Valzer di feluche, venerdì scorso 30 aprile, in Consiglio dei ministri. Quello che, in gergo burocratico, viene chiamato “movimento diplomatico”: la nomina dei nuovi ambasciatori, relegata a poche righe in qualche lancio di agenzia. Ma con qualche sorpresa “sgradevole” nell’elenco ufficiale, che innescherà più di una polemica. Dal dimenticatoio, infatti, e dagli imbarazzi che a lungo avevano tormentato la diplomazia italiana e i corridoi della Farnesina, ecco rispuntare Mario Andrea Vattani, già ribattezzato un tempo “il console fascio-rock”. È stato promosso ambasciatore d’Italia, a Singapore. Una postazione diplomatica all’apparenza “piccola”, ma comunque strategica nella complessa geopolitica asiatica e, soprattutto, cinese.
Ma chi è Vattani? Un “figlio di”, visto che suo padre è l’ambasciatore Umberto, a lungo vero e proprio “padrone” della Farnesina della quale è stato, per ben due volte, il segretario generale. Mario, classe 1966, ha seguito le orme paterne entrando al ministero degli Esteri: una rapida e sicura trafila che lo porta prima negli Stati Uniti, in Egitto e in Giappone, infine al suo primo incarico davvero importante, quello di console generale a Osaka, nel 2011.
Un anno dopo, però, il rampantissimo diplomatico diventa protagonista di un clamoroso incidente politico. Appassionato sin da giovane di quella che definisce “musica alternativa”, in realtà legata all’estremismo di destra neofascista, nome d’arte “Katanga”, partecipa con il suo complesso “Sottofasciasemplice” a una manifestazione-concerto organizzata a Roma da Casa Pound. Canta versi contro i pacifisti e i disobbedienti e risponde con il saluto romano a un pubblico di “camerati” che si sta rivolgendo a lui nello stesso modo.
Il ministro degli Esteri dell’epoca, Giulio Terzi, lo fa rientrare in Italia e si apre una procedura davanti alla commissione disciplinare della Farnesina. Tutto si concluderà con una sospensione di quattro mesi, poi annullata dal Tar del Lazio. Nel frattempo, dal suo passato, emergono una militanza nell’organizzazione giovanile del Movimento sociale italiano e anche l’imputazione (conclusasi con un proscioglimento) di essere coinvolto nel pestaggio di due ragazzi della sinistra romana davanti al cinema Capranica, a pochi passi da Montecitorio. Le sue ultime notizie, prima di rientrare nell’anonimato del ministero, risalgono al 2013: quando si candida al Senato in Campania per la lista “La Destra”, senza però essere eletto.
Adesso ha raggiunto il suo antico obiettivo: diventare ambasciatore come il padre Umberto. Una decisione che, filtra sia dagli ambienti della Farnesina che da quelli di Palazzo Chigi, non ha evitato anche questa volta polemiche, pare liquidate in questo modo sbrigativo: “In fondo quello di Singapore è un incarico ‘minore’: insomma, Vattani va in un posto dove non può fare danni”.
Ma non è solo questo uno dei temi caldi della tornata di nomine decise dal governo, tutte in attesa di ricevere il placet definitivo dei Paesi che dovranno accogliere i nuovi ambasciatori italiani.
In tutto 17 incarichi, tra i quali alcuni più importanti: Maurizio Massari (ex ambasciatore al Cairo nella prima fase del “caso Regeni”, poi inviato nell’importante sede di Bruxelles, ndr) sarà il nuovo rappresentante permanente dell’Italia alle Nazioni Unite, mentre Giorgio Starace andrà a Mosca e Fabrizio Lucentini a Buenos Aires. Molto “sensibile” anche la nomina dell’ambasciatore italiano in Israele, con particolare riguardo alla situazione mediorientale: in un primo momento, il nome prescelto era stato quello di Ruggero Corrias, ex rappresentante dell’Italia a Sarajevo, dal 2013 al 2016, e ora distaccato come chief international relations alla Snam. Su di lui, come avviene secondo una prassi consolidata, era stato sondato anche il gradimento della comunità ebraica italiana.
Nel Cdm della scorsa settimana, però, è spuntata una novità: a Tel Aviv andrà Sergio Barbanti, sino a oggi ambasciatore a Vienna (dove verrà sostituito da Stefano Beltrame, ex consigliere diplomatico di Matteo Salvini quando era ministro). Una scelta sulla quale, si dice negli ambienti della Farnesina, avrebbe pesato una forte sponsorizzazione da parte della segretaria generale della Farnesina, Elisabetta Belloni, ma anche del Segretario generale del Quirinale, Ugo Zampetti.