Milano per gli accertamenti del caso sulla fuga di notizie.
Se un tempo a Palermo c’erano i ‘corvi’ che accusavano Giovanni Falcone con i loro anonimi, la signora Contrafatto in realtà non sarebbe una ‘cornacchia’ ma, nell’ipotesi investigativa al momento solo una sorta di postina. Gli investigatori dopo le loro attività di indagine sono convinti di essere sulla pista giusta.
La funzionaria è innocente fino a prova contraria ma i pm romani ritengono che abbia avuto un ruolo nella fase finale del dossieraggio, cioé la consegna dei plichi. Ora stanno cercando di risalire la filiera per capire due cose: chi le ha dato le carte e perché le ha diffuse.
Al Fatto risulta che i pm hanno interrogato la funzionaria ma non hanno tratto grandi informazioni.
I verbali senza firma che sarebbero stati resi da Pietro Amara da dicembre a gennaio 2019-21 stanno avvelenando da molti mesi l’atmosfera dei palazzi romani. Non è detto che ‘Il Corvo’ sia uno solo. I verbali sono pervenuti ad almeno un paio di giornali. Il verbale pervenuto al consigliere del Csm Antonino Di Matteo è uno solo e contiene un passaggio su Giuseppe Conte (riportato da Il Domani nel suo pezzo di ieri) e un passaggio sul consigliere Sebastiano Ardita. Quando lo ha letto Di Matteo ha scelto di andare in Procura a Perugia per denunciare il dossieraggio ai danni del collega, come ha spiegato ieri in apertura dei lavori del plenum del CSM.
“Ritengo a questo punto doveroso rendere edotto il Consiglio di una vicenda che ritengo importante. Nei mesi scorsi ho ricevuto un plico anonimo recapitatomi tramite spedizione postale contenente una copia informale e priva di sottoscrizioni di interrogatorio di un indagato risalente al dicembre del 2019 innanzi a un’autorità giudiziaria. Nella lettera anonima che accompagnava il documento quel verbale veniva ripetutamente indicato come segreto. Nel contesto dell’interrogatorio l’indagato menzionava in forma evidentemente diffamatoria se non calunniosa e come tale accertabile circostanze relative a un consigliere di questo organo. Ho contattato l’autorità giudiziaria di Perugia alla quale ho riferito compiutamente il fatto specificando tra l’altro che il timore che tali dichiarazioni e il connesso dossieraggio anonimo potessero collegarsi a un tentativo di condizionamento dell’attività del Consiglio. Auspico pertanto che le indagini in corso possano far luce sugli autori e sulle reali motivazioni della diffusione di atti giudiziari in forma anonima all’interno di questo Consiglio Superiore”. Il silenzio che ha seguito queste parole è inquietante. Molti consiglieri sanno certamente che la funzionaria del Csm è stata indagata per la questione dei verbali di Amara senza firma finiti ai giornali. La funzionaria oggi presta servizio formalmente per il consigliere Fulvio Gigliotti, anche se è una dipendenza formale, il suo ufficio è lontano dalla sua stanza e la vede poco. Il Consiglio l’ha sospesa dalle funzioni.
Subito dopo il consigliere Di Matteo ha preso la parola il vicepresidente del Csm David Ermini. Ha detto solo: “La ringrazio consigliere Di Matteo. Possiamo iniziare a questo punto i nostri lavori. Cominciamo dalle pratiche rinviate …”. Il fatto che Ermini preferisca parlare di ‘pratiche’ invece che rassicurare tutti i cittadini italiani sulla questione del dossieraggio per condizionare il Csm è l’ennesima prova che la questione è seria. I consiglieri sono stati tutti zitti perché non hanno capito o perché sapevano già? Di Matteo ha detto che ‘a questo punto’ doveva parlare perché ieri mattina il giornale Il Domani ha pubblicato un passaggio di un verbale contenente dichiarazioni dell’avvocato Amara all’autorità giudiziaria di Milano sull’ex premier Conte. Di Matteo ha ricevuto un verbale contenente accuse che lui stesso dice di considerare calunniose contro il collega Ardita. Ne ha parlato con il procuratore di Perugia Raffaele Cantone. Per Di Matteo è accertato che siano calunnie. Per questo quando legge Il Domani che parla solo di Conte e non di Ardita, Di Matteo teme che prima o poi qualcuno tiri fuori la storia diffamatoria sul collega e decide di tutelare il Csm e il consigliere diffamato, cioé Sebastiano Ardita lanciando il sasso dritto prima che qualcuno lo tiri storto.
Nessun consigliere dopo Di Matteo ha preso la parola per manifestare solidarietà al collega dossierato.