Non ci sono più dubbi, il ministero per la Transizione ecologica è sempre il vecchio ministero dell’Ambiente. Non ci sarà transizione e tanto meno ecologica. Le scelte sul tipo di sviluppo del nostro Paese continueranno a essere fatte dal mercato, l’obiettivo da perseguire sarà sempre la crescita quantitativa, il dio Pil sarà sempre la nostra unità di misura e, al massimo, si darà una spolverata di verde purché sia “sostenibile”, e cioè sia compatibile con le esigenze del mercato e del profitto aziendale.
Eppure, non ci vuole molto a capire che abbiamo già da tempo intaccato il capitale ambientale e che non si può continuare all’infinito a distruggere risorse e materie prime. Certo, ci sono alcune linee guida (non operative) interessanti in tema di economia circolare e qualcosa cambierà, specie per la cosiddetta “transizione energetica” verso le rinnovabili, impostaci dalla Ue, che, tuttavia, appare incerta e inadeguata, e viene considerata come un fattore di mercato e non come piattaforma indispensabile per cambiare stili di vita e modello di sviluppo; dimenticando che, a questo proposito, la Ue, ben più coraggiosamente, precisa almeno che “serve una radicale transizione ecologica verso la completa neutralità climatica e lo sviluppo ambientale sostenibile per mitigare le minacce a sistemi naturali e umani”; evitando, cioè, “irreversibili e catastrofici cambiamenti del nostro ecosistema e rilevanti impatti socio-economici”.
Non a caso nel Pnrr italiano si richiama più volte, come un mantra, il principio comunitario di “non arrecare danni significativi” all’ambiente, rivelando un intento di conservazione e non certo di rinnovamento e di “transizione” verso qualcosa di nuovo. L’importante è ricominciare a produrre e far ripartire presto i consumi, senza neppure distinguere i bisogni reali da quelli indotti attraverso un massiccio indottrinamento pubblicitario. E, se qualcuno obietta, ecco che si tira fuori la “decrescita felice”, confondendo il progresso con la crescita come precisato con chiarezza dall’enciclica Laudato si’, secondo cui “dobbiamo convincerci che rallentare un determinato ritmo di produzione e di consumo può dare luogo a un’altra modalità di progresso e di sviluppo”, in cui la tecnologia sia al servizio dell’uomo e non del profitto di pochi, la biodiversità sia sempre tutelata, e le diseguaglianze vengano ridotte.
E sempre pochi giorni fa, dinanzi alla Commissione ecomafia, Alessandro Bratti, direttore di Ispra (il massimo organo di ricerca e controllo sull’ambiente) ha denunciato senza mezzi termini il controsenso di “pensare di investire nel nostro Paese 300 miliardi parlando di transizione ecologica e non investire un euro nel sistema di protezione ambientale, che peraltro deve valutare tutte le opere che passano attraverso il Recovery”. In questa desolazione ci sono almeno tre cose che si possono salvare.
La prima è la promessa di Draghi di inserire in Costituzione i concetti di ambiente e sviluppo sostenibile. Sarebbe un primo passo avanti importante da parte del Parlamento inserire nella Costituzione la specificazione che “la tutela dell’ambiente è fondata sui princìpi di precauzione, azione preventiva e sviluppo sostenibile. A tal fine la legge promuove le condizioni necessarie a rendere effettivo tale diritto e inserisce nel bilancio dello Stato opportuni parametri di benessere e di contabilità ambientale”; introducendo così, come linea guida per tutte le leggi ordinarie, anche l’importante principio della contabilità ambientale e di uno sviluppo non correlato solo all’aumento del Pil ma soprattutto al benessere (felicità?) dei cittadini.
La seconda consiste nella valorizzazione dell’investimento (3.3) del Piano dedicato a “Cultura e consapevolezza su temi e sfide ambientali” che “si propone di contribuire al raggiungimento di tre obiettivi prioritari:
i) aumentare il livello di consapevolezza sugli scenari di cambiamento climatico e sulle relative conseguenze;
ii) educare in merito alle opzioni a disposizione per l’adozione di stili di vita e consumi più sostenibili a livello di individui, famiglie e comunità;
iii) promuovere l’adozione di comportamenti virtuosi, anche a livello di comunità”.
La terza consiste nella promessa riforma dell’attuale Ministero, che dovrebbe essere attuata attraverso un ampio rinnovamento del personale in base a scelte trasparenti di professionalità e di competenza; eliminando l’attuale sovrabbondanza di inutili burocrati che hanno come bibbia il Sole 24 Ore e che assicurano la loro sopravvivenza complicando gli affari semplici, imponendo, ad esempio, il rinvio a un incredibile numero di futuri decreti ministeriali per dare attuazione a una legge di salvaguardia ambientale che non ne avrebbe alcun bisogno.