L’estate 2020 verrà ricordata per il boom del turismo in natura, all’aria aperta. O almeno così ce l’hanno venduta. In realtà, a guardare i dati, le cose sono andate un po’ diversamente. Nel periodo estivo luglio-settembre 2020 le presenze dei clienti negli esercizi ricettivi sono complessivamente il 63,9% di quelle dell’anno precedente. Il calo è dovuto soprattutto alle presenze dei clienti stranieri, sono soltanto il 39,7% rispetto allo stesso trimestre del 2019; per i clienti italiani sono l’86,2% (dati Istat). Il settore della montagna ha subìto le perdite inferiori, con solo un -0,4% rispetto all’agosto dell’anno precedente; i borghi storici in particolare registrano addirittura un incremento (+6,5%) rispetto al 2019, unica variazione positiva nel confronto tra il 2019 – considerato un anno record – e l’anno della pandemia
Gli esperti di settore affermano che anche per la prossima stagione la tendenza è la “ricerca del piccolo”, basata sulla volontà di allontanarsi dai luoghi affollati, quindi si prevedono valori di turismo in crescita per le piccole località considerate più sicure dal punto di vista sanitario, con clientela di prossimità. Se da un lato gli operatori del settore turistico sono stati ben contenti di una fruizione che ha raggiunto in alcuni casi livelli molto elevati, con conseguenti introiti economici capaci di dare una boccata di ossigeno rispetto alla crisi innescata dalla pandemia, d’altro canto in molti sono stati concordi nell’affermare che un carico di turisti così pesante per molte località non è sopportabile troppo a lungo. Questo in alcuni casi per la mancanza di strutture, come si è visto nei mesi recenti diversi luoghi non sono attrezzati per frequentazioni che superino le medie abituali, ma più in generale si tratta di un problema di carattere sociale ed educativo che può essere affrontato non solo con le analisi di mercato ma anche attraverso gli aspetti culturali.
Facciamo un esempio. La visita al Museo degli Uffizi è un must del turismo; ebbene, voi andreste a visitare il museo anche se doveste farvi largo tra la calca di visitatori con il rischio di non godere appieno delle opere d’arte esposte? O cerchereste piuttosto di essere un turista “intelligente”, valutando le date e gli orari migliori per visitare quel luogo con la calma e l’attenzione che merita? O ancora, dovrebbe essere il museo stesso ad imporre un numero chiuso per scaglionare gli ingressi tramite prenotazione? Siamo noi a condizionare la società e quello che ci viene offerto, oppure subiamo le imposizioni altrui? La risposta come (quasi) sempre sta nel mezzo.
La vacanza in ambiente viene vissuta come una scappatoia dalla vita stressante nell’altalena urbana dei mezzi di trasporto, dei luoghi di lavoro, degli obblighi sociali. L’automobile è diventata lo strumento più semplice e comodo di approccio alla montagna, l’utilizzo dei mezzi pubblici viene ancora visto come una soluzione punitiva quando invece dovrebbe trasformarsi in una visione di futuro. Dinanzi all’incalzante domanda di vie preferenziali di avvicinamento si sono costruite autostrade, funivie, villaggi turistici in quota; la pubblicità identifica nei propri messaggi la montagna come regno della libertà di comunicare, di salire, di scoprire realtà di vita semplice, sia umana che naturale ancora affascinante perché lontana dai rigori e vincoli della civiltà dei consumi. Ma poi su quelle montagne ricerchiamo gli stessi agi della vita di città, dall’albergo in quota con acqua calda, sauna e idromassaggio agli spostamenti in elicottero e fuoristrada, con la logica del “lavoro guadagno pago pretendo” ed evitando il concetto di fatica che si lega alla vita all’aria aperta, Alex Langer diceva “tutti vogliono tornare alla natura, ma non a piedi”.
Su questo schema si è innestato nel tempo il cosiddetto turismo di massa, che in parte contraddice quegli stessi valori che stanno alla base della vita in montagna. Per contro negli ultimi anni si è fatto strada il fenomeno del “turismo dolce”; come è successo per la cultura del cibo, pareva inevitabilmente vincente la logica della grande produzione e invece, grazie alla spinta di illuminati riformatori, si è fatto spazio un settore di agricoltura pulita e cibo di qualità, agganciando una tradizione antica e rinnovandola, raccontandola, ridandole senso, economia e speranza. Per il turismo sta avvenendo una trasformazione simile, anche se per qualcuno ancora la grande industria turistica non consente alternative. Come l’agricoltura intensiva e quella di nicchia coesistono, seppur ognuna di esse con le relative problematiche e a volte con complicate interferenze, come la ristorazione generalista e quella di qualità si dividono gli spazi e la clientela di riferimento ognuna nei propri ambiti, non si può e non si deve contrapporre il turismo di massa al turismo dolce; si tratta di due fenomeni differenti, strade diverse ma parallele, entrambe esistono e non devono essere contrapposte ma affiancate, in un rapporto improntato all’alleanza e non alla concorrenza. Mentre il turismo di massa propone la città in montagna e deve continuamente inventarsi nuove attrattive, il turismo dolce non deve inventare nulla ma “solo” valorizzare l’esistente (sembra poco!). Anche nel turismo di massa si può fare cultura di sostenibilità, se le diverse categorie che ne fanno parte si aiutano a crescere dialogando tra loro e creando un sistema integrato; la risposta più facile non è quasi mai la migliore, ma purtroppo è quella che si aspettano quasi tutti.
Il turismo di massa non è necessariamente legato ai grandi numeri, è un concetto culturale; la montagna non va usata ma va vissuta, non è solo un fondale per espletare le proprie necessità ma un ambiente da conoscere e da comprendere, con le sue regole e i suoi limiti, come scrive Paolo Rumiz oggi molti confondono il viaggio con il semplice spostamento. Già, i limiti: proprio con la pandemia si è riproposta con evidenza la questione del limite, in queste tematiche sui nostri territori siamo in forte ritardo, ma possiamo recuperare se da questa situazione estrema abbiamo imparato qualcosa.
Consigli per questa estate? Come si dice dalle mie parti “ognuno sa di casa sua”, ogni scelta è legittima. Vanno bene sia i luoghi affollati che le valli sconosciute, se volete a tutti i costi vedere gli Uffizi il giorno di Ferragosto non lamentatevi però delle code; esistono tantissimi altri piccoli musei sconosciuti sparsi nella penisola che meritano di essere visitati e magari con maggior soddisfazione, legati ad un momento particolare che vi resterà impresso e vi farà ricordare quella vacanza. E se anche la vacanza si ricorderà di voi, tanto meglio.