In Repubblica del Congo, Total sta facendo crescere delle piccole piante di acacia, destinate ad un grande avvenire: dovranno trasformare in foreste gli altopiani sabbiosi Batéké, al confine con il Gabon, per salvare il pianeta e sviluppare la regione. È uno degli ultimi progetti green della multinazionale francese che punta a diventare la “major dell’energia responsabile”. Da un anno a questa parte, il gruppo energetico dice di voler puntare alla neutralità carbonica nel 2050, perché “il cambiamento è in atto”. Questo suo obiettivo non gli impedisce comunque di aumentare la sua produzione di combustibili fossili del 15% entro il 2030. A questo ritmo i termometri del pianeta esploderanno. Per limitare l’innalzamento delle temperature al di sotto degli 1,5°C, gli esperti ritengono che sia necessario ridurre immediatamente la produzione di idrocarburi. Total invece ha trovato un modo per ridurre le sue emissioni senza ridurre immediatamente la produzione di idrocarburi: “Total – si legge nel suo ultimo rapporto sul clima – intende bilanciare l’impronta di carbonio delle proprie attività attraverso delle emissioni negative”.
In altre parole, parte della strategia della multinazionale si basa sulla “compensazione di C02”. Sul nostro pianeta, il ciclo del carbonio è la base dell’equilibrio climatico: alberi, mari e suolo “compensano” il CO2 rilasciato in natura. L’idea è dunque di moltiplicare i “pozzi di assorbimento del carbonio” naturali per compensare parte delle emissioni antropiche e recuperare in questo modo la neutralità carbonica preindustriale. All’origine di questo principio ci sono climatologi e ambientalisti. Chi inquina lo ha subito adottato. Nel caso della compensazione “artificiale” all’interno di un mercato, ogni tonnellata di CO2 assorbita permette di acquisire un “credito di carbonio” da parte di un ente certificato. Questo “diritto a inquinare” è stato inventato alla fine degli anni 80. “Dopo il boom della metà degli anni 2000, il mercato del carbonio ha rallentato – spiega la sociologa Alice Valiergue -, ma gli affari riprendono e le promesse di neutralità aziendale hanno alimentato un volume record di transazioni”. Nel 2020, malgrado la pandemia Covid-19, i volumi potrebbero superare quelli del 2019. In teoria, Total, se riesce a ottenere un numero di crediti di carbonio pari alle tonnellate di CO2 che emette con le sue attività, potrebbe rivendicare la neutralità carbonica senza modificare il suo modello di produzione fossile. La multinazionale è al primo posto per le emissioni di CO2 tra le aziende del CAC40, principale indice di borsa francese, con circa 450 milioni di tonnellate di CO2 rilasciate ogni anno. Per eliminare milioni di tonnellate di CO2, “il modo più efficace oggi, per meno di 10 dollari la tonnellata, è la riforestazione”, ha spiegato Patrick Pouyanné, AD di Total, al forum Rencontres économiques di Aix-en-Provence, nel 2019. “Le foreste sono strategiche”, conferma una fonte interna. Del resto anche i concorrenti, Shell, BP o ENI, si interessano ormai alle foreste. Per portare a termine il suo progetto, il gruppo francese ha creato una nuova business unit, la Total Nature Based Solution, con un budget di 100 milioni di euro all’anno. Il primo grande progetto è stato presentato a marzo: la creazione di una foresta di quasi 40.000 ettari sugli altopiani Batéké, nella Repubblica del Congo. “Rappresenterà un pozzo di assorbimento di carbonio di oltre 10 milioni di tonnellate di CO2 assorbite in vent’anni”, assicura Total.
Su carta, il progetto, realizzato in collaborazione con il governo di Brazzaville, è lodevole: “Gli altipiani Batéké in Congo offrono un formidabile mezzo di lotta contro il cambiamento climatico per il pianeta e un’opportunità unica di sviluppo socio-economico per il paese”, sostiene Bernard Cassagne, AD di Fôret Ressources Management, partner di Total nel progetto. Ma sarà difficile mantenere le promesse. Primo grosso problema: la Terra non è abbastanza grande. Secondo le proiezioni del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC), in un mondo senza deforestazione e in cui sarebbero stati piantati alberi un po’ ovunque, le foreste e i suoli potrebbero assorbire quattro gigatonnellate di emissioni di CO2 entro il 2050, appena sufficienti a compensare le nostre emissioni non riducibili, per pervenire all’equilibrio climatico. “Le aziende che investono nelle foreste dovrebbero farlo per contribuire alla neutralità del pianeta non per annullare la propria impronta”, osserva César Dugast, della società di consulenza Carbone 4. Total dovrebbe cioè piantare alberi per compensare le emissioni di CO2 degli allevamenti o dell’agricoltura. C’è anche un altro problema: un albero non vale un barile. In sostanza, quando Total emette una molecola di CO2, una parte di essa rimarrà nell’atmosfera per un tempo molto lungo, fino a diversi secoli, e per tutto questo tempo contribuirà al riscaldamento globale. L’albero, invece, cattura la molecola di CO2 solo lungo il suo variabile arco di vita. E per compensare le emissioni del gruppo, le acacie di Total dovrebbero vivere almeno 100 anni. Ma il tasso di mortalità degli alberi potrebbe aumentare in modo significativo con il riscaldamento climatico. Con l’aumento di due gradi della temperatura del pianeta, la maggior parte delle foreste potrebbero persino perdere il loro ruolo di “pozzi di assorbimento di carbonio”. Sarà così per i tre quarti delle foreste tropicali, come dimostrato da una ricerca di un team internazionale di 225 scienziati pubblicata nel maggio 2020 sulla rivista Science. “Un’azienda non può contare sulle foreste per ridurre le proprie emissioni a lungo termine”, sostiene Julia Grimault, responsabile del progetto “foresta, agricoltura e clima” dell’Istituto di Economia per il clima (I4CE). “La neutralità ecologica è diventata uno slogan – aggiunge l’economista Harold Levrel, specialista del CIRAD, Centro di ricerche agricole per lo sviluppo -. A livello di Total, la neutralità è irraggiungibile”. In realtà Total ne è consapevole: “La riforestazione non è una soluzione di compensazione prioritaria nella lotta contro il cambiamento climatico”, ammette un dirigente del gruppo. Una cattiva idea che si è fatta comunque strada nelle teste dei superdiplomati manager della multinazionale. Ma convertire un albero in tonnellate di carbonio su un foglio di calcolo è una sfida.
Gli esperti possono prevedere la capacità di assorbimento di una monocultura a crescita rapida. Ma piantare milioni di palme o di eucalipti non è la migliore soluzione per il pianeta. “L’ottimizzazione dell’impronta di carbonio può essere disastrosa per la biodiversità, i suoli e il ciclo dell’acqua”, sostiene Arnaud De Grave della start up EcoTree. La scelta migliore sarebbe di ricorrere ai metodi più conservativi. Ma gli industriali hanno piuttosto “interesse ad adottare metodi di ottimizzazione per generare più crediti di carbonio possibile”, spiega Alain Karsenty, economista del CIRAD. Stando ai suoi calcoli, Total spera di ottenere 10 milioni di crediti di carbonio nel corso dei prossimi vent’anni, pari a 10 milioni di tonnellate di CO2 assorbite in questo arco di tempo. “È comunque del C02 che non finirà nell’atmosfera nel 2040. Meno carbonio significa meno riscaldamento globale”, sostiene un dipendente di Total, prendendo le difese del gruppo. Se Total non riuscirà a “compensare”, sarà riuscito almeno a guadagnare del tempo prima che arrivi il punto di non ritorno. Anche gonfiando i pronostici, la nuova foresta di Total “compenserà” solo lo 0,1% delle emissioni annue del gruppo al ritmo attuale. Anche se Total raggiungesse il suo obiettivo di 5 milioni di tonnellate di CO2 assorbite ogni anno nel 2030, grazie a un investimento colossale di oltre un miliardo in dieci anni, arriverebbe solo all’1%. Ma l’azienda ci crede: “Noi industriali viviamo in un mondo artificiale in cui si controlla quasi tutto – ha detto un ex manager di Total – e vogliamo far entrare la lotta contro il riscaldamento globale in questo algoritmo. Non è cinismo, è convinzione”.